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Indice dei luoghi citati
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il testo che segue è estratto da
ARCHITETTURA ROMANICA COMASCA
di Mariaclotilde Magni
Casa Editrice Ceschina - Milano -1960

 

PREFAZIONE

Una tappa fondamentale negli studi sull'architettura romanica lombarda costituì, nel lontano 1917, la grande opera di Arthur Kingsley Porter e non fu soltanto, come è ben noto, la mole di quel lavoro e l'esigenza, finalmente sentita, di una limitazione e di una specializzazione ad assicurar validità a quella strenua fatica; ma anche, e sopra tutto, l'aver dato, una buona volta, un volto riconoscibile alla prima fase dell'architettura romanica. all'XI secolo; i cui edifici erano andati fino allora confusi con quelli del secolo seguente.

Pur tra qualche omissione ed errore, inevitabili in così vasta materia, fu merito precipuo del Porter l'aver finalmente rese tangibili molte delle sostanziali differenze nel corso di un gusto che durò non dimentichiamolo, più di duecento anni; e noi ci avvediamo oggi quasi con stupore come una simile distinzione sia quasi altrettanto necessaria di quella che si opera ormai, per lunga consuetudine, tra il Quattrocento e il Cinquecento; o tra il Seicento e il Settecento.

Ma la mole del lavoro affrontato dallo studioso americano era pur sempre tale da esigere ulteriori distinzioni e da postulare nuove trattazioni specializzate. Malgrado l'ampiezza dell'indagine, centinaia di edifici erano sfuggiti al Porter e se ne avvedeva chi si metteva a studiare, partitamente, l'architettura romanica di un qualsiasi territorio, segnato da una certa unità di stile, della Valle Padana. Si ebbero così quelle trattazioni sull'architettura novarese, su quella vercellese, su quella veronese, su quella bresciana, su quella ligure, su quella milanese (il cui raggio d'azione arriva fino al Po) che ribadirono e consentirono attraverso l'esame di innumerevoli monumenti romanici, una più coerente articolazione lungo i decenni di una delle più feconde ere architettoniche della storia d'Europa: e giunsero a precisare entro i limiti medi del quarto di secolo (quando non soccorrevano date più precise) le tappe di un mirabile svolgimento di gusto; confermando come la culla di questa architettura che doveva affermarsi in tutto l'Occidente, dalla Scandinavia alla Catalogna, sia stata veramente la Lombardia.

Il presente lavoro, condotto con tanta passione e accuratezza dalla dottoressa Mariaclotilde Magni, allieva dell'Istituto di Storia dell'Arte dell'Università di Pavia, affronta uno dei settori più importanti e delicati dell'architettura romanica lombarda: quello riguardante il territorio della diocesi comasca, che si distingue da quello propriamente milanese.

Il compito affrontato dalla dott. Magni era impegnativo e delicato; poiché ovviamente, lo studio dell'architettura "comasca" non può limitarsi alla diocesi di Como, se pure in quest'ultima si trovano, oggi i monumenti più significativi, ma andrebbe esteso, a rigor di termini, alle zone contigue della Lombardia e della Svizzera, italiana dove quei maestri operarono certamente (a tacere della sicura presenza dei lapicidi e costruttori comaschi un pò dappertutto in Italia e in tante zone di Europa).

E' infatti fuor di dubbio che oltre i confini della diocesi comasca (a tacere delle più lontane affermazioni di questi maestri) non mancano i segni di una evidente continuità di quell'architettura nata sulle rive del Lario. Ma ciò avrebbe portato a un'impostazione troppo larga di un problema che ha tutto da guadagnare, quando venga trattato per settori limitati; e sia pure entro i confini dettati da fattori del tutto estranei alle cause che determinarono il propagarsi delle idee artistiche: religiosi o amministrativi o politici.

Questa limitazione era poi anche più doverosa quando si pensi agli scarsi, o nulli, contributi specializzati relativi ad ampie zone della Valpadana: manca qualunque studio organico sull'architettura romanica del Piemonte occidentale e meridionale, del bergamasco, del mantovano, del Veneto orientale, nonché della Venezia Giulia, dell'Istria, ecc.; manca uno studio organico sul romanico emiliano e romagnolo che, a parte i grandi edifici sacri delle città lungo la via Emilia, è di una importanza notevolissima in quel settore adriatico dove si è voluto ravvisare, in seguito a una singolare inversione dei valori estetici, la culla di quest'architettura.

Abbiamo accennato ai territori a nord dell'Appennino; ma è chiaro che soltanto da ulteriori e organiche indagini sarà possibile sceverare l'elemento propriamente comasco e delimitarne pertanto l'area di diffusione, specificandone le caratteristiche tipiche di quelle regioni, dove esso venne affermandosi.

La circostanziata e acuta esegesi della dott. Magni riconferma poi in questi costruttori comaschi una naturale disposizione sulla quale già altra volta abbiamo richiamato l'attenzione (e che sarà propria anche dei lapicidi e architetti dei secoli seguenti); e cioè la costante apertura alle più varie sollecitazioni culturali, non soltanto italiane, ma transalpine.

Più lapicidi che architetti (nel senso più alto della parola), si deve a questi artisti dei laghi lombardi l'insuperata, maestria, dei paramenti murari, l'impeccabile e nitido taglio della pietra, il precoce senso della forma ben modellata con la tagliente scansione dei piani generatori di ombre nette e multiple; e, insomma, quella qualità plastica che trova la sua più elevata affermazione in quel capolavoro che è il duomo di Modena. Né è da escludersi che, in epoca più antica di quanto si ammette nella corrente storiografia, gli scultori, in pieno XI secolo, abbiano tratto da quel sovrano magistero murario, un potente incentivo ai primi recuperi della forma a tutto tondo.

La creazione del nuovo spazio romanico doveva essere riservata invece ai milanesi; le cui costruzioni sacre si fissarono secondo un nuovo modulo elaborato razionalmente e determinato in sostanza dalla copertura con le grandi volte a crociera, mentre questi problemi di statica erano invece indubbiamente meno sentiti sulle rive del Lario, dove, si ebbe pertanto una più ricca varietà di soluzioni planimetriche.

Il lavoro della dott. Magni presenta un ampio materiale inedito in cui figura, anche quella parte della diocesi comasca che è rappresentata dalla Valtellina, ripropone entro una nuova cornice i problemi relativi alle chiese maggiori e più note e costituisce quindi un valido punto di partenza per lo studio di quelle zone contigue cui si accennava più sopra: prima fra tutte il Canton Ticino, che annovera alcuni tra i più interessanti monumenti delle valli a sud dello spartiacque alpino: costruzioni minori tra le più arcaiche che si conoscano (in Val Leventina), chiese di pù ampio respiro (come quella singolarissima di Biasca, che si sta restaurando), torri campanarie che gareggiano in arcaica e solenne bellezza con le più notevoli della Lombardia (pensiamo a Prato Leventina, a Chiggiogna); e poi, oltre il Malora, l'Engadina che è forse la quota più alta raggiunta da questi maestri; legata, probabilmente, in una certa unità di stile, con tutta la fascia alpina.

Lo studio più approfondito dall'architettura romanica comasca sarà, insomma, non ne dubitiamo, coi nuovi elementi messi a nostra disposizione, col dischiudersi di più ampie prospettive, della maggiore utilità per chi si invogli a continuare, con piano metodico e organico, queste affascinanti indagini nelle più varie direzioni.

E' il miglior augurio che si possa fare a una fatica tanto meritoria e impegnativa.

EDOARDO ARSLAN

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INTRODUZIONE

Nell'analisi dei monumenti romanici nella diocesi comasca ho cercato di descrivere, accanto ad alcune chiese notissime, altre che potessero completare il profilo di un particolare momento dell'arte lombarda.

Alla base della ricerca per le singole chiese è stata guida utilissima la descrizione della visita pastorale del Vescovo Ninguarda avvenuta tra gli anni 1589 e 1593, annotata con incredibile intuito per quel tempo e puntuale su alcuni caratteri fondamentali delle chiese viste dal Vescovo.

Al Ninguarda fanno seguito per la loro importanza gli studi fioriti fin dall'inizio del '800 con Barelli, Balestra e poi, più avanti, con Cavagna Sangiuliani, Sant'Ambrogio, Giussani, Monneret de Villard che lasciò studi fondamentali e svincolati da ogni teoria corrente, ed infine con il Frigerio al quale si debbono importanti rilievi e ricostruzioni fedelissime. Essi furono legati, ad eccezione del Monneret, alle considerazioni sui monumenti comaschi racchiuse nelle grandi opere di Venturi, Toesca, Dartein e, data la tendenza del loro tempo, essi estesero in modo particolare la descrizione minuziosa e precisa dei restauri e rifacimenti di alcune delle chiese senza insistere troppo in analisi critica e cronologica. Il loro contributo è indispensabile poiché permette, oggi, la esatta analisi di monumenti spesso alterati anche se le conclusioni cronologiche, con eccezione di alcune stabilite da Porter e tuttora validissime, devono spesso essere oggi riesaminate sulla base di vedute più moderne.

Solo recentemente, infatti, il Verzone ha spostato alcuni termini e chiarite le nuove posizioni alla luce di una critica volta ad illuminare con inoppugnabili argomenti uno dei secoli più affascinanti della architettura medioevale.

E' proprio per merito dell'impegno critico del Verzone nei suoi fondamentali lavori ai quali fecero seguito quelli dell'Arslan, del Panazza. del Ceschi che questa analisi può inserirsi nel vasto quadro degli studi sull'architettura lombarda e formare una tessera la quale, associata alle altre, potrà forse contribuire a completare il mosaico dell'architettura nel nord Italia.

E' dunque tenendo presenti questi precedenti chiarificatori che le conclusioni cronologiche già formulate con indiscussa autorità dal Porter, portano ad un addensarsi dei monumenti nell'XI secolo ed a sottolineare la vera fioritura comasca in un momento quasi concomitante con il sorgere della grande architettura milanese.

Sono particolannente grata al Prof. Edoardo Arslan per i suoi preziosi consigli; ringrazio per il cortese aiuto l'Architetto Federico Frigerio. i Proff. Jean Hubert e Paolo Verzone. Debbo a Stefano Craviotto i disegni dei rilievi, delle sezioni e di parte delle piante.

M. C. MAGNI
Milano, settembre 1959.

 

 

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ISSN 2284-3620

Ultimo aggiornamento: 19 aprile 2016