Bormio:
il crocifisso dipinto
testo e foto di Ferruccio C. Ferrazza
(visita effettuata nell'agosto 2008)
Passo le mie vacanze montane a Bormio, in Valtellina. Da ventanni.
Ho già tutto pronto, o quasi per parlarne con proprietà, ma prossimamente, ma non oggi.
È mia abitudine, a metà mattina, visitare ledicola ed acquistare
il quotidiano che mi piace leggere seduto su una fresca ed antica lastra di pietra, posta
a mo di panca sul fronte del Castello
De Simoni. È il luogo dove frequentemente incontro qualche anziano locale che mi
siede accanto e con me volge al sole di meridione le proprie ossa intorpidite dai rigori
pur estivi della notte montana. Quattro chiacchiere, esperienze che si fondono nel
racconto della propria vita, o di quella daltri; cultura e pettegolezzo, il sale
dellesistere
È tale la consuetudine quasi rituale che non osservo i luoghi,
piuttosto preferisco dedicare la mia fugace attenzione, tra una lettura e laltra,
alle persone, ai passanti, ai turisti, agli amici survegnì come me.
In questa estate del 2008 mi attende una sorpresa.
Volgo lo sguardo attorno. Controsole, come sono, non ho una buona
visione. Ma qualcosa è diverso dal solito, anche se non sono in grado di definire con
sicurezza di cosa si tratti. La sensazione è forte, tanto da indurmi ad abbassare il
giornale per prendere maggior coscienza dei dintorni. Ecco, finalmente. È aperta la porta
della cappella collegata al palazzo
municipale; evento assolutamente inatteso e mai riscontrato in alcuna occasione nei
lustri trascorsi.
IL SACELLO DE SIMONI.
Ledificio sacro contrasta architettonicamente con il collegato
medievale della torre, ma ne definisce un percorso storico e culturale di rinnovamento
continuo. Sul fronte una meridiana
di fantasia, che non potrà mai segnare le ore che vi sono tracciate visto
che il sole la colpisce solamente nel pomeriggio, per non parlare dellanomala
posizione e forma dello gnomone; però mi piace comunque nel suo valore di accessorio
dabbellimento. Nella parte più elevata si trova la dicitura che chiaramente ne
attribuisce la proprietà alla famiglia dei De Simoni e ne definisce la dedicazione alla
Beata Vergine del Buon Consiglio; una devozione che viene da molto lontano, sorta in
Albania nel 400 e lì tanto radicata da far riconoscere in essa la patrona stessa
del paese. Sarebbe interessante scoprire le motivazioni che hanno portato questo culto
sino allAlta Valtellina (a mia conoscenza, altre sono a Poggiridenti, a Ponte, a
Chiuro ed a Gaggio). Edificata alla fine del 600 questa chiesetta è peraltro
rimasta nel culto attivo solo sino agli anni 70, prima che iniziassi la
frequentazione del borgo. Sarà per questo motivo che ne ho sempre trovato la porta
sbarrata.
Meglio che mi affretti seguendo la curiosità che mi ha preso, prima che qualcuno torni a
chiudermi fuori da quel piccolo mistero che finalmente mi trovo a svelare, lui
inaspettato, io impreparato.
Entro e la mia
attenzione viene attratta totalmente dal grande crocefisso dipinto posto sopra
laltare; non vedo gli affreschi rinascimentali che decorano la volta, non vedo
linginocchiatoio di legno con il simbolo dei francescani, non vedo altro se non quel
magnifico esempio di sacralità duecentesca.
Non pongo indugio e corro letteralmente verso casa per dotarmi delle attrezzature
fotografiche necessarie a documentare quanto scoperto; temo che il tempo sia veramente
limitato, che lapertura sia un evento eccezionale, forse addirittura fortuito.
Ed ecco il risultato.
IL CROCEFISSO DUECENTESCO
È una copia di datazione contemporanea. Lho saputo in un secondo
tempo, mentre indagavo sulle sue origini. Me lo ha confermato anche un amico, professore
di storia dellarte, che mi ha mostrato quale prova in loco come le assi che
compongono il telaio in legno siano perfettamente squadrate e levigate, mentre quelle
dellepoca avrebbero avuto un taglio molto più grossolano e meno perfetto. Inoltre
non si tratta di un dipinto su legno, ma su tela. Altri mi hanno riferito che la sua
storia è quella di una donazione da parte di un artista fatta ad un sindaco del passato,
che molto accortamente ha pensato di poterlo collocare in questo luogo più che consono.
Ciò non toglie, però, alcun valore alla sua idoneità nello stimolare unanalisi
iconografica, peraltro su oggetti molto particolari quali sono appunto i crocefissi
dipinti. Tra questi, due esemplari sono famosi e possono rappresentare un buon riferimento
per il lavoro che intendo fare; luno si trova in S. Maria Assunta a Sarzana e
laltro in San Damiano a Napoli. È da dire che è la scuola toscana dei primi secoli
dello scorso millennio, almeno alla conta dei reperti, ad essere stata la più attiva, con
un contributo significativo nellarea della lucchesia, senza dimenticare le opere
più famose di Cimabue e Giotto, anche se in un periodo più tardo rispetto a quello cui
possiamo attribuire il nostro; vedremo poi il perché di questa valutazione.
Limpostazione è classica e si consolida in una struttura a
sezioni, tradizionale nei riferimenti, dove affiancando il Crocifisso si mostrano diverse
scene della vita del Cristo e altre figure sante o rappresentazioni simboliche.
Ma passiamo ad analizzare i diversi elementi che compongono il
crocifisso della cappella De Simoni.
Il braccio
superiore della croce, che tecnicamente prende la denominazione di cimasa, mostra un
particolare che contorna tutto il dipinto; si tratta di un decoro floreale che potrebbe
rappresentare la cosiddetta vite mistica nella quale si racchiudono tutti gli
elementi della Chiesa generati dallEterno Padre, che in effetti è raffigurato al di
fuori di questa cornice a ghirlanda, ma la cui mano, appunto la mano di Dio,
vi è compresa. Due arcangeli si rivolgono oranti a Lui. Sulla sinistra è San Pietro con le chiavi in mano, e
sulla destra San Paolo con il
Libro. La Chiesa ed i suoi fondatori.
Scendiamo verso la traversa principale della croce; questa termina alle
estremità con i simboli canonici dei quattro Evangelisti. A sinistra langelo di Matteo
ed il leone di Marco, a destra
laquila di Giovanni ed il toro di Luca. Tutte immagini alate.
Al centro il Cristo. È il volto che ci propone un segnale
importante circa il periodo della pittura originale. La tradizione dei crocifissi dipinti
iniziò nel XII secolo, e per tutto quel secolo il Cristo fu raffigurato con il volto
rivolto agli astanti, gli occhi aperti, un uomo vivo e trionfatore sulla morte; questa
figura simbolica viene propriamente denominata Christus Triumphans. Nel XIII
secolo, invece, iniziò col prevalere la raffigurazione del Christus Patiens,
cioè del morto tra spasmi di dolore, come appare nelle ricordate opere di Giotto e
Cimabue. Ecco quindi perché questo volto che vediamo nel nostro Crocifisso può
identificarsi tra quelli dipinti tra il 1100 ed il 1200.
La fascia pittorica posta immediatamente sotto le braccia del Cristo va
considerata nel suo insieme, in quanto è una collocazione classica di queste due figure; a sinistra la Vergine Maria ed a destra
San Giovanni. Il richiamo è esplicitamente evangelico; nel vangelo di Giovanni
(19,26) il Cristo è sulla croce e si legge: Gesù, vedendo la madre e vicino a lei
il discepolo chegli amava, disse alla madre «Donna, ecco tuo figlio». Poi disse al
discepolo: «Ecco tua madre». E da quel momento il discepolo la prese con sé.
Anche la fascia
immediatamente inferiore è lillustrazione di quanto avviene attorno alla scena
della crocifissione e per analizzarla, comunque, è opportuno valutare sia il contesto sia
linsieme. Si tratta di uno sviluppo iconografico coerente con quello
dellepoca, che vede i compagni di supplizio di Gesù, cioè i due
ladroni, non inchiodati sulla croce, come lo è il Cristo, ma appesi con le braccia legate
sopra la traversa. Da notare la particolare dinamicità della raffigurazione dei
carnefici, che sembrano veramente imprimere tutta la loro forza distruttiva nel colpire i
malcapitati. In realtà in questa immagine si incontra una incongruenza con la pratica
romana della crocifissione, che voleva accelerare il processo di morte con la rottura
delle gambe, per impedire al condannato di mantenersi sollevato e quindi di respirare
normalmente; questo però avveniva solamente per le crocifissioni dove i piedi erano
inchiodati su una mensola, come nel caso del Cristo; i ladroni sono penzoloni, e quindi lo
spezzare loro le gambe non avrebbe alcun senso (se non quello della tortura). Sulla sinistra (cioè alla destra del
Cristo) si distingue il Buono, con il volto del pentito e dallo sguardo giovane. Sulla destra, in contrapposizione, il
volto truce e barbuto del Cattivo, ispirato dal Maligno nel suo comportamento sprezzante.
Devo dire che avevo raccolto alcune voci che vedevano nel Buon Ladrone una figura
femminile, forse indotte a questa considerazione dai lunghi capelli scuri e dal volto
imberbe; presa singolarmente, non nel contesto, confesso che io stesso ebbi la sensazione
iniziale che si potesse trattare di Santa Giulia, accoppiando la figura femminile al
supplizio della crocifissione. La visione dinsieme mi ha liberato ben presto da
questa errata quanto incoerente valutazione.
Diversa invece la situazione che si presenta con i quadri terminali,
nella fascia più bassa, appunto da considerare singolarmente. Si tratta di due diverse
scene, senza che tra loro vi sia un particolare legame, se non il fatto che entrambe si
occupano della Morte, pur considerata in differenti visioni.
Nel riquadro di
sinistra vediamo una figura barbuta che viene sorretta da due figure maschili,
luna alla testa e laltra ai piedi; due figure sante, aureolate, partecipano
con espressione di compianto; due arcangeli assistono alla scena. Ogni dubbio
interpretativo viene sciolto dalla copertura a volte che si trova nella parte superiore;
si tratta della raffigurazione simbolica del Santo Sepolcro, illuminato perennemente dalla
lampada ad olio (devo ringraziare uno studioso monsignore per avermi svelato il mistero,
per me, di questo particolare). Siamo quindi di fronte alla scena della deposizione nel
sepolcro del Cristo morto. I due uomini che lo sostengono sono Giuseppe dArimatea e
Nicodemo, che secondo i vangeli trasportarono il corpo di Gesù sino al sepolcro
avvolgendolo in un telo, ed ivi lo deposero. Le due figure con aureola sono invece
femminili, e diamo credito al Vangelo di Marco (15,47) che scrive: E Maria Maddalena
e Maria, madre di Giuseppe, stavano a guardare dove lo collocavano. Maria di
Magdala, meglio conosciuta come Maria Maddalena, è quella con i capelli biondi come vuole
la tradizione che le attribuisce fascino nel corpo e sfarzo nel vestire.
Magnifico lultimo
quadro, a destra. Al centro, San Michele Arcangelo che decide della sorta delle anime,
nellultimo giudizio. Sulla destra, un personaggio ancora sorridente alza una mano
come cercasse di accattivarsi le grazie del decisore: Eccomi, sono finalmente a te
giunto! Vedi come sono stato buono?. Ma il dito dellArcangelo è inclemente,
ed indica con decisione il luogo che gli spetta, Là dietro anche tu, anima dannata
e bugiarda!, laddove fanno capolino volti terrorizzati, consci delleterno
fuoco che tra breve li divorerà, per sempre. Intanto lArcangelo guarda in
camera, così direbbero i cineasti, come a dire: E tu che assisti stai ben
attento, ché tra breve è il tuo turno. Mancano solo i fumetti, anche se non se ne
sente per nulla il bisogno. Un vero e proprio capolavoro di espressività pittorica.
Speriamo che il sacello De Simoni non si chiuda nuovamente, come un
sepolcro, su questa pregevole opera di devozione non solo religiosa, ma anche artistica e
culturale.