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MIO PADRE
Quel martedì non era una giornata come le altre, il 18 aprile del 1916. Non tanto perché il Corriere della Sera, nella sua edizione pomeridiana, 3 fogli, 6 facciate in tutto, riportava nei titoli oltre misura che gli Austriaci erano stati respinti in Valsugana o che i francesi avevano respinto i tedeschi a Verdun, e neppure perché era in atto unaspra lotta di sopravvivenza per i nostri soldati tra le creste del Monte Nero, come scriveva Luigi Barzini. Piuttosto perché nella pagina delle recentissime veniva
messo in risalto, tra i vari bollettini di guerra, il caso di una certa signora, Teresa,
di professione portinaia di uno stabile in via Torino a Milano, la quale, nottetempo,
pistola alla mano, interrompeva le malavitose imprese di un gruppo di scassinatori che
stavano attentando alla solidità della serranda di unorologeria lì vicina,
mettendo in fuga i delinquenti prima che potessero portare a termine il loro lavoro. Ho voluto raccontare questa storia, molto più familiare di quanto possa sembrare, perché infatti esattamente otto mesi dopo il riportato evento la signora Teresa dava alla luce un piccolo, e con il marito Giuseppe non trovarono altro di meglio che chiamarlo Natale, visto che era nato proprio il 25 dicembre. Mio padre, i miei nonni. Trentunanni dopo li conobbi anchio. In realtà mio padre non fu mai chiamato Natale, o forse lo fu solamente
nei rari casi in cui era necessario presentarsi presso gli uffici pubblici. Lui stesso,
già nelle lettere che saranno oggetto di questo mio lavoro dindagine, si firmava
più brevemente con un simpatico Nino, pseudonimo con il quale da tutti era
conosciuto ed interpellato. Del resto non è certo una fortuna quella di concentrare in un
solo giorno feste pubbliche e private, quantomeno non per linteressato. Io lho sempre considerato un uomo rude, intransigente verso le regole comuni e proprie, cui talvolta assoggettava chi lo circondava usando il carisma del comando; peraltro i suoi comportamenti dimostravano un animo profondamente etico e morale, che improntò tutta la sua vita lavorativa e familiare. Forse per questo uscì dal periodo bellico particolarmente segnato. Mia
madre tuttora ricorda come frequentemente fosse preda di incubi che lo portavano ad urlare
nel pieno della notte; incubi che si protrassero fino alla sua morte e di cui io stesso
fui testimone quando, in un letto dospedale, mi chiedeva di guardare cose che solo
lui vedeva avvenire nei dintorni. Non ne parlò mai, non ne voleva parlare; e nessuno lo forzò a farlo. Mi pongo al lavoro.
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