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il testo che segue è estratto da
ARCHITETTURA ROMANICA NEL TERRITORIO DI VARESE
di Anna Finocchi
Bramante Editrice - Milano -1966

 

INTRODUZIONE

Dopo la relativamente recente fioritura dei lavori di studio e di catalogazione dei monumenti romanici dell'Italia Settentrionale - quali, per citarne solo alcuni, quelli di Verzone per l'area novarese e vercellese, di Arslan per l'architettura della regione di Milano, di Olivero per Torino, della Magni per il Comasco - è stato più agevole procedere ad un esame complessivo dei monumenti romanici del territorio di Varese, dei quali solo alcuni erano già stati oggetto di studi parziali. Molto importante, infatti, è la conoscenza delle architetture delle regioni confinanti del XI e del XII secolo, dal momento che la regione varesina è particolarmente soggetta alle influenze esterne: certo non va sottovalutato il fatto che questo territorio non costituiva nel Medio Evo una diocesi, ma era suddiviso tra le diocesi di Milano e di Como e vi erano inoltre possedimenti del Vescovo e di alcuni monasteri pavesi. E' comprensibile pertanto che maestranze di formazione diversa vi abbiano lavorato, contribuendo in tal modo a formare un panorama architettonico assai vario e complesso, in cui si sovrappongono tendenze e modi decorativi e costruttivi provenienti da tradizioni regionali differenti.

Entro questo ambito di suggerimenti di diversa origine si possono tuttavia notare la predilezione per alcuni schemi e lo sviluppo di alcuni motivi, come, ad esempio, nei campanili, il modello della torre a base quadrata, massiccia, definita volumetricamente e scandita nei ritmi spaziali dalle lesene angolari larghe e rilevate, con aperture in genere monofore, a feritoia o a tutto sesto, schema che, già adottato, forse sull'esempio del campanile dei Monaci di S. Ambrogio, nel X-XI secolo in una serie di campanili (Gemonio, Barzola, Besnate, Avigno, Taino, Casciago, Ligurno e altri), nel XII si trasforma per influsso della milanese torre di San Satiro in un tipo di struttura più poderoso (Arcisate, Arsago, Luvinate, Ganna). Il campanile dell'abbazia di Sesto Calende, pure se simile agli ultimi citati, rivela una più diretta parentela con le torri a doppia specchiatura di origine piemontese. E legata a simili strutture del Novarese è anche l'abside minore e più antica di questa chiesa, la quale però nel complesso appare chiaramente legata alle grandi basiliche milanesi della fine del XI secolo, sia per il tipo di pianta, sia per la decorazione a fornici e per il ritmo delle aperture dell'abside maggiore, sia per l'adozione del sistema alternato pilastro-colonna nei sostegni; tale sistema però era nato in funzione delle coperture a crociera, che i costruttori operanti in questa regione non applicano quasi mai, oppure solo nelle navate minori, togliendogli così quel preciso valore di scansione spaziale tramite contrasti volumetrici che esso assume nelle costruzioni milanesi. Si sono fatte queste citazioni solamente per proporre qualche esempio di quell'intrecciarsi di rapporti e di influenze cui alludevamo più sopra, non certo per dare giudizi complessivi o tanto meno conclusivi.

Se non si può parlare, quindi, di una vera e propria scuola regionale, elaboratrice di schemi originali con importanza determinante lungo i secoli della splendida fioritura dell'arte romanica nella Lombardia, sarà possibile tuttavia, grazie alla visione di quasi tutto il patrimonio architettonico del territorio di Varese in questo periodo, indicare alcune costanti nel gusto dei costruttori di questa regione.

Nella decorazione architettonica - cornici di archetti, lesene, contorni di finestre - l'uso di materiali di colore diverso da quello del paramento, dovunque grigio, di pietre squadrate o ciottoli, è tanto frequente da divenire una vera e propria caratteristica regionale: dagli strombi delle più antiche finestre del S. Pietro di Gemonio, in cui le strisce dipinte bianche e rosse fingono il laterizio rosso e la pietra chiara, alle finestre con il contorno ed il bardellone in cotti variamente disposti di Leggiuno, Torba, Sesto Calende, oppure di mattoni e pietre alternati come a Barzola e ancora a Sesto, dalla pietra rossastra del campanile di Ganna al tufo biondo delle cornici di archetti delle costruzioni della Valtravaglia.

Egualmente si può riconoscere un gusto regionale nel tipo di torre campanaria di cui si è parlato più sopra, in cui viene accentuata la massa della costruzione mediante la stesura delle superfici profilate dalle lesene angolari e scandite dal ritmo delle strette aperture. Un'altra costante, cui si è già accennato prima nel riferimento all'abbazia di Sesto Calende, è nelle chiese a tre navate l'uso di larghi e massicci sostegni che reggono arcate piuttosto basse così che difficilmente si realizza una compiuta dialettica degli spazi interni per la mancanza di un'agile circolazione della luce e di precisi rapporti spaziali.

Vi sono, d'altra parte, alcuni monumenti che escono dagli schemi comunemente adottati nel XI e nel XII secolo dalle maestranze dell'area varesina e che bisogna porre in quel periodo di formazione della sintassi romanica che in questa regione è molto oscuro per la perdita quasi totale dei monumenti paleocristiani ed altomedioevali. Ciò non permette di stabilire nell'ambito della regione una serie di confronti per illuminare i vari passaggi di tale elaborazione, dai primi monumenti di Castelseprio, ad esempio, al IX-X secolo. Basti pensare al battistero di Domo con quella decorazione ad archi pensili che potrebbero segnare un momento molto importante nel passaggio dalle archeggiature cieche che solcano le murature delle costruzioni di età carolingia (nel Varesotto ne conservano un ricordo i costruttori della chiesa di Schianno) alle romaniche cornici di archetti pensili. Di rilevante importanza sono anche le parti più antiche, attribuite al X secolo, del S. Pietro di Gemonio: queste rivelano alcuni interessanti momenti nell'evoluzione delle finestre a strombo, che saranno poi tipiche nelle costruzioni del XI e del XII secolo, e nel campanile ci danno uno dei primi modelli del tipo più diffuso nella regione ponendosi, insomma, come una testimonianza della prima fase di diffusione delle nuove concezioni architettoniche nella regione di Varese.

Nel tentativo di delineare il percorso dell'architettura romanica in questa zona si sono avanzate ipotesi di datazione che sono, ovviamente, approssimative, e non potrebbero essere altrimenti, per la mancanza di documentazioni scritte che potrebbero illuminare le oscurità della vicenda storica dei singoli monumenti e per la perdita di molti edifici che potrebbero costituire più solide basi di confronto e di verifica. Le datazioni proposte tendono, soprattutto, a stabilire un legame comparativo non solo tra le costruzioni del territorio di Varese, ma anche tra queste ed i monumenti delle aree confinanti cosi che appaiano più chiari i caratteri a volte precoci, a volte arcaici di questa regione.

Riferendosi a questa approssimativa cronologia il testo si articola in quattro sezioni: la prima dedicata alle costruzioni del X e del XI secolo, cui fa seguito un capitolo sui grandi edifici, spesso costruiti entro un più vasto arco di tempo, nei quali meglio si comprende il passaggio alle forme del XII secolo. A questo è dedicata la terza parte che termina con le prime affermazioni del gotico agli inizi del XIII secolo. L'ultima si riferisce particolarmente alle torri campanarie.

Alcuni monumenti della regione erano già stati compresi nel quadro di trattazioni più vaste, come quelle del Porter e dell'Arslan; dei più famosi si sono spesso occupate le riviste provinciali di storia e arte; altri sono citati nelle guide ottocentesche; alcuni sono inediti. Quasi tutti sono elencati nel Liber Notitiae Sanctorum Mediolani, un fondamentale elenco delle chiese e degli altari, compilato - secondo Magistretti e Monneret de Villard che l'hanno pubblicato nel 1917 - all'inizio del XIV secolo, fondendo vari scritti ed elenchi di Goffredo da Bussero. Preziose notizie sulle condizioni di alcuni edifici alla fine del XVI, inizi del XVII secolo si rintracciano negli atti delle visite pastorali di Federico Borromeo.

Questa pubblicazione, come le precedenti che il Credito Varesino ha voluto promuovere, ha soprattutto l'intento di far conoscere, in un ambito più vasto di quello dei libri e dei periodici specializzati, un patrimonio artistico da molti ignorato o sottovalutato e che non di rado si trova in stato di conservazione veramente disastroso, come è il caso, ad esempio, della bella chiesa di Torba, ora ridotta a cadente deposito di attrezzi agricoli, o quello del battistero di Domo, che tanta importanza potrebbe avere per la conoscenza del formarsi del linguaggio decorativo romanico nei secoli prima del Mille.

Non è questa la sede, quindi, in cui condurre un'analisi minuziosa e scientifica dei singoli monumenti, quanto piuttosto l'occasione per indicare una traccia alla conoscenza di essi, per darne una visione complessiva, anche con l'aiuto della vasta documentazione fotografica.

 

 

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ISSN 2284-3620

Ultimo aggiornamento: 19 aprile 2016