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Indice dei luoghi citati
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il testo che segue è estratto da
TICINO ROMANICO
Catalogo dei monumenti
nella Repubblica e Cantone del Ticino
di Vincenzo Vicari - Lugano - Edizione Vincenzo Vicari - 1985

 

Premessa

E poi vero che il tempo muta inesorabilmente gli uomini e i loro sentimenti?

Forse càpita quand'essi vogliono lasciarsi mutare. Tutti conosciamo almeno un vegliardo con l'animo più tenacemente "ragazzo" di molti frequentatori di discoteche. Del resto, anche nel nostro "io", basta balùgini un po' di speranza tra le nubi quotidiane, basta s'accenda una brace d'amore entro la cenere e la nebbia...

Vincenzo Vicari, questo lembo d'azzurro, questa fiammella che scalda, deve aver saputo rubarli all'esistenza: e non è cambiato. Non in ciò che importa di fronte alla vita, all'umanità.

Così, per i due volumi di "Ticino romanico" ch'egli dà alle stampe in quest'anno di grazia 1985 nel quale si compie il mezzo secolo da quando ha "messo su negozio" di fotografo, si può ripetere, parola per parola, quel che Guido Calgari scrisse "a mo' d'introduzione" nel 1961 per il libro "...ed è un semplice lume" con cui il cacciatore d'immagini luganese festeggiò il venticinquesimo della sua ditta meritamente fiorita.

Esaltate le possibilità della fotografia ("capace d'imprigionare addirittura la vita, il cosmo e la terra, l'amore e la morte..."), detto ciò ch'essa costituisce per Vicari ("ragione della sua vita, il suo mestiere, se alla parola vogliam ridare il significato più bello ed etimologicamente attivo di ministero"), Guido Calgari parlava della genesi della,seducente raccolta di foto per le quali egli aveva steso i commenti. Anzitutto, la maniera in cui quel materiale era stato radunato: "...in venticinque anni messi a servizio dei clienti Vincenzo vicari ha trattenuto per sé qualche frazioncina di giornata o anche solamente qualche breve quarto d'ora ogni tanto; per sé, cioè per cogliere una scena o un volto che nessuno gli aveva ordinato, ma che gli sembravan degni d'essere fissati nel raccolto "semplice lume" del suo apparecchio, ed esser poi conservati tra le carte che si mostran soltanto agli amici; per soddisfazione propria, insomma, o, se mi consentite l'espressione grossa, per la gioia dell'artista...".

E uno dei modi non solo più gradevoli e belli, ma ancne più alti di creare le fondamenta per una costruzione di pagine: il diletto. Prezzolini lo rivendicava per tutta la sua opera culturale, dicendomi quasi polemicamente: "Io sono un dilettante: scrivo solo di ciò di cui mi fa piacere occuparmi, perché mi diletta (anche se m'attristo, m'arrabbio) scriverne come penso e voglio".

E al Vicari, l'essere padrone e "maestro" federale, di quel godimento dell'antico artigiano proprio non toglie niente.

Guido Calgari, con parola la cui cordiale bonarietà non celava l'ammirazione, celebrava l'impulso donde era nato il volume: quel XXV di negozio. Rilevava che il Vicari è stato uno dei primi Ticinesi ad entrare nel ramo della fotografia, dove s'è fatto onore e - scriveva - "gli è andata bene. Altro merito". Poi, ritornava al giubileo: "Qualcuno gli ha suggerito l'una o l'altra cerimonia, l'una o l'altra manifestazione. Dovendo buttar via qualche soldo per la festa, "padron Vincenzo" ha levato dal cassone le "sue" lastre e se le è riguardate tutte; ha scartato molta roba, benché il cuore si rifiutasse, scegliendo quelle fotografie che potessero disegnare in qualche modo non la sagoma del suo negozio, ma il volto del suo paese, che narrassero una storia bella e seria: quella del suo Ticino".

Ecco, erano già dette, con venticinque anni d'anticipo, la nascita e la lode dei due volumi che ora ci stanno davanti.
Nulla è cambiato, se non il soggetto delle foto che, stavolta, non è la vita nel Ticino bensì il Romanico nella nostra terra: o forse - suggerisce il titolo - quanto di essa è romanico, come si potrebbe cercare quanto del Ticino è granito.

Come mai sulle "lastre" (poi diventate film), Vincenzo Vicari fissò proprio il Romanico e non un altro aspetto del Ticino costruito dagli uomini? Gliel'ho domandato, non perché fosse essenziale (le circa seicento pagine si spiegano e, ce ne fosse bisogno, si giustificano da sole ad una ad una), ma per il virus dell'intervista messomi nel sangue dal giornalismo. Mi ha detto:

- Sempre, girando per il Ticino, avevo ammirato e fotografato i monumenti romanici. Erano, sono (quelli non scomparsi in mezzo secolo) un tratto caratteristica del suo volto, un elemento determinante della sua bellezza. Ma era un po' come per le vette delle montagne, per le cascate, i laghi. Ci sono, si vedono, si godono senza problemi.
Poi, nel 1936, andai a San Vigilio di Rovio con un profugo catalano acuto conoscitore del Romanico in Spagna. Davanti alla chiesa sul poggio, ci trovammo con uno dei nostri più agguerriti specialisti in storia dell'arte, don Agostino Robertini. Tra i due s'accese una discussione tanto infervorata da sembrare quasi una contesa. Mi resi conto che il Romanico è tutt'un mondo, con la sua vita, le sue oscurità, i suoi misteri. Da allora, sono andato seguendola, con la macchina fotografica, quella vita appassionante. Di tanto in tanto, vedrai, sconfinavo nella precedente o in quella venuta dopo. Non tutto il materiale proposto nei due volumi è rigorosamente d'epoca romanica. Qualche soggetto è preromanico, qualche altro già gotico.

Quale meta si è prefisso Vincenzo Vicari nel ridiventare editore e dar vita a quest'opera di vasta mole? Non certo un lucro: vi è contrasto, infatti, tra quella mole e il prezzo insolitamente modico. Ciò proprio per realizzare il proposito che sta alla base della pubblicazione e da cui parte questa nota di presentazione ch'era stata redatta da Piero Bianconi:

"L'intento che questi volumi sul Romanico nel Ticino si propongono è dichiaratamente divulgativo; non ha cioè nessuna ambizione di scoperte - rivelazioni d'archivio o sconvolgimenti cronologici - ma unicamente quella di far conoscere e ammirare e quindi amare, a chi non sia del mestiere, quanto rimane della veramente mirabile attività edificatoria nei due o tre secoli successivi al Mille; e anche, nei limiti del possibile, di dare una vaga idea di quello che allora dovette essere l'imponente patrimonio artistico romanico nella sua oggi purtroppo gravemente mutila consistenza. A tale scopo sarà utile l'elenco alfabetico che in fondo ai volumi registra con cura, se non perfettamente, tutto quanto di romanico sussiste nel nostro paese; e anche la carta che sinotticamente segna i punti che ancora conservano qualche cosa di quel periodo.
È quindi chiaro che, tra il testo e la parte illustrativa, il posto principale compete a quest'ultima, cioè alle fotografie di Vincenzo Vicari che animosamente volle l'impresa
".

Ecco così accennati, il fine, il contenuto e persino il "modo d'uso" di "Ticino romanico". Un'opera d'autentica esplorazione, necessaria già per il fatto concreto che quanto viene mostrato dalle sue pagine non di rado sfugge alla portata dell'occhio umano nelle pratiche condizioni medie della vita quotidiana.

Non sarà solo il turista a passare di scoperta in scoperta lungo questo itinerario che Vicari gli fa compiere dal San Gottardo a Tremona, con diramazioni verso ogni valle dove ci sono segni del Romanico: già noi indigeni restiamo meravigliati di quanto sia ricco quel "pianeta" ch'eravamo abituati a ritenere conchiuso entro pochi nomi di templi dominanti da alture panoramiche o ai margini della "via delle genti".

Meravigliati e persino un po' inquieti. Molte pagine di questi due volumi ci ricordano che il nostro solatìo Ticino confina con il Mistero.

Lo vogliamo chiamare Subcosciente? Non cambia molto; come dire che i fantasmi nelle notti di Vento sono prodotti dalla nostra psiche eccitata dall'elettrizzazione dell'atmosfera: se li vediamo, significa che o il nostro "io" li condensa nell'aria o da qualche parte esistono, in noi.

Perché, ad esempio, dal campanile della chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Quinto, gioia della verticale immersa nella luce, sporge, su al culmine, quel mostro in forma approssimativa di rospo? Certo, ci saranno dotte ragioni storiche, di antichissime tradizioni pagane e simili: ma somiglieranno alquanto alla spiegazione della nascita dei sogni...

Quale parola sta tra le labbra dischiuse, nell'improvviso volto liscio che appare in una piccola nicchia entro le pietre dell'abside? E perché tanta diversità tra esso e l'altra corrucciata esagitata figura con un braccio incurvato sul fianco, quasi ansa di vaso? E perché, giustapposta al turgore sensuale di vita umana e animale, di tanto in tanto torna, in affreschi e capitelli, una rigida e fredda geometria quasi iconoclastica?

Nel pensare a ciò che può aver fatto muover la mano dell'antico scultore-scalpellino, ci accorgiamo di quanto profondi siano gli abissi dell'animo umano.

Ma non solo motivi per sondare il vuoto e la tenebra (che è pur sempre un acquisto di conoscenza) ci offrono le fotografie del Vicari. Molto spesso, l'artista romanico è riuscito ad ingentilire il crudo sasso, a trame vegetazione, volute, sorriso di curve e di sfere, levità di stoffa, trasparenze quasi di ricamo. E càpita che figure mostruose o ambigue trapassino in sereni eleganti ritmi di pietra, che le colonne potenti divengano tronchi pronti a mettere germogli, che gli archi bassi e massicci acquistino lo slancio delle creature affioranti dai capitelli, che a reggere gli scuri edifici siano le amiche figure dei Santi a mezzotondo. Dopo il tumultuare dei particolari che altrimenti ben pochi avrebbero modo di vedere e dopo gli affreschi sbiaditi ormai consegnati alla sola memoria fotografica, l'opera di Vicari - per la quale Peppino Crivelli ha curato con affettuosa perizia le riproduzioni e la tipografia Gaggini-Bizzozero una stampa esemplare - di tanto in tanto sboccia in più note visioni esterne complessive, come quella della chiesa di San Giorgio sul colle di Prato Leventina: ed allora si resta incantati del modo in cui il Romanico ha saputo far crescere il paesaggio, dandogli suggestioni e anima inconfondibili.

L'assoluta concisione delle didascalie in quattro lingue è, da sola, un incitamento al viaggio, ad andare a conoscere sul posto ciò che l'obiettivo di Vincenzo Vicari come per magìa ci ha portato in casa.

Giuseppe Biscossa

 

 

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ISSN 2284-3620

Ultimo aggiornamento: 19 aprile 2016