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ALLA RICERCA DEL CARRO PERDUTO

di Ferruccio C. Ferrazza
(febbraio 2008)

 

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L’autore a bordo di un L3/33 II tipo

 

PREMESSA
Io penso che il rigore dell’ambiente militare sia una caratteristica indispensabile per un’efficace difesa della Patria. Per questo motivo ho ritenuto che i nomi dei luoghi che ho visitato e delle persone che mi hanno accompagnato, io li debba mantenere nel riserbo. Ho quindi adottato, come s’usa nei romanzi, luoghi e nomi di pura fantasia; dietro questi, però, esistono uomini e donne reali cui va il mio ringraziamento per la cortesia e la dedizione con la quale mi hanno ospitato e la competenza che hanno dimostrato nell’illustrare gli aspetti tecnici e storici del loro lavoro.

 

Mi piace investigare, anzi, ne sono incontrastabilmente attratto.
Quando mi trovo per le mani qualcosa che suscita il mio interesse, cerco di scoprire tutto quanto possibile.
L’analisi delle immagini, poi, ricercando ciò che non è immediatamente palese, è il lavoro che preferisco, ed i lettori dei miei scritti lo avranno già ben compreso.
E’ quello che è avvenuto anche per quel mezzo corazzato che frequentemente appare nelle foto di mio padre; il “carrarmatino”, così come io lo chiamo, un po’ interpretando il termine anglosassone tankette che gli è stato affibbiato nei suoi tempi d’uso.

Per prima cosa ho cercato di scoprire se ve ne fosse ancora qualche esemplare in condizioni quantomeno di visibilità.
Una ricerca nel vasto mondo di Internet mi ha portato su un documento che rappresenta una sorta di inventario dei mezzi corazzati utilizzati nella Seconda Guerra Mondiale ma tuttora custoditi, talvolta con cura amatoriale.
E’ stata una grande sorpresa quella di rilevare quanti “Carri Veloci L3” (questo il suo appellativo tecnico tra i carri leggeri) vi fossero elencati; oltretutto la loro dislocazione non è solamente posta in territorio italiano, ma perfino in Sud Africa ed in Cina, in Afghanistan ed in Yemen.
Quel documento è risultato estremamente prezioso nel prospettarmi un’avventura entusiasmante: la possibilità di documentare fotograficamente l’esistenza di questi mezzi e di studiarli dal vero. In più, proprio vicino a casa.

Questo è il racconto di quell’avventura.

 

La Caserma “Sottocasa”

Impiego qualche giorno per recuperare il numero di telefono della caserma, il cui riferimento non riesco a reperire negli elenchi.
Del resto è una postazione importante, non solo per il nostro esercito, e quindi mi predispongo a non trovare un facile iter per ottenere le autorizzazioni all’ingresso ed allo scatto delle fotografie.
E scopro come non sia nemmeno facile trovare un interlocutore che abbia il necessario potere decisionale.
Mi armo di pazienza, ma soprattutto di determinazione al raggiungimento dell’obiettivo, cosa che devo ammettere talvolta si trasforma in fastidiosa petulanza per il mio corrispondente.

Dopo diversi contatti dimostratisi inutili allo scopo, finalmente riesco a raggiungere chi ha una reale possibilità di aiutarmi.
Sin dal primo momento il maggiore Napolitani si rivela un personaggio, più che preparato, lui stesso scrittore di storia, appassionato di cose militari; mi trattengo piacevolmente con lui al telefono, scambiamo opinioni sui diversi argomenti di mio interesse, così per meglio conoscerci dapprima nel pensiero, che su molti punti scopriamo in pieno sincronismo.
Mi consiglia l’invio di una richiesta scritta al generale Sanniti.
Mi sento quasi in soggezione per dover contattare una posizione di tale rispetto, ma non pongo indugio e seguo il suo consiglio immediatamente; non solo, aggiungo alcune foto tra quelle scattate da mio padre al mezzo corazzato e cerco di sveltire i tempi portando il plico al corpo di guardia della caserma; lo consegno nella mani di un Caporale aiutante del Maggiore, chiamato specificamente al compito.
Il primo passo è compiuto.

Inizia il periodo natalizio ed il tempo trascorre in trepidazione nell’attesa della sospirata autorizzazione, che finalmente mi viene comunicata nei primi giorni di gennaio.
Concordo l’incontro con il maggiore Napolitani in una giornata di sole, a beneficio degli scatti fotografici.

Mi presento all’ingresso della caserma a bordo del mio fido jeeppino, ipotizzando che mi sarebbe utile qualora debba affrontare l’attraversamento di qualche “piazza d’armi”; il caporale Catanesi, una giovane in tuta mimetica, mi accompagna nel percorso che si rivela viceversa di massima tranquillità: strada asfaltata e parcheggio tracciato.

Entriamo nelle baracche e raggiungiamo l’ufficio del Maggiore.
Ci scambiamo i convenevoli d’uso ed usciamo assieme per raggiungere la posizione dove si trova il carro.
Durante la passeggiata mi preannuncia che non sarà facile entrare nel mezzo, perché si trova su un piedistallo e funge da monumento d’onore.
Comunque non lo potrei fare; durante un breve periodo di vacanza ho avuto la sventura di incorrere in un incidente che mi ha leso una caviglia, lasciandomi qualche postumo fastidioso, frustrante e inibente dei movimenti che mi piacerebbe fare.

Ecco che al fondo di un viale, nascosto dagli alberi e confuso tra altri memoriali, ma in un luogo segnato e sacrato dai pennoni delle bandiere, intravedo il “carrarmatino”, appoggiato su una base rocciosa.
E’ quasi emozionante osservare per la prima volta, in reale, quel mezzo che, pur nella sua evidente inadeguatezza, forse ha consentito a mio padre di ritornare sempre a casa sano e salvo, quantomeno nel corpo.

Giro attorno ed allora ecco che la visione si trasforma e proietta quello slancio dinamico che fu la caratteristica peculiare del mezzo.

Il Maggiore mi accompagna con discrezione e mi osserva mentre scatto diverse foto di dettaglio: all’armamento, ai cingoli, alla parte posteriore.
Mi forniranno il materiale d’indagine. Sin d’ora, però, mi sembra che ci sia qualcosa di diverso tra questo mezzo e quello ritratto nelle foto di mio padre, ma non riesco ancora ad identificare di cosa si tratta.

Rientriamo nelle baracche degli uffici.
Mentre percorriamo il corridoio d’accesso, la mia attenzione viene attirata da una bacheca al cui interno scorgo un modello in metallo di un carro che sembra simile a quello appena visitato.
Una foto è d’obbligo; giusto per completare la documentazione della giornata.

Lascio il maggiore Napolitani ai suoi compiti, dopo aver avuto l’occasione di stringere brevemente la mano anche al generale Sanniti, rientrato in quel momento con ordini operativi che richiedono l’intervento del mio interlocutore.

Il caporale Catanesi mi riaccompagna alla porta carraia, dove recupero i miei documenti e riconsegno i “passi”.

Una giornata positiva, sotto ogni aspetto.

 

Una prima analisi

Rientro in studio e scarico subito le fotografie.
Voglio aprire un immediato confronto con quelle scattate da mio padre, per togliermi quel dubbio che mi è rimasto: forse non è quello il carro.

La differenza mi appare subito in tutta evidenza; i carrelli che guidano il cingolo sull’appoggio sono completamenti diversi.
Nel carro di mio padre le ruote sono 6 di piccolo diametro e con una sbarra laterale che le congiunge; in quello che ho visitato sono 4, di grande diametro, raggiate e senza sbarra.

Sulle fotografie che ho scattato si rileva, inoltre, la targa del mezzo: RE (Regio Esercito) ed il numero 7116.
Ricordo di aver visto una sola fotografia di mio padre dove i carri sono ripresi nella parte posteriore; la ricerco e ne esamino un ingrandimento al limite della leggibilità: la targa inizia con il numero 2 finisce con il numero 6.
E’ evidente che il carro di mio padre è di produzione ben anteriore a quello che ho fotografato oggi.

E allora, che fare?
Ricomincio la ricerca.

Riprendo in mano il documento di “inventario”e cerco di scoprire se vi sia qualche altra possibilità di visita nei dintorni.
Ne trovo una, in una caserma non così lontana da impedire una visita di durata pomeridiana.

Ci riprovo.

 

La caserma “Oltrefiume”

Questa volta il contatto risulta molto semplice; trovo facilmente il numero di telefono sulla rubrica.
In breve tempo vengo messo in comunicazione con chi si occupa specificamente dei rapporti con gli aspiranti visitatori.

Il maresciallo Crotoni si rivela sin dal primo contatto telefonico un interlocutore di particolare interesse, per il mio obiettivo.
E’ un appassionato modellista; ciò significa che studia con attenzione ogni particolare dei mezzi che riproduce in scala, ed è quindi in grado di valutare con significativa accuratezza ogni pur minima differenza tra una versione e l’altra dello stesso mezzo.

Anche in questo caso, una richiesta scritta al tenente colonnello Materi, suo superiore, mi consente di ottenere l’indispensabile autorizzazione che mi viene confermata con inaspettata e gradita rapidità, nel brevissimo arco di un fine settimana.

Una breve telefonata seguita da un insieme di fortunate coincidenze (un mio cliente annulla l’appuntamento, la giornata è ben soleggiata, il Maresciallo Crotoni è disponibile, il carro è all’aperto) e parto in direzione della caserma.

Mi presento al Corpo di Guardia in perfetto orario, soprattutto grazie alla guida preziosa del mio GPS che ho calibrato sulle coordinate del luogo, altrimenti di difficile localizzazione per la sua posizione al di fuori della strade di normale percorrenza.
Trovo il maresciallo Crotoni che già mi attende; sbrigo le formalità per ottenere i “passi” per me e per il jeeppino, carico il mio accompagnatore e seguo le sue indicazioni per raggiungere il luogo dove si trova il carro.

Parcheggio dove mi viene indicato; ci incamminiamo verso un edificio tecnico, penso ad un’officina; ne svoltiamo l’angolo ed ecco che lo vedo, in pieno sole, verniciato con una luminosa livrea “africana”.
Mi rendo conto immediatamente che questa volta ci siamo; ricordo con sicurezza, nelle foto di mio padre, il numero di ruote dei carrelli e la presenza di quella barra che li copre.
Visto così da vicino, l’aspetto minuto è ancor più impressionante; è una specie di utilitaria blindata; di dimensioni più ridotte rispetto ai molti veicoli SUV che ogni giorno vediamo percorrere le nostre strade; con questi non condivide nemmeno la potenza. Forse solo il peso è comparabile, cioè le 3 tonnellate cui fa riferimento la sigla L3 (Carro leggero da 3 t.).

Mentre scatto le fotografie, il maresciallo Crotoni mi illustra il mezzo con dovizia di particolari; annoto la sua completa conoscenza dei dettagli sia tecnici sia operativi; è evidente che ha studiato il carro con l’occhio attento di chi ama dare, ai modelli che riproduce, la perfezione della qualità dimensionale oltre che di quella visiva ed estetica.

Il mezzo è perfettamente mantenuto, tanto che sulla parte posteriore sono stati inseriti, nelle loro guide, gli “accessori” studiati per risolvere situazioni di blocco: un cricco ed un piccone.

Mi soffermo scattando alcune foto alla parte anteriore delle ruote cingolate dove si trova la cassetta degli attrezzi posta a ridosso della ruota dentata di trazione ed alla parte posteriore con i tubi di scappamento e la ruota libera di rinvio.
Mi incuriosisce il fatto che davanti al cingolo sia stato posto un sasso, con lo scopo evidente di impedire al carro di prendere, diciamo, decisioni autonome di spostamento; questo mi induce a pensare che il sistema di movimento sia molto scorrevole, anche se cingolato.

Seguendo le indicazioni del mio accompagnatore, porto la mia attenzione sulle balestre di sospensione del carrello, su un curioso blocco di legno (di acacia, mi dice il maresciallo) con funzione di guida di ritorno per il cingolo, sul sistema di regolazione della tensione per il cingolo, sulle ghiere di aerazione del radiatore del motore, sul sistema di armamento con le due mitragliatrici limitatamente brandeggiabili.

Non resisto oltre alla curiosità di scoprire l’interno di quella “scatola di sardine”, come viene chiamata in gergo; chiedo l’autorizzazione e l’ottengo.
Mi scelgo una via adatta, ricordandomi solo ora della caviglia malandata; peraltro mi sono dotato di calzature che ricordano gli anfibi di fattura militare, forse un po’ più morbide, ma altrettanto funzionali.
Comunque l’impresa non si rivela difficile; è come salire su una normale autovettura, giusto con qualche variazione sulla disposizione degli sportelli d’ingresso.
Prima di immergermi nella cabina, non manco di farmi scattare una foto ricordo, in posizione simile a quella ritratta nelle foto di mio padre.
Sui fianchi della cabina sono allocati alcuni scaffaletti per custodire le munizioni; una semplice cinghietta le trattiene in posizione evitando che cadano durante la marcia; in alcuni settori sono inseriti gli strumenti di controllo del motore, con qualche modernizzazione dovuta al fatto che questo carro ha un motore di recente costruzione.

Nella parte rivolta verso il fronte si trovano le postazioni per, a destra, il pilota e, a sinistra, il mitragliere; cambio e riduttore sono manovrati dalla mano sinistra del pilota con una sorta di cloche posta in posizione centrale; maniglie poste in posizione strategica forniscono un appiglio, indispensabile agli uomini per uscire dall’abitacolo.
Senza consapevolezza, scatto una fotografia alla parte posteriore della camera di combattimento, che mi consente di scoprire una targhetta metallica con i dati di fabbricazione: anno 1935, targa 1405, chassis 293.
Esco dal carro e, portandomi nella parte posteriore, ho conferma che effettivamente la targa è quella: RE 1405.

Nel frattempo è stato affiancato un carro armato di moderna generazione, che offusca completamente il piccolo L3; un pensiero sul “se” mi porta a valutare quali sorti avrebbero avuto le spedizioni cui mi padre ha partecipato se i nostri soldati avessero avuto in dotazione simili giganti corazzati.

Visto il mio interesse per quella imponente massa metallica, il maresciallo Crotoni mi accompagna a visitare l’officina dove si svolgono le attività di manutenzione di simili mezzi.
Motori da 37.000 cc. (il nostro L3 ne aveva qualcosa più di 2.000), potenze di 800 CV e oltre (il nostro L3 ne aveva un po’ più di 40), pesi da 40 tonnellate.
Per salire su uno di questi ed osservarne l’interno da uno sportello aperto sono costretto ad usare una scala; all’ultimo scalino non guardo indietro, data l’altezza temo una vertigine, e penso che l’addestramento dei carristi dovrebbe comprendere anche le tecniche di caduta dei paracadutisti, dovessero mai saltar giù da quel carro in corsa.

Lasciamo la zona e passiamo con il mio jeeppino tra due di questi mastodonti al momento fermi all’aperto; spero che al pilota non venga in mente di far manovra proprio adesso.
Raggiungiamo gli uffici, dove il maresciallo Crotoni mi mostra un testo, ormai ridotto ad un insieme di fogli mobili tanto ne è stato l’uso, che illustra in dettaglio la storia completa del carro leggero e veloce L3; prendo buona nota mentale che è un’edizione di 35 anni fa e mi riprometto di scoprire dove e se lo posso recuperare per dedicarvi un’attenta lettura.

Intanto il maresciallo si ferma di fronte ad una bacheca dove sono custoditi i suoi lavori di modellismo.
Tra tutti spicca un magnifico L3 completamente realizzato in legno e lasciato volutamente con il materiale di costruzione “a vista” ; mi spiega il motivo di tale scelta; anche gli altri carri che vedo qui sono tutti realizzati in legno, ma per il fatto di averli verniciati per renderne realistica la visione induce a credere che si tratti dei diffusi modelli in plastica, facilmente acquistabili in ogni negozio di modellistica.
Una passione che unisce i valori storici dei ricordi con lo studio tecnico dei particolari.

E’ ora di lasciare la piacevole compagnia del maresciallo Crotoni per riprendere ognuno i nostri impegni.
Ci avviamo verso l’uscita degli uffici, ma l’occhio mi cade, come si suol dire, su un’altra bacheca dove è racchiuso un modello in metallo del L3 identico a quello che ho trovato alla Caserma “Sottocasa”; solo il colore è diverso.
A fianco, un casco in cuoio proprio come quello che calzava mio padre nelle foto che lo ritraggono a bordo del suo “carrarmatino”; un saluto dal passato.

Ringrazio ancora una volta il maresciallo Crotoni, impegnandomi a dargli notizia di quanto scoprirò durante le mie ricerche.
Mi arresto alla porta carraia, lascio i “passi” ed esco, affrontando il viaggio di ritorno ricco di una nuova esperienza e di nuove conoscenze.

 

La seconda analisi

Non è quello di mio padre.

Lo scopro quasi per caso, perché sembra coincidere tutto, e quindi l’entusiasmo della scoperta talvolta nasconde la valutazione oggettiva dei reperti a disposizione.

Metto a confronto due fotografie, una di mio padre e l’altra scattata da me alla Caserma “Oltrefiume”, riprese più meno con identica angolazione; ruote e cingoli identici, c’è anche la cassetta degli attrezzi e la guida del cingolo in legno d’acero.
Eppure qualcosa mi sfugge.
Ecco, ora ci sono; si tratta dei bulloni.
Il mezzo di mio padre è completamento bullonato, l’altro no.

Per ora l’unico aiuto che posso avere circa il periodo d’uso è dato dalle targhe che conosco: la più vecchia (RE 1405) del mezzo della Caserma “Oltrefiume”, quella del mezzo nella foto di mio padre (RE 2..6) e quella del mezzo della Caserma “Sottocasa” (RE 7116).
E’ di tutta evidenza che il carro, pur essendo riconosciuto con la generica sigla L3, nella realtà si presenta in periodi diversi con versioni diverse, e con differenze visibili.

Devo approfondire.

Mi ricordo alcuni riferimenti che ho rilevato nel libro in possesso al maresciallo Crotoni; la ricerca bibliografica è una delle mie specialità, se così possiamo dire.
In breve tempo, attraverso il supporto di Internet, ottengo la completa descrizione del testo: titolo, autore, editore, anno di edizione.
Quanto basta per cercare qualche biblioteca che ne custodisca una copia da consultare oppure qualche libreria dove comprarlo tra i libri di “rimanenza”.

Detto fatto lo trovo disponibile in una libreria antiquaria di Torino; un ordine confermato ed in una settimana mi trovo in mano quello che effettivamente mi serve per completare l’analisi.
Un libro completo dei minimi dettagli costruttivi oltre che ricco di fotografie, schemi ed illustrazioni.

Non credo molto alle coincidenze, ma anche in questo caso non so come valutare il fatto che, aperto il libro al centro, come s’usa per uno sfoglio rapido, la prima fotografia che trovo è quella della parte posteriore del “carrarmatino” con la targa in evidenza: RE 2396.
Comincia con 2 e finisce con 6.
Che sia proprio quello ritratto nelle foto di mio padre? I bulloni qui ci sono tutti.

Mi addentro nei dettagli e scopro che, però, esiste una differenza, seppur minima e di non facile rilevazione, nello sportellino aperto sulla parte laterale della camera di combattimento: in quello di mio padre è a filo della piastra mentre in quello del libro lo sportellino è protetto da una sorta di tettuccio a fessura.

Meglio studiare tutto il testo.
Leggo avidamente e completamente il libro in poche ore; finalmente mi sento in grado di definire con precisione modelli e periodi.

 

Il risultato finale

Il carro della Caserma “Oltrefiume” (RE 1405 ) è un L3/33 (C.V.33 II tipo - mod. 1934). Lo si identifica dal fatto che è l’ultima produzione dei modelli senza bullonature, è dotato di un armamento a doppia mitragliatrice, lo sportello laterale alla camera di combattimento è a raso sulla lamiera ed il sistema di tensione del cingolo è separato dal piccolo rullo ausiliario (nel precedente C.V. 33 I tipo è assemblato in un blocco solidale). Nel caso specifico è interessante notare che la targhetta che ho fotografato porta come data di produzione il 1935; evidentemente il mezzo è proprio uno degli ultimi della serie.

 

Il carro ritratto nelle foto di mio padre (RE 2..6) è un L3/35 (C.V. 35 I tipo). Sostanzialmente è un modello rivisto rispetto a quello trovato alla Caserma “Oltrefiume” e ne è l’immediato successore. Lo si identifica dal fatto che ha le lamiere della camera di combattimento imbullonate, ma non ha ancora la protezione degli sportellini come lo saranno nel II tipo.

 

Il carro della Caserma “Sottocasa” (RE 7116) è un L3/38 (C.V. 38). Questo modello è l’ultimo della produzione Ansaldo e si presenta in diverse configurazioni, talvolta con riassemblaggio su precedenti scafi. E’ identificato dal numero di rulli ridotto a 4 e dal sistema di sospensione completamente rinnovato, oltre che dalle ruote raggiate. Una particolarità può però consentire una più precisa valutazione di quello visitato; si tratta della chiusura a placca della finestrella laterale della camera di combattimento (lo rilevo dal libro in una fotografia di un mezzo conservato alla Cecchignola) che lo colloca tra i modelli “radio”, cioè quelli destinati alla funzione trasporto della stazione di ricetrasmissione.

 

Conclusione

Dove si trova, se si trova, uno dei carri condotto da mio padre nel III Gruppo Carri “L” - “San Giorgio”?

 

Bibliografia:

Livello bibliografico Monografia
Tipo di documento Testo a stampa
Titolo: Carro veloce 33-35: evoluzioni del mezzo
Pubblicazione Roma: Bizzarri, 1973, stampa 1974
Descrizione fisica 94 p.: in gran parte ill.; 24 cm.

 

 

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ISSN 2284-3620

Ultimo aggiornamento: 19 aprile 2016