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IL CHIOSTRO

 

Abbazia di Vezzolano - Il Chiostro
Il Chiostro dell'Abbazia di Vezzolano

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Se nella chiesa si sviluppano sensazioni spirituali, il chiostro è elemento catalizzatore di profonde sensazioni umane: tranquillità, meditazione, concentrazione, riflessione. Penso a quel piacere intimo che proverei se fosse una giornata di pioviggine, dove il rumore delle gocce sulle foglie del giardino crea un ambiente che ci avvolge sin nel profondo, e possiamo passeggiare all'infinito, sentendoci protetti da ogni intemperie naturale e dai mali del mondo.

Moraliter vero claustrum, est animae contemplatio ubi se recipit, à turba cogitationum carnalium separatur, & sola coelestia meditatur

Così si esprime Gulielmo Durando, insigne autore di scritti liturgici del XIII secolo, nel suo "Rationale Divinorum Officiorum" nel volume dato alle stampe nel 1592.

E allora contempliamo questo bellissimo chiostro di Vezzolano, per la diversità architettonica che si evidenzia sui suoi percorsi e per le decorazioni pittoriche che lo impreziosiscono.

Contemplo e racconto.

Non appena si accede, l'attenzione viene catturata con spontanea curiosità verso il lato destro, dove una sequenza di affreschi rompe l'umile essenzialità della costruzione romanica, con decorazioni ed immagini sia sulle pareti sia sugli archi.

Primo settore

Soffermiamoci sul primo settore che incontriamo, completamente ricoperto dalle pitture, articolate in diversi quadri disposti l'uno sopra l'altro, tuttora in eccellente stato di leggibilità.

Ecco che nel massimo riguardo, sopra ogni altro, è la Majestas Domini: la mandorla, il Cristo benedicente, i simboli degli Evangelisti, in altre parole il Tetramorfo. Immagine ricorrente nelle strutture ecclesiastiche medioevali che si sviluppa sulla base degli scritti sacri del Vecchio Testamento, in particolare su quanto racconta Ezechiele, poi ripreso nell'Apocalisse di San Giovanni. Ezechiele ci illustra l'apparizione che ebbe della gloria del Signore (Ez,1,10) proprio con parole che suggeriscono l'immagine cui l'artista cerca di ispirarsi e poi di riprodurre.

L'aspetto delle loro fattezze era il seguente: uno avea le fattezze d'uomo; uno le fattezze di leone, quello a destra dei quattro; uno le fattezze di bue, quello a sinistra dei quattro; e uno le fattezze d'aquila, a ridosso dei quattro.

Nella costruzione pittorica queste quattro figure, tutte alate, identificano gli Evangelisti: Matteo l'uomo, Marco il leone, Luca il bue, Giovanni l'aquila. In aggiunta qui si leggono con chiarezza nei cartigli, a maggior identificazione, le frasi iniziali dei Vangeli loro attribuiti. Un ulteriore esempio lo abbiamo già trovato nel pontile all'interno della chiesa, pur in una collocazione descrittiva completamente diversa nella singolarità degli elementi che lo costituiscono.

Ed ora scendiamo di un quadro, dove la scena appare più "umana", più legata alla cronaca di fatti concreti e di narrazioni di vita.

Pur nella facile rilevazione dell'episodio ritratto, e cioè l'adorazione dei Magi giunti dall'Oriente seguendo i segni rivelatori della nascita di Gesù, tuttavia in questo quadro abbiamo qualcosa in più, un'aggiunta specifica, particolare. Anzitutto scopriamo quale sarebbe l'essenzialità del racconto illustrato. Lo facciamo con l'aiuto della guida per i pittori del sacro cui abbiamo già fatto ricorso in altre occasioni; un documento stilato nel XV secolo da un monaco del Monte Athos ma su tradizione ancor più antica. Le indicazioni sul come dipingere l'episodio sono chiare e dettagliate:

… La santa Vergine seduta su uno scranno ha in braccio Cristo bambino benedicente. Davanti a lei, i tre Magi offrono i loro doni in scrigni d'oro. Uno dei re, vegliardo e con una barba folta, a capo scoperto, si inginocchia guardando Cristo; con una mano gli offre il suo dono e, con l'altra, regge la sua corona. IL secondo re ha la barba rada; il terzo non ce l'ha affatto. Essi si guardano fra di loro e si mostrano Cristo a vicenda. Dietro la santa Vergine, Giuseppe è in piedi, in estasi…

Sin qui tutto andrebbe bene, se non fosse per il fatto che sulla destra intervengono altre figure. Mentre il Bambino mantiene la propria attenzione riconoscente sul Mago inginocchiato davanti a Lui, la Madre viene distolta dal cenno di un angelo, che sembra in atteggiamento per dire: "Scusa, ho un amico da presentarti" e con la mano sinistra spinge l'uomo a compiere l'atto di riverenza in adorazione, o forse in supplica. La Madre si volta e lo saluta, ma dall'espressione del viso di Giuseppe, che ha già accettato uno dei regali dei Magi, lo sguardo duro in tralice, traspare un forte disappunto per questa inattesa interferenza alla solennità di uno dei primi momenti di vita familiare. Probabilmente l'uomo è l'esponente della famiglia dei Rivalba che ha offerto la decorazione pittorica (e certamente altro all'abbazia) e che ha in dedica questo settore.

Ed eccoci giunti all'ultimo quadro, inferiore, quello che si trova proprio ad altezza d'uomo, davanti ai nostri occhi.

Ci troviamo di fronte ad una illustrazione che viene normalmente titolata "Incontro tra i tre vivi ed i tre morti", seppur non eccezionalmente rara, tuttavia è difficile da trovare così ben illustrata. Io ebbi modo di documentarne una in condizioni ben peggiori all'interno della chiesa abbaziale di Sesto al Reghena (per i lettori incuriositi, rivista n. 5 del 2008). L'immagine è ricavata da varie citazioni similari in un insieme di 4 poemetti di origine francese risalenti al XIII secolo; in questi ricorre la frase, nella lingua francese d'epoca, che racchiude la chiave del racconto, e cioè: "Nous avons esté ce que vous estes, vous serez ce que nous sommes", ovvero "noi siamo stati ciò che voi siete, voi sarete ciò che noi siamo". Questo dicono i tre morti ai tre cavalieri vivi, di ritorno dalla caccia: in pratica, alla morte nessuno può sfuggire. Certamente, a ben vedere, in questo dipinto sopra ogni altro messaggio vince la dinamicità che l'artista ha voluto concentrare nel terrore degli uomini e dei cavalli, meno nei segugi, che tentano di coprirsi e di distogliere la vista dalla orripilante immagine di ciò che il futuro prepara loro. Da notare la presenza di una sorta di interlocutore, che nell'iconografia appare solamente alla fine del XIV secolo; è il monaco eremita, una figura narrante, chiarificatrice, che regge il cartiglio con la frase sulla quale i vivi sono chiamati a meditare. Questo elemento potrebbe essere di particolare e significativa rilevanza, perché l'epoca della pittura è stata identificata nell'anno 1354, ad opera di un artista di Montiglio; se ciò fosse vero, e non si ha alcuna ragione per dubitarne, ci troveremmo di fronte ad una delle prime rappresentazioni in assoluto dove compare il monaco. Ma le sorprese non terminano qui; ben altro si è rivelato, ma solamente mentre lavoravo alla preparazione delle immagini, nel mio studio, durante l'elaborazione grafica dello scatto fotografico. Nello spazio delimitato alla sinistra dalle zampe anteriori del cavallo bianco ed alla destra dal saio del personaggio si trovano alcuni graffiti. In alto uno scritto, di cui mi è stato impossibile interpretare il contenuto. Più in basso un cerchio inscrive una sorta di fiore a sei petali. Tale simbolo è di origine antichissima, ritrovato persino su steli del III secolo a.C. ed anche con legami a divinità fenicie; nel più recente, in termini relativi, è frequente la presenza in ambienti ecclesiastici legati all'Ordine dei Templari. Che anche in questo luogo lo sia o meno non è importante; lo è invece il significato che assume in questo specifico contesto pittorico, perché questo simbolo è, nella maggior parte dei casi, identificato come "fiore della vita". Ed ecco allora che si contrapporrebbe in modo perfetto all'altro simbolo che appare tracciato sul saio: una clessidra; simbolo per eccellenza del tempo che scorre. Forse che qualcuno ha voluto inserire, oltre il primo visibile, un ulteriore messaggio nel dipinto? Un particolare memento mori, ricordati che devi morire?
Proseguiamo nel corridoio ed osserviamo il prossimo settore.

Secondo settore

Di questo rimane solamente la lunetta superiore.

Di fattura completamente diversa da quello precedente (la datazione è anteriore di un secolo), qui l'affresco concentra l'attenzione sulla Madonna, in maestà, che sorregge sulle ginocchia il Bambino che benedice. Ai lati, due angeli incensano con il turibolo. Sin qui siamo nella classica rappresentazione della Theotocos, la Madre di Dio. Ed è proprio da questo che nasce un aspetto curioso del dipinto, e forse degno di particolare attenzione. Sulla sinistra un angelo richiama l'attenzione della Vergine su un personaggio inginocchiato. Costui regge in mano, con gesto offerente, quelli che sono nella tradizione iconografica degli scrigni che contengono cose preziose: qui sono tre. Questo numero non ci ricorda forse l'offerta in adorazione fatta dai Magi? E nella iconografia dei Magi, gli scrigni non sono forse di tal genere? Osserviamo allora il suo copricapo; sembra proprio sia o una corona o una kefiah, ed il profilo dell'uomo sembra richiamare i tipi mediorientali. In questo processo indiziario, sorge un ragionevole dubbio che l'immagine, da una parte per la Madonna in maestà e dall'altra per l'offerta di doni da un personaggio di supposta origine orientale, rappresenti la pur classica Adorazione dei Magi. Del resto nessuno scritto riporta quale fosse il numero esatto dei Magi, solamente Origene di Alessandria, teologo vissuto a cavallo tra il II ed III secolo, lo ha indicato nel numero di tre. Forse ci troviamo di fronte ad un unicum di un artista che ha voluto proporsi in modo originale, ma nemmeno troppo. Per quanto riguarda la presenza sulla destra di un ecclesiastico, non ho mai saputo come riconoscere l'identità di personaggi rappresentati in immagini simili, in nessuna occasione; perdonate.

Terzo settore

Proseguiamo verso il prossimo settore, dove però la costruzione di una scala ha violato l'integrità della lunetta, unico dipinto anche qui rimasto.

Ormai siamo in grado di riconoscere il tema ricorrente della Majestas Domini e del Tetramorfo.

Non è quindi il caso di soffermarci ulteriormente e proseguiamo verso il prossimo settore, di gran lunga più completo.

Quarto settore

Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un dipinto composto da quadri sovrapposti.

La lunetta superiore è impegnata dalla ormai ben nota Majestas Domini con il Tetramorfo. Qui, per non lasciare alcun dubbio al visitatore in contemplazione, l'artista ha posto dei cartigli su ogni elemento, così da identificarlo in perfetta coerenza con il corrispondente Evangelista. Però la curiosità delle cose ignote cade altrove, sulla decorazione dell'arco che sovrasta la lunetta, dove sono dipinti diversi medaglioni con ritratti di personaggi le cui identità si celano nella storia dei luoghi; ci sono ecclesiastici benedicenti con mitria e pastorale, fanciulle, frati con tonsura e sguardi truci; un angelo, forse, in "chiave di volta". Lasciamo ad altri, se lo vorranno, di schiudere lo scrigno delle loro vite.

Abbassiamo lo sguardo sul quadro inferiore. Come d'uso, la Vergine ed il Bambino sono al centro della scena. Gesù tiene nella mano sinistra un uccello, che per dimensioni può essere interpretato, senza dubbio, come la classica colomba, simbolo iconografico della pace offerta ai credenti defunti. Quindi potrebbe essere che tale sia proprio il cavaliere, ancora vestito con l'armatura, appena smontato dal suo cavallo e presentato alla Madonna da San Giovanni Battista, facilmente riconoscibile per il povero abbigliamento, che come eremita nel deserto risulta sempre vestito in pelli di cammello. Dalla parte opposta è San Pietro, chiavi alla mano, per aprire le porte del Paradiso a colui che sopraggiunge.

Parete di fondo.

Davanti a noi ora la parete di fondo che apre a sinistra il nuovo lato del chiostro.

Qui la decorazione ad affresco è molto ridotta dalla rovina generalizzata che riduce la lettura a poche aree; tuttavia anche in queste si trovano diversi spunti di riflessione.

Poco sopra l'altezza d'occhio, una scena di caccia: cavalli, cani, falconi. I cavalieri guardano leggermente verso l'alto, e tengono le mani alzate; alla destra, il falcone si è appena involato lasciando l'appoggio del guanto protettivo che il suo padrone indossa sulla mano sinistra. Nella didascalia, poche parole leggibili facilmente: res orrida, stupenda. Ciò farebbe pensare che i cavalieri siano rimasti stupefatti dalla visione di qualcosa di orrendo; forse ci troviamo di fronte ad un'ulteriore rappresentazione della leggenda dei tre vivi e dei tre morti, che abbiamo già trovato magnificamente illustrata nella prima sezione, alla quale peraltro una valutazione storica attribuisce la data di creazione ad un periodo successivo a quello che stiamo osservando. Per questo motivo sarebbe stato veramente interessante se si fosse avuto modo di scoprire cosa vi fosse dipinto davanti ai cavalli, e cioè se vi fosse o meno l'eremita; la sua assenza avrebbe dato ancor più credito a quanto osservato circa il periodo della sua prima apparizione nelle illustrazioni iconografiche, nondimeno comunque la sua presenza avrebbe ancor maggiormente interessato la cronistoria e la posizione temporale del primo evento. Peccato.

Ed ora alziamo lo sguardo su quanto rimasto del dipinto superiore. Indubbiamente si tratta della Crocifissione. Chi non avesse dimestichezza con l'iconografia cristiana sarebbe portato a pensare, come frequentemente avviene, che il teschio posto ai piedi della croce sia il simbolo del Golgota, così descritto nel Vangelo di Giovanni (19,17):

E portando egli la sua croce, si avviò verso il luogo detto «del Teschio», ma in ebraico «Gòlgota»

Invece l'esatta interpretazione viene dalla leggenda secondo la quale la croce della crocifissione di Cristo è stata posizionata sul luogo della tomba di Adamo, e quindi il teschio è quello del nostro primo genitore; del resto gli aspetti iconografici sono confermati dal testo che abbiamo più volte avuto quale riferimento, e cioè quella guida per i pittori del sacro, stilata nel XV secolo da un monaco del Monte Athos su tradizione ancor più antica; vi si legge, nella descrizione di come dipingere la Crocifissione:

… Ai piedi della croce c'è una piccola grotta, in essa si trova il cranio di Adamo…

Ma questo aspetto non è poi così curioso, vista la frequenza con la quale artisti di tutti i tempi ne hanno fatto pienamente uso. Di maggior interesse è quanto appare sulla sinistra; si vede chiaramente una mano che tiene stretta un'altra mano, come se il personaggio volesse mostrare qualcosa al Crocifisso, forse ricordando un avvenimento della sua vita. E forse qui ci vuole un po' di beata fantasia, mantenendosi entro i limiti dell'umana tolleranza, ovviamente. Infatti una mano mozzata è più presente nelle storie che nelle iconografie, ed allora proviamo a valutare questo aspetto del dipinto. E' una mano destra che stringe l'altra, che tuttavia sembrerebbe essere destra pur'essa. Questi indizi ci portano verso un personaggio, Dottore della Chiesa, al quale venne tagliata proprio la mano destra, ma che la Madonna gli restituì riattaccata al polso, tant'è che l'iconografia ortodossa ha tra le immagini della Vergine propria quella chiamata Tricherusa, cioè con tre mani; la terza di queste è quella offerta e lasciatale da San Giovanni Damasceno, teologo vissuto a cavallo tra VII ed VIII secolo. Sarà lui il personaggio di cui parliamo? Ci piace crederlo perché sarebbe veramente una rara raffigurazione. E qui, in questa abbazia, di cose interessanti e curiose ne abbiamo trovate parecchie. Ma su questo affresco mi fermo, perché il personaggio in opposizione posizionale, a destra, rimarrà lacerato per sempre e purtroppo nel più profondo anonimato; potrei fare solo illazioni iconografiche prive di qualsiasi prova; meglio evitare e lasciare quel po' di mistero che peraltro piace proprio per questo.

Prima di lasciare il chiostro volgiamo la nostra attenzione a i capitelli che si trovano verso il giardino; uno di questi è di particolare interesse.

Il capitello incompiuto

Su un lato è raffigurato una personaggio alato, imponente, riccamente drappeggiato, nella mano regge un giglio, e questo lo identifica con certezza nell'Arcangelo Gabriele, protagonista dell'Annunciazione. Sull'altro lato rimane ancora in bozza, incompiuta, la raffigurazione della nascita di Gesù: la Vergine distesa a riposo, il Bambino nella mangiatoia ben riscaldato dal bue e dall'asinello. E' da notare che nei Vangeli, laddove si racconta della nascita del Salvatore, non si menziona in alcun modo la presenza di questi due animali; tuttavia essi sono presenti sin dalle prime rappresentazioni, forse sulla scorta di un brano del Vecchio Testamento dove Isaia, in una visione, li identifica. E che Presepe sarebbe senza di essi? Ben scolpite e portate a compimento le due figure, in piedi, con il personaggio di sinistra che cinge affettuosamente con il braccio le spalle del personaggio di destra. Alcuni hanno interpretato l'insieme scultoreo del capitello come un'illustrazione multipla e cronologicamente sequenziale delle scene dell'Annunciazione, della Visitazione (di Maria ad Elisabetta) e della Natività. Tuttavia nell'immagine della Visitazione vi sono alcune particolarità che lasciano perplessi. Perché i due personaggi non hanno l'aureola, che tutti gli altri invece hanno? Perché non si abbracciano, come viene illustrato in tutta l'iconografia dell'evento? Forse che il personaggio di sinistra è identificato con Maria perché porta in capo una corona? Verrebbe da pensare che l'artista sia stato cacciato a metà dell'opera proprio perché di iconografia poco sapeva. Resta il fatto che comunque lo scultore è riuscito a pervadere le due figure con una tenerezza immensa, l'una protettiva nei confronti dell'altra.

La Madonna sorridente

Stavo già per concludere la visita, quando mi sono accorto di aver dimenticato un affresco che si trova proprio sopra il passaggio che riconduce nella chiesa. Si tratta di una magnifica Madonna in maestà, con due angeli che volteggiano il turibolo, mentre il Bambino benedicente gioca con la cintola della Madre. Finalmente quattro volti che si presentano al visitatore con un bel sorriso. Ne abbiamo visti ben pochi qui nel chiostro, tra spaventi e tristezze di varia natura. Un messaggio che ci riconcilia piacevolmente con il luogo e con i suoi personaggi.

Amen.

 

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ISSN 2284-3620

Ultimo aggiornamento: 19 aprile 2016