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L'INTERNO DELLA CHIESA

Santa Maria di Vezzolano - Il pontile
Il pontile di Santa Maria di Vezzolano

 

Varchiamo la soglia ed entriamo in un ambiente di cui non ho trovato eguali. Ci troviamo in una zona separata dall'aula vera e propria, cioè nell'atrio ed in quella parte che talvolta è denominata come nartèce e che in pratica divide l'edificio in due settori diversificati per condizioni di accessibilità: ai battezzati è consentito l'accesso all'aula mentre a coloro che si preparano al battesimo, ai catecumeni, è concesso solamente l'accesso allo spazio dove ci troviamo ora. Qui la divisione degli ambienti è ben identificata da una costruzione assolutamente rara, se non unica nel suo genere, che appare quasi aliena al resto dell'architettura; una linea di colonne sormontata da archi a sesto acuto sorregge quella che a prima vista potrebbe apparire come una balconata. Il colonnato è costruito al solo scopo di costituire l'elemento divisorio degli ambienti, ma fors'anche per dare particolare risalto al decoro policromo da esso sostenuto, già di per sé di grande effetto per la presenza di innumerevoli personaggi assisi in schiera e di scenette, per così dire, illustrate. Un'iscrizione, peraltro difficile da rilevare con completezza e certezza, è posta alla loro base e colloca la realizzazione artistica nel tempo medioevale: l'anno 1188.

ANNO AB INCARNATION DNI MCLXXXVIII REGNANTE FEDERICO IMPRE

Siamo negli anni che vedevano in piena vita personaggi talvolta traslocati nelle leggende, come Federico Barbarossa, di cui qui si parla, e di Riccardo Cuor-di-Leone. Il Marchese di Monferrato, Corrado, invece si trovava molto distante da questo territorio, pur di sua giurisdizione, a combattere contro il feroce Saladino in una fra le più significative vittorie dei Crociati in Terra Santa, dando scacco al Saraceno e liberando dal suo assedio quella che fu Tiro, nell'odierno Libano, sulla strada per Gerusalemme.

Il pontile

Lasciamo i ricordi storici dai quali ci separano quasi mill'anni, ma ricordiamo che questa è l'età delle opere che qui si presentano alla nostra ammirazione. Ed allora osserviamole con attenzione, ricercandone i significati, ma sempre con la necessaria mediazione d'epoca, della storia o della leggenda. E della fede.

Gli Evangelisti

All'estremo sinistro e destro della fascia più alta, cioè quella occupata dalle scene, troviamo i simboli degli evangelisti; a sinistra l'Aquila di Giovanni ed il Toro di Luca, a destra il Leone di Marco e l'Uomo di Matteo; immagini che rimbalzano dai testi sacri dove nell'Apocalisse di Giovanni si legge:

[4,7] Il primo vivente era simile a un leone, il secondo essere vivente aveva l'aspetto di un vitello, il terzo vivente aveva l'aspetto d'uomo, il quarto vivente era simile a un'aquila mentre vola.
[4,8] I quattro esseri viventi hanno ciascuno sei ali, intorno e dentro sono costellati di occhi;

Eccoli infatti tutti dotati di ali, come previsto dai testi e richiesto dall'iconografia più classica.
Per quanto riguarda l'interpretazione che possiamo dare a queste figurazioni è curioso e di facile comprensione quanto si trova nella più interessante guida per i pittori del sacro, stilata nel XV secolo da un monaco del Monte Athos su tradizione ancor più antica.

Quello come un uomo significa l'incarnazione; il leone rappresenta la forza e la regalità; il vitello indica il sacerdozio e il sacrificio; l'aquila indica l'ispirazione dello Spirito Santo.

Vita della Vergine

Vediamo ora ognuna delle tre scene che completano questa fascia superiore, partendo da quella di sinistra.
Come non fare ricorso ancora una volta alla guida di cui ho appena parlato? Nulla di più perfetto per identificare alcuni tra i personaggi che popolano la prima scena, che rappresenta la sepoltura della Vergine. La guida suggerisce la rappresentazione.

Una tomba. Dentro, l'apostolo Pietro che sorregge la santa Vergine dalla testa; fuori, Paolo la sorregge per i piedi; Giovanni il teologo la abbraccia. Gli altri apostoli, tutt'intorno, portano ceri e si disperano.

Sembra proprio che il nostro artista abbia seguito le antiche indicazioni con il massimo rispetto. Anche gli aspetti tecnici sono pregevoli, ed attira la distinzione tra la laccatura nella pittura dei personaggi nei confronti del sarcofago lasciato al grezzo, in una presentazione oltremodo realistica della pietra.

Sorpassiamo per ora la scena al centro e portiamo la nostra attenzione su quella di destra.

In questa scena si vede chiaramente una figura distesa, nell'atto di rialzarsi; due angeli la sorreggono, come per aiutarla nel levarsi; altri tre, con turibolo e veste azzurra, spargono l'essenza d'incenso nell'ambiente. Sul sarcofago un'iscrizione di difficilissima lettura.

SURGE PARENS XPI TE VOCAT QUEM GENUISTI

Per interpretare questa scena è indispensabile uscire dai testi canonici, per studiare quelli che vengono definiti come apocrifi. Solo in questi, infatti, si possono trovare le storie che riguardano la Vergine e la sua vita dopo che il Figlio fu crocifisso e risorto. Per questa specifica scena, che mostra un momento preliminare all'assunzione delle Vergine al cielo, ma che certamente nell'intento dell'artista vuole simboleggiare l'evento nel suo complesso, troviamo riscontro in un manoscritto di San Giovanni, l'evangelista detto anche il Teologo. Nel documento egli racconta

XLVIII
Avvenuto questo miracolo, gli apostoli trasportarono il feretro e deposero il suo prezioso e santo corpo a Gethsemani, in una tomba nuova. Ed ecco un soave profumo uscì dalla santa tomba della Nostra Signora, Madre di Dio. E per tre giorni si udirono voci di angeli invisibili, i quali glorificavano colui che era nato da lei, Cristo nostro Dio. Ma, compiuti tre giorni, non si udirono più le voci e pertanto tutti capirono che il suo immacolato e prezioso corpo era stato trasferito in Paradiso.

Proprio come riporta l'iscrizione. Una testimonianza più che probabile circa la fonte cui l'artista si è ispirato. Si rivela interessante anche il collegamento che possiamo fare con la datazione offerta dall'iscrizione di cui abbiamo già parlato: 1188. Di fatto gli episodi raccontati nel documento apocrifo non sono mai comparsi in alcun manoscritto che fosse di pubblicazione antecedente al secolo XI; ecco quindi che potremmo trovarci di fronte ad un artista eccezionalmente aggiornato, addirittura coevo con una delle prime diffusioni delle storie della Madonna. Di certo possiamo dire che furono i testi apocrifi la sua ispirazione.

Ed eccoci finalmente alla fase culminante, all'ultimo atto della rappresentazione mariana, cioè all’incoronazione quale Regina, la cui scena non a caso è posta al centro assoluto della balconata. Due angeli con i turiboli, il Figlio con la mano benedice la Madre, entrambi incoronati.

COLLOCAT ECCE PIAM XPS SUPER ASTRA MARIAM

A ben vedere si tratta in realtà di un momento che non può essere se non successivo all'incoronazione vera e propria, o forse addirittura siamo di fronte ad un significato completamente diverso; l'atto cerimoniale si è già compiuto, ed infatti la Vergine ha già la corona sul capo. Una simile raffigurazione è piuttosto rara nei confronti della frequenza con la quale invece si rappresenta il momento della posa della corona. Un esempio di questo genere lo troviamo in Francia, sul portale della cattedrale di Senlis; ma qui a Vezzolano forse abbiamo qualcosa di più, che peraltro sembra presentarsi in perfetta coerenza con quanto abbiamo scoperto in precedenza studiando le diverse scene. Osserviamo dove si trovano seduti i personaggi centrali: indubbiamente non è un trono, come l'evento richiederebbe nelle proposte iconografiche. Ed inoltre, al centro del quadro si rileva dal fondo uno strano oggetto, che sembra terminare verso il basso con una sfera dorata ed una striscia verticale. Proviamo allora a seguire di nuovo quanto consiglia la guida per gli artisti bizantini, laddove parla di rappresentare la Vergine quale fonte della vita.

Una fontana tutta d'oro. In mezzo, la Madre di Dio, ha le mani levate in aria. Davanti a lei c'è Cristo benedicente a destra e a sinistra, con il vangelo sul petto che contiene queste parole: «Io sono l'acqua viva».

Ecco allora che l'immagine si rivela in una nuova prospettiva e mi richiama la visione di due persone sedute sul bordo di una vasca, del tutto simile a quegli abbeveratoi che in luoghi montani si incontrano frequentemente in prossimità delle sorgenti naturali, scavati in un blocco roccioso a forma di parallelepipedo, con un tubo che in continuità alimenta con l'acqua pura della vicina fonte.
Un vero peccato che questo sia solamente un sogno iconografico; è molto più probabile che l'oggetto fosse semplicemente la parte culminante di un bastone, ora scomparso, che la Madonna teneva stretto nella sua mano, uno scettro insomma, più banalmente; la proposta iconografica della "sponsa Christi" laddove lo scettro viene passato dal Figlio alla Madre assieme alla corona. Peccato; mi piaceva l'idea della fontana.

La genealogia di Cristo

Ora non resta che affrontare l'ultima fascia, quella dei personaggi seduti. Abbiamo lavoro facile: ognuno di loro porta in grembo un cartiglio con il proprio nome. Ma, al di là di questo particolare che serve alla loro identificazione, chi sono costoro e perché sono tutti assieme in questa lunga fila? Cosa rappresentano? E' proprio uno dei sacri testi evangelici che ci racconta di loro; così infatti inizia Matteo.

[1] Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo.
[2] Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli,
[3] Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esròm, Esròm generò Aram,
[4] Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmòn,
[5] Salmòn generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse,
[6] Iesse generò il re Davide. Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa,
[7] Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asàf,
[8] Asàf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia,
[9] Ozia generò Ioatam, Ioatam generò Acaz, Acaz generò Ezechia,
[10] Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia,
[11] Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.
[12] Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatiel, Salatiel generò Zorobabèle,
[13] Zorobabèle generò Abiùd, Abiùd generò Elìacim, Elìacim generò Azor,
[14] Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd,
[15] Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe,
[16] Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo.
[17] La somma di tutte le generazioni, da Abramo a Davide, è così di quattordici; da Davide fino alla deportazione in Babilonia è ancora di quattordici; dalla deportazione in Babilonia a Cristo è, infine, di quattordici.

Come dice il primo versetto, si tratta della genealogia di Gesù Cristo, e qui non manca proprio nessuno, posti per bene nella sequenza delle generazioni. O meglio, qualcosa è da rimarcare. Il primo personaggio a sinistra non è Abramo, ma Giuda, e quindi mancano all'inizio le figure di Abramo, Isacco e Giacobbe. E poi, i personaggi sono 35, ma la sequenza evangelica ne prevede 40. Se ai 35 presenti aggiungiamo i primi 3 mancanti, otteniamo 38; ne mancano ancora due, ed infatti l'ultima figura è quella di Mattan. Dove sono Giacobbe e Giuseppe? Basta allungare un poco lo sguardo e li scorgiamo appena a fianco di Mattan, ma relegati a semplici dipinti sul pilastro. Chissà se si è trattato di un errore di calcolo dell'artista, di scarsa valutazione degli spazi disponibili. Oppure nell'insieme è custodito un messaggio criptico? Non interroghiamoci oltre, ma godiamoci il piacere di valutare con occhio attento ma genuino quello che abbiamo a disposizione. E di aspetti curiosi ne abbiamo diversi. Intanto partiamo dal centro della schiera dove siedono i tre personaggi forse più importanti delle storie bibliche: Iesse, che ha dato il nome all'iconografia grafica dell'albero genealogico del Signore come riportato dal profeta Isaia; re Davide, denominatore della stirpe davidica; re Salomone, simbolo per antonomasia della saggezza infusa. Tuttavia è l'artista il grande protagonista di questo insieme di figure, nelle quali ha cercato, riuscendovi perfettamente, di plasmare una spiccata espressività. Così vediamo un Esròm che annoiato si sorregge il capo, un dubbioso Roboamo che pensieroso si liscia la barba, un impressionato Obed che sembra domandarsi cosa stia succedendo di tremendo mentre Booz si pasce della sua pinguedine, quanto avviene non turba invece Acaz che chiacchiera col padre Ioatam avvicinandosi al suo orecchio. Una fotografia scolastica (ma sia detto senza voler in alcun modo scomodare la filosofia cristiana medioevale).

La sequenza delle fasce si conclude con una iscrizione che fa da sfondo alla schiera dei personaggi ed in lingua latina ne vuole svelare il significato.

HEC SERIES SANCTAM PRODUXIT IN ORBE MARIAM QUE PEPERIT VERAM SINE SEMINE MUNDA SOPHIAM.

Con sorpresa quindi ci troviamo a scoprire che, contrariamente a quanto la sequenza biblica intende significare mostrando la stirpe di Cristo che termina con Giuseppe, qui si propone un riscontro dove la serie santa conduce a Maria, una proposta assolutamente rara nell'iconografia seppur in qualche modo introdotta dallo stesso Matteo. E' da dire che tuttavia non è certamente una rappresentazione della reale genealogia della Vergine, ma piuttosto una figurazione, peraltro solo didascalica, particolare, quasi allegorica, che vuole ricordare come la Madonna sia stata un elemento fondamentale nella preparazione alla venuta del Messia, così come lo sono stati i di lui progenitori. Siamo comunque molto vicini a definizioni che risalgono all'antica chiesa orientale, riconoscibili per esempio nella frase "… que peperit veram … sophiam" cioè che partorì la vera Sapienza, qui espressa con un termine inusitato di origine greca con richiami esoterici. Ci troviamo in anni dove in queste espressioni, ed anche nelle immagini, si sente ancora l'influsso di Bisanzio e dell'ortodossia d'Oriente.

L'aula

E' giunta l'ora di ritenerci battezzati e di seguire il percorso che porta nell'aula che a quelli come noi è dischiusa. Ed allora procediamo oltre passando sotto la balconata.

Nulla mi attira maggiormente delle cose poco visibili; credo che sia nella natura di ognuno di noi. Ecco quindi che non è l'aula nel suo complesso ad attrarre la mia attenzione, ma una lapide, non propriamente intesa come tale ma dipinta, inserita in una parete, in un cantone oscuro, a destra non appena entrati nella navata centrale. Non sarebbe nulla di particolarmente interessante se non vi fosse iscritta una frase con caratteri greci, lingua che peraltro non sono in grado di interpretare. Ma quel piccolo sforzo di ricerca che ho potuto dare mi ha portato a scoprirne almeno la traslitterazione e la conseguente traduzione: zoé kai psycé, cioè vita e anima, una sequenza di parole riportate in latino anche nelle prime righe come "corpus spiritus". E' una frase che non avrebbe avuto alcun interesse, dispersa tra le miriadi similari, una come tante sulle lapidi dedicatorie, qui riferita ad un certo Thomas Grisella. Ma la frase è rimasta registrata in un testo che, in forma di articolo nella "Rivista di Filologia" del 1874, raccoglie ad opera di Giacomo Lombroso un "Saggio d'inventario delle iscrizioni greche di Torino", e che mi ha consentito di capire come la frase fosse poi di uso comune da parte di antichi scrittori greci e latini, talvolta in ambiti a dir poco profani. Un'altra piccola curiosità.

L'idea che vi sia un chiostro da visitare, intravisto nella visione dall'alto al mio arrivo, mi pone fretta verso quella parte sconosciuta. Osservo quindi l'aula senza porre particolare attenzione.

Possiamo lasciarci attrarre un attimo ancora dall'altar maggiore, dove è in bella mostra di sé una rappresentazione policroma, forse già un po' barocca nella ricchezza esuberante dei particolari architettonici. E' quello che si suole definire come trittico, cioè una composizione di tre diverse immagini che, pur inserite in quadri separati, tuttavia costituiscono una scena unica. In questo, che è posto nel luogo più santo, campeggia al centro la Madonna; alla sinistra un personaggio barbuto sembra sollecitare un altro inginocchiato a rivolgersi alla Vergine; sulla destra, in abito vescovile e con un libro in mano, Sant'Agostino, Vescovo di Ippona e Dottore della Chiesa. Mi sembra molto improbabile che, come riportato in alcuni documenti illustrativi della scena, questo personaggio possa essere identificato con San Macario, quel vescovo di Gerusalemme che rinvenne la Santa Croce. Ad onor del vero è opportuno dire, comunque, che riconoscere i vescovi è la cosa più difficile che si possa chiedere agli iconografi pur esperti, figuriamoci per i dilettanti tra i quali io mi riconosco.

Per questa parte della chiesa mi è rimasto il rimorso di non aver osservato con maggiore attenzione due figure, che in quel momento della mia visita si trovavano in una condizione di luce tale da impedirmi di apprezzarne la bellezza, addirittura di scoprirne la presenza che si è rivelata solamente nell'analisi di una fotografia dell'intero presbiterio; la piena luce della finestra monofora al centro dell'abside, dietro l'altare, me lo ha impedito. Pessimo quindi il risultato documentale della mia cattura fotografica, anche perché sono solito osservare con assoluto scrupolo la regola che impedisce di scattare fotografie con l'uso di accessori di illuminazione artificiale, che in questo caso avrebbero mitigato se non risolto il problema tecnico. Si tratta di due bellissime sculture policrome che rappresentano, nel loro insieme, il momento dell'Annunciazione; la posizione di sinistra è classicamente riservata all'Arcangelo Gabriele, quella di destra alla Vergine Maria. Voglio comunque ritornare sull'argomento dell'illuminazione. Io ritengo che per catturare la reale atmosfera degli edifici sacri, ed in particolare delle opere pittoriche o scultoree che vi sono custodite, sia necessario mantenere la condizione di luce così come l'architetto o l'artista l'hanno vista e studiata nel loro tempo; essi non erano certo dotati d'altra luminosità se non quella del sole che penetrava con la sua luce concentrata e smagliante dalle finestre, oppure dalla fievole luce diffusa dalle molte candele o lampade ad olio che costellavano l'aula, poche le fiaccole che avrebbero fumigato irriverentemente sulle immagini sacre. E' quindi raro trovare opere collocate in una posizione dove la luce primaria le opprime piuttosto che esaltarle. Ed infatti la presenza delle due figure ai lati della grande monofora absidale sono sfuggite al mio occhio, oppresso dal controluce, e sono certo che la loro bellezza sarà pure sfuggita a quello dei fedeli oranti di mill'anni fa. Un avviso per i lettori, che così spero potranno trarre maggior piacere dalla visita.
Dal buio alla luce, ed eccoci attraversare uno stretto passaggio per raggiungere la piacevole atmosfera di raccoglimento offerta dal chiostro.

 

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ISSN 2284-3620

Ultimo aggiornamento: 19 aprile 2016