Meolo
Home Su Il viaggio Caorle Meolo Concordia Summaga Altino Sesto

 

 

MEOLO

Venerdì, 16 maggio 2008

Un cielo color del piombo. Ed il mare pure; con cavalloni da amanti australiani degli sport di mare.

Ripieghiamo su un breve giretto esplorativo, in zona, senza obiettivi particolari, giusto per muoverci un po’ tra campi, canali e lagune.

Il ponte sul Piave a San Donà è oggetto di lavori che ne riducono la funzionalità; code infinite di veicoli puteolenti condotti da autisti inviperiti.

Lascio perdere la direzione d’oriente e riprendo l’occidente, a casaccio.

Un cartello stradale mi porta al riaffiorare di un ricordo vago, forse indotto solamente dal curioso nome del paese: Meolo. Prendo quella direzione, non foss’altro perché la strada è piacevolmente sgombra di quel traffico che invece mi angoscia quando percorro le strade principali, con il mio jeeppino, tardigrado per sua natura ma anche per mia volontà; la velocità del vacanziere.

Ora ricordo dove ho letto qualcosa di Meolo; si trattava di una chiesa dove sono custoditi alcuni affreschi del Tiepolo. Pur non essendo del periodo storico di mio principale interesse, una visita non mi costa nulla; e quindi perché negarla?

Cerco la chiesa e la trovo in una zona periferica, seppur attorniata da recenti abitazioni.

 

me000.jpg (46450 byte)

In realtà la facciata è nascosta dal campanile, che sembra essere un’improvvida aggiunta in una discutibile posizione, togliendo simmetria all’architettura del frontone. Noto quanto siano stati massicci gli interventi di rinnovamento o di restauro. Il rosone ed una bifora ora sono occlusi. Sotto quest’ultima è incastonato un medaglione marmoreo scolpito a bassorilievo; vi riconosco l’immagine di San Giovanni Battista che indica l’Agnello; ai suoi piedi due figure oranti; la data: MDXXI, il 1521. La chiesa è proprio a lui dedicata.

Mi accingo ad entrare; quasi non vedo, seminascosto com'è da un tendaggio, un cartello che segnala il tesoro nascosto, cioè gli affreschi di Giandomenico Tiepolo, un valente artista veneziano del Settecento, figlio del più noto Gianbattista al cui seguito, e forse all’ombra del quale, frequentemente operò.

L’interno è a tre navate e mostra un contesto rivisto in stile rinascimentale che però emerge da una base strutturale romanica.

Gli affreschi del Tiepolo decorano la volta del presbiterio; i quattro Evangelisti contornano il battesimo di Gesù.

Nella navate laterali, in simmetria con la navata centrale, mi attirano per i loro cromatismi quattro altari composti da elementi in marmo policromo, completati da una pala dipinta.

In due di questi dipinti, vivaci nel colore e nella scena, trovo figure che interpreto come essere di santi e sante, rappresentate con gli attributi di un’iconografia classica; curiosamente non sono coperti dall’aureola, cosicché risulta difficile distinguerli da altri personaggi, diciamo, di scena.

Nel primo che esamino, in evidenza di piano ed in piena luce, mi è facile identificare Santa Caterina d’Alessandria; nella mano una frasca di palma, si appoggia sul simbolo del suo martirio, unico nell’iconografia cristiana, e cioè la ruota dentata con la quale i suoi carnefici avrebbero voluto dilaniarla; furono loro ad esserne uccisi. In secondo piano domina su tutti la figura di Sant’Antonio da Padova, vestito di saio e con il giglio fiorito nella mano sinistra. Difficile l’identificazione immediata delle altre tre figure maschili; di certo, tra esse un Dottore della Chiesa regge il Libro e sembra “guardare in camera”, come direbbero gli scenografi intendendo l’apparecchiatura da ripresa cinefotografica.

Il secondo dipinto è più intrigante; diverse le figure e tutte ben illuminate, così da equiparare il loro livello di importanza nella composizione della scena. Quattro figure femminili sono disposte ai lati di una figura maschile assisa in trono; ai piedi, in primo piano, una figura maschile seminuda è sorretta da un’altra figura maschile; di spalle, una figura femminile è in atteggiamento implorante verso colui che siede sul trono. Sono di fronte ad un’iconografia, per così dire, moderna, non propriamente classica. Comunque sulla destra identifico con relativa facilità Santa Lucia; la spada, rara presenza in figure femminili, e soprattutto la coppa che contiene i suoi occhi sono gli attributi. La venerazione per questa santa è particolarmente diffusa perché protettrice della vista; nel duomo di Caorle ho trovato un affresco che racconta momenti della sua vita. Sulla sinistra trovo l’immagine di una santa che taluni identificano con Sant’Elena per via della coroncina che porta in capo; dubito che lo sia; l’iconografia classica la vorrebbe con una croce e con una corona di tipo regale. Preferisco valutare il fatto che porti i capelli lunghi ed il vestito sfarzoso, nel qual caso potrei pensare a Santa Maria di Magdala, ma anche questa volta manca qualcosa: il vaso dell’unguento con il quale unse i piedi a Gesù. L’immagine è troppo generica, sotto l’aspetto iconografico, per essere identificabile, e così mi tengo il dubbio e passo oltre. Dietro di lei Sant’Agnese regge un agnello. Non riesco a distinguere chi possa essere l’altra figura femminile, posta dietro Santa Lucia; la luminosità è scarsa e la figura è ben nascosta. Pazienza. Mi dedico alla figura centrale, in trono. Ho letto di alcuni che vi vedono San Valentino, altri San Gregorio Magno. Certo è che qui gli attributi sono incompleti, forse mescolati, comunque non definitivi. Perché si tratterebbe di un papa se non ha in capo il triregno? Le immagini di San Gregorio Magno lo ritraggono sempre con questo copricapo, calzato oppure appoggiato nei pressi; identicamente per San Valentino. Perché il bastone pastorale è rappresentato da una croce astata e non dal tradizionale “ricciolo”? Eventualmente si dovrebbe trovare la cosiddetta “croce papale”, cioè quella con tre traverse di lunghezza decrescente verso l’alto. Comunque raramente un papa è ritratto con il bastone pastorale, secondo una prassi acquisita sin dal Medioevo. E poi, nella vita di San Valentino si ricorda la sua cura di un bambino epilettico, e qui il malato non sè certo un bambino. Nel contempo le iconografie di San Gregorio Magno lo vedono quale Dottore della Chiesa; tiene sempre in mano il Libro, e qui non c’è, e sul capo o sulla spalla si dipinge la colomba dello Spirito Santo, simbolo dell’ispirazione divina, e qui non c’è. Insomma, un’altra bella sfida all’interpretazione. In questa ambiguità provo allora a procedere con una mia ricerca, identificando come attributi la croce astata, il trono e la veste non papale ma di elevata dignità, forse vescovile. Con mia sorpresa trovo un santo di “chiara fama” anche se a me completamente sconosciuto; si tratta di San Vladimiro I di Kiev. Ne trovo addirittura una raffigurazione in icona russa con identica postura del nostro; non solo, tiene in mano la croce astata, peraltro tipica di raffigurazioni bizantine. L’agiografia parla di un uomo regale, vissuto intorno all’anno mille, che successivamente alla sua conversione al cristianesimo si dedicò attivamente per aiutare malati e mendicanti, appunto. La sua importanza è tale, sia nella chiesa ortodossa che in quella cattolica, da essere inserito tra i santi patroni della Russia. Ma cosa ci farebbe l’immagine di San Vladimiro a Meolo? Mistero. Lo lascio tale, per ora. Chissà, forse in futuro potrò riprendere l’argomento.

Un ultimo dipinto mi porta in ambiente africano, nel caldo del deserto, dove campeggia la figura di San Giovanni Battista in atteggiamento da predicatore, con le vesti di pelo di cammello, come vuole l’iconografia classica. Davanti a lui, attento alle sue parole, un personaggio in abbigliamento mediorientale. Sullo sfondo fa capolino dietro una colonna un soldato romano; forse non vuol mostrare di essere interessato alla nuova religione. Il caso (oppure no) vuole che la composizione scenica ed i personaggi siano rappresentati in foggia similare proprio in un dipinto del Tiepolo, Giambattista però, custodito a Bergamo.Il tema della predica del Battista è frequente, seppur non così come la scena del battesimo di Gesù.

Sono tanto interessato a questi luoghi, con immagini e simboli, che non mi sono accorto dell’assenza di mia moglie, probabilmente nemmeno entrata in chiesa. La trovo fuori mentre assiste un ragazzino che osserva con scoramento la ruota anteriore della sua bicicletta, completamente distorta in modo astruso. Accorro anch’io temendo il peggio, pur non sapendo di cosa si tratti, ma fortunatamente non è successo alcunché. Lo sfortunato mi racconta come, improvvisamente, il cerchione si sia “afflosciato”. Da buon cicloamatore identifico il problema in un errata tensione dei raggi, forse dovuta ad una mancata manutenzione; nulla di irreparabile Mi offro di accompagnare a casa il malcapitato, caricando il suo mezzo sul jeeppino, ma ringraziandomi rifiuta; abita nei pressi. Saluta educatamene e si allontana, trascinando la sua bicicletta sull’unica ruota che ancora si dimostra tale.

Meno male che non piove, ancora.

 

 

<HomePage>   <Il progetto>   <Colophon>   <Registrazione>   <Collaborazioni>   <La biblioteca>   <Il Sommario>

Questo sito è una iniziativa personale di
Ferruccio C. Ferrazza
Tutti i diritti sono riservati.
ViaggiNellaStoria® è un marchio registrato.
ISSN 2284-3620

Ultimo aggiornamento: 19 aprile 2016