PREMESSA

 

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PREMESSA ALLA VERSIONE IN DIALETTO

La volontà di raccontare le vecchie tradizioni del paese di Venegono Superiore in un dialetto che non è più un vero meneghino, né bosino, né varesotto, ma forse un insieme di tutti e tre, mi è frullato in mente riandando alla mia fanciullezza e su su man mano, grosso modo, agli anni 60. Certamente che tanti ricordi ed episodi ancora si potrebbero ricordare.

Si potrebbe ricordare la strutturazione, l’ubicazione e il funzionamento del vecchio oratorio, i tre lavatoi di Venegono (quante chiacchiere e maldicenze lì si son consumate), i tre forni per la cottura del pane giallo, i villeggianti di prima e di subito dopo la guerra, le figure caratteristiche del paese e tanto tanto ancora, ma ne sarebbe risultato un trattato troppo lungo e forse anche stucchevole.

Tengo presente anche un’altra verità: di venegonesi che ancora oggi gustano il dialetto ne son rimasti pochi, per cui è sufficiente quanto raccontato.

Inoltre, vorrei asserire che, soprattutto quanto scritto, l’ho fatto più per diletto personale che non per lasciare un ricordo per altri; anche se devo dire che non poche persone mi hanno espresso il loro assenso invitandomi: “lei che è la mente storica di Vengono, perché non scrive qualche curiosità che poi si possa raccontare ai nostri nipoti?”. Anche questo è stato uno stimolo, e per me è doveroso esprimere il mio grazie.

Ad eccezione che non mi si voglia appioppare il venegonese proverbio: “tutti i can i menen a cua e tutti i stupid i voren dì a sua”.

 

PREMESSA ALLA VERSIONE IN ITALIANO

Già quello che avevo scritto per il libello, in dialetto, non si adatta più alla versione italiana per cui è stato necessario mutare qualcosa e qualche concetto.

Può sembrare una resa allo spirito del tempo dominato dai mass-media e dal linguaggio delle immagini, ricordare un profilo di Venegono, più o meno dall’inizio del secolo scorso al periodo subito dopo la seconda guerra mondiale (1950/1955) per ricostruire interi scenari delle realtà passate, anche se tale angolazione può essere apparentemente riduttiva.

Chiaramente questo modesto lavoro non presume di scrivere una storia, ma di fornire stralci di memoria. Infatti, non ho consultato alcuna fonte di informazione.

Per un momento sembra ancora possibile che realtà antiche avute in eredità dalle narrazioni mitiche dei nonni si ricompongano e ricostituiscano invadendo l’area del presente.

E’ possibile infatti verificare e rianimare aspetti di un costume di vita che ci fa rivedere, chiudendo gli occhi, come poteva essere ai tempi, il posto in cui ora viviamo.

La forza del passato, anche se possiamo criticarne i limiti, sta nel fatto che esso conserva un insieme di regole, riti, credenze, modi di essere coerenti, tali da rappresentare un insieme organico in cui è presente e centrale l’uomo; l’uomo visto come individuo, come persona e al tempo stesso intrecciato con la vita di tutti gli altri uomini: l’umanità.

Forse solo un innamorato come me della vita nostra paesana d’altri tempi può giustificare questo scritto.

Se poi mi si vuole appioppare il proverbio (che in dialetto esprime molto bene il concetto) che si può così riassumere: “Come ogni cane muove la coda (scodinzola), così ogni stupido vuole esprimere la propria idea”, lo prendo come suggerimento, forse per il futuro.

 

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Ferruccio C. Ferrazza
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ISSN 2284-3620

Ultimo aggiornamento: 19 aprile 2016