Altino
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ALTINO

Martedì, 20 maggio 2008

 

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La porta di San Sebastiano a Roma (Giuseppe Vasi)

Piove. E non prospetto cambiamenti in giornata.

Niente di meglio che studiare quanto ho già raccolto; foto, documenti, siti internet. Però sono pur sempre in vacanza; non solo, ma sono anche dotato di un mezzo di trasporto che, almeno quello, non teme per nulla la meteorologia più fastidiosa. Anzi; la copertura è rimasta al suo posto, nemmeno un’occasione per godere del viaggio cabriolet. Decido allora altrimenti e cerco qualche posto che sia il più vicino possibile, facilmente raggiungibile, con qualche proposta interessante dal punto di vista archeologico. Non ci sarà il sole, ma sarà comunque l’occasione per conoscere qualcosa di nuovo. Vista la giornata, un museo sarebbe proprio l’ideale. Ricordo di aver letto che nella zona, in piena romanità, si trovava un’importante arteria di comunicazione commerciale; forse l’ho letto quando ho visitato Concordia. Del resto, più in là si trova Aquileia, uno fra i più importanti siti romani nell’Italia del nord. Una breve scorsa al pieghevole turistico del Veneto e trovo la mia destinazione. Altino, ecco il posto giusto. Nulla di romanico, ma tutto di romano; un viaggio in un tempo ancor più remoto, che non conosco se non superficialmente, poco più che a livello scolastico, ma che oggi, perché no, è proprio quello che cerco. Mi lascerò condurre da altri più esperti di me.

Arriviamo in zona con qualche incertezza di percorso, più che altro dovuta allo scrosciare di una pioggia temporalesca. Vedo una specie di piazza quadrata, con portici sui tre lati. Parcheggio; una breve corsa e siamo al riparo.

Ci troviamo in una specie di chiostro, se non fosse che un lato, quello verso strada, è completamente assente. Ma l’idea architettonica è decisamente brillante, soprattutto perché l’impostazione ambientale è quella di un museo all’aperto, ma contemporaneamente al coperto per il visitatore. Alle pareti, lungo il percorso, sono addossati reperti archeologici di vario genere, a fianco dei quali un cartello illustra e descrive l’oggetto nel dettaglio.

Ho così modo di scoprire che la via romana di cui ho letto ha il nome di Annia, e portava da Adria sino ad Aquileia. Su questa via Altino costituiva un importante nodo di raccordo con altre direttrici verso ovest e verso nord. Sto osservando oggetti che si collocano su un asse temporale che inizia a cavallo dell’inizio del primo millennio.

Molti i cippi e le stele per segnalare le sepolture, che qui erano poste a costeggiare proprio la via Annia nel suo percorso rettilineo verso la vicina Trepalade. Noto con curiosità il foro presente al piede di questi blocchi scolpiti, e scopro trattarsi di un sistema di stabilizzazione; prima di posizionare il blocco, nel foro veniva inserito un palo e quindi sepolto per quanto sufficiente a mantenere il tutto ben fissato al terreno. Probabilmente il sistema era necessario per evitare che la corrente di superficie creata dagli eventuali straripamenti dei vicini fiumi potesse abbattere la stele. Dalle incisioni si capisce come questi cippi delimitassero i recinti quadrangolari del sepolcro, le cui dimensioni sono infatti chiaramente indicate in piedi, con tanto di direzione dove estendere la misura. I cartelli descrittivi interpretano le prime lettere scolpite in testa, LM, come L(ocus) M(monumenti), cioè luogo del monumento; io ritengo che sia consono confidare in una epigrafia più consueta come L(ongitudo) M(monumenti), cioè dimensione del monumento, visto che proprio di queste indicazioni si tratta

Pensiamo di aver completato, peraltro in completa solitudine, la visita a questo atipico museo, impostato con intelligenza innovativa, quando raggiungiamo l’estremità del portico dove scopro l’ingresso al vero e proprio museo.

Un curatore ci accoglie con particolare riguardo e ci accompagna nella visita delle sale, illustrandoci gli oggetti conservati e mostrando dedizione, capacità e, soprattutto, cultura del proprio lavoro. Dalle statue di misure umane ai delicati lavori di vetreria, dalle lapidi in pietra ai simpatici bronzetti, dagli oggetti di uso quotidiano ai preziosi monili. Una raccolta enorme che soffre nello spazio delle due sale che si rivela angusto e che richiederebbe ben altra valorizzazione dimensionale, oltre quella culturale che la nostra sapiente guida riesce a dare. Un pensiero che corre necessariamente a quanto di prezioso nella storia del nostro paese teniamo nascosto ed avvilito.

In una bacheca, due oggetti in bronzo mostrano incisioni che di certo identifico come essere una forma di scrittura. Mostro alla guida il mio interesse per questi caratteri che valuto come etruschi; ho palesato la mia ignoranza sull’argomento e vengo bonariamente, e giustamente, corretto: si tratta della scrittura dei paleoveneti. Ottengo una eccezionale autorizzazione a riprendere fotograficamente i due oggetti; ho come obiettivo quello di pubblicare le iscrizioni e lasciare la traslitterazione e traduzione a qualche lettore specificamente preparato.

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Il curatore, che già ha dimostrato di essere un’eccellente guida, si offre di accompagnarci per visitare la zona degli scavi, prospiciente il museo. Continua a piovere, ma ci mette a disposizione un ampio ombrello; l’occasione è unica per completare la conoscenza dei luoghi nella massima tranquillità.

Aperto un cancello, entriamo a scoprire quanto rimasto di un porto fluviale, probabilmente uno tra i più importanti del nord adriatico, perché in concomitanza con i nodi viari provenienti dai quattro punti cardinali. Ma quello che vedo nei pressi è veramente fantastico; solamente ad una spanna sotto il livello del suolo è stato riportato alla luce un pavimento decorato da un magnifico mosaico le cui zone in colore hanno la brillantezza delle tessere in pasta di vetro; il soggetto sembra essere un vaso con due manici ad ansa; intorno, ricavati da tessere solo bianche e nere, il simbolo solare della croce gammata e delle “picche”. E’ sufficiente osservare questo piccolo tesoro per valutare quanto ci possa ancora essere ancora di nascosto da quel poco terriccio che in duemila anni si è depositato, preservandone la bellezza.

Chiudiamo un cancello e ne apriamo un altro; la pioggia prosegue inclemente il proprio lavoro.

Ci troviamo in quella che era la porta di accesso all’abitato, il varco nelle mura. Per avere un’idea di come potesse essere la costruzione, mi rifaccio ad un’immagine che riemerge dalla mia memoria sotto lo stimolo di quella proposta in un cartello illustrativo della Sovrintendenza per i Beni Archeologici del Veneto; si tratta di una stampa dove è riprodotta la visione in origine della Porta di San Sebastiano a Roma, opera di Giuseppe Vasi, incisore del ‘700. Peraltro, come illustrato dalla nostra preziosa guida, nel caso di Altino ci troviamo di fronte a qualcosa di diverso nello scopo; la struttura è un vero e proprio punto di approdo più che un semplice accesso; di fronte alla porta, infatti, vi era un canale che probabilmente non rivestiva esclusivamente uno scopo difensivo ma rappresentava anche una via di comunicazione e di commercio.

Rientrando verso il museo, la nostra guida mi mostra un capitello e mi interroga se ne riconosco lo stile e la definizione. Molto dubbioso, pesco nella memoria le reminiscenze degli anni di liceo e di disegno artistico; quasi quasi sono tentato di alzare timorosamente la mano per segnalare la mia risposta: capitello corinzio con foglie d’acanto. Azzeccato. Ed è allora che il nostro accompagnatore, con studiata abilità, mi indica una pianta rigogliosa e mi chiede di cosa si tratti. Io normalmente confondo il basilico con il soncino, ma in questo caso non ho dubbi e rispondo con decisione: acanto. Addirittura con i fiori. E’ stato un gioco, tra amici.

Piove, ma è una bella giornata.

 

 

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ISSN 2284-3620

Ultimo aggiornamento: 19 aprile 2016