NEL VESCOVADO
Nell'immaginario, prerogativa dello scrittore, abbiamo bussato al
portone che si affaccia sul sagrato della chiesa di Nostra Signora delle Grazie e ci hanno
aperto.
Siamo al piano terreno.
L'anticamera d'ingresso.
Veniamo accolti nell'anticamera, un tranquillo salottino dove
gli arredi fanno schermo ai rumori esterni ed alla stessa luce del sole, chè non siano
invadenti.
Qui si attendeva di essere ricevuti alla presenza del Prelato e dei suoi ospiti, oppure si
poteva più semplicemente essere intrattenuti in conversazione per brevi visite di
cortesia.
Lasciata l'anticamera, una scala ci conduce al primo piano, il cosidetto
"piano nobile".
L'affresco della flagellazione.
Quando arriviamo al piano, rivolgiamo lo sguardo indietro.
Scopriamo un punto di notevole interesse, che sicuramente risale alle origini del palazzo
inteso come residenza vescovile, e cioè intorno all'anno 1000.
Si tratta di un affresco monocromo, in tinta verde pastello, la cui collocazione temporale
è identificabile verso la metà del '400 ed è coeva ad altri affreschi che si trovano
ovunque sparsi nell'edificio, recuperati con la recente rivalutazione della
struttura a fini alberghieri.
La singolarità dell'affresco consiste nel fatto che rivela la presenza di una cappella, il cui pavimento
ha dovuto lasciare spazio, in sede di ristrutturazione, alla tromba ed alla rampa delle
scale che salgono dal piano terra.
Osserviamo l'affresco nel
dettaglio.
Si tratta della rappresentazione di un passo evangelico.
Pilato, volendo soddisfare la moltitudine, liberò loro Barabba, e
consegnò Gesù, dopo averlo fatto flagellare, per essere crocifisso.
(Marco 15,15)
Allora Pilato prese Gesù e lo flagellò.
(Giovanni 19,1)
Questo avvenimento è conosciuto come "la flagellazione di Cristo
alla colonna" ed è un tema ricorrente in importanti espressioni artistiche in forma
sia di affresco (un esempio tra molti è nella chiesa di San Pietro in Montorio a Roma ad
opera di Fra' Sebastiano del Piombo) sia di dipinto (dal Caravaggio a Piero della
Francesca).
Nell'affresco si notano chiaramente i flagelli, cioè quella specie di fruste usate dai
romani per infliggere dolore ai condannati a morte; veniva chiamato flagrum e
sulle corde erano disposti e bloccati piccoli pezzi d'osso scheggiato, così da aumentare
l'efficacia del supplizio.
L'opera si fa risalire al 1427, quando fu il vescovo Vigerio a
promuovere l'impianto "a fresco" delle pareti interne dell'edificio.
Peraltro lo stile dell'artista sembrerebbe più antico, tanto da consentirci di pensare
che vi fosse nella sua mano quel tanto di ingenuità pittorica e tecnica da renderlo un naïf
"ante litteram".
Esiste però un ulteriore elemento di valutazione che porrebbe una conferma alla
datazione.
Per me impossibile da ravvisare, è stato l'occhio preparato di un amico, professore in
storia dell'arte, che ha notato un particolare che si osserva solamente sul bordo
inferiore sinistro della foto di
contesto, più in basso oltre la zona dipinta a riquadri.
Si vede una lastra di marmo, quantomeno una zona dipinta che appare come fosse marmo
venato.
Si tratta di una tecnica chiamata stucco lucido o stucco romano, ben conosciuta dai Romani
ma la cui conoscenza si era poi perduta nel tempo sino a quando Giotto la riprese negli
affreschi della Cappella degli Scrovegni di Padova. Facendo questo, nella sua posizione
ben riconosciuta di maestro, fece in modo che si iniziasse una nuova diffusione, tanto che
tale pratica diventò comune in tutta Europa per la sostituzione del costoso marmo.
Forse il nostro affresco non sarà perfettamente aderente a questa tecnica, che in realtà
produrrebbe un effetto più lucido, però consente di valutare con maggior sicurezza la
datazione ai primi del '400, visto che Giotto operò in quel modo giusto un secolo prima.
La casazza.
Dalla parte opposta all'antica cappella, quindi verso monte, si trova un
ambiente unico, quasi un reperto archeologico, inglobato nell'edificio principale ma
sicuramente di epoca precedente.
Si tratta di un locale rettangolare che in origine era una delle tante casazze
che si trovavano sulle pendici del Colle Ursino, sotto il Castello, e che fornivano
residenza ai Nolesi primevi, ma che erano anche punto di incontro per le rappresentazioni
sacre della Passione e della Morte di Cristo.
Questi riti erano stati istituiti nel genovese, intorno alla metà del 1200, dalla
Confraternita dei Disciplinanti che si riuniva per pregare in grandi case, dette appunto casacce
o casazze.
Curiosamente il termine si trova dal 1500 anche in similari riti nell'Isola di Sicilia,
che evidentemente intratteneva contatti non solamente commerciali ma anche culturali e
religiosi con Genova.
La casazza del Vescovado è caratterizzata dal muro in pietra finestrato a
monte, sul quale è stato mantenuto un riferimento di quale fosse in origine il livello
del pavimento, e da finestre
ricavate sulle altre pareti e mantenute come all'epoca.
Le sale a mare.
Sul fronte a mare si affacciano le sale che furono le stanze ed il luogo
di studio e di meditazione riservate alle autorità ecclesiastiche che risiedevano nel
Palazzo.
Invase dalla luce naturale del sole pomeridiano, dagli ampi finestroni prospettano
sul Borgo con un'imprendibile vista (come la definirebbe il più smaliziato tra gli agenti
immobiliari).
Possiamo immaginare il Prelato ed il suo ospite, seduti l'uno di fronte all'altro sui sedili di pietra posti ai
lati della finestra, a conversare degli uomini e delle anime le cui esistenze si
sviluppavano in lontananza, laggiù tra le case, le piazze e le torri del Borgo.
In una di queste sale, una lapide ricorda coloro che
vollero il restauro dell'edificio al dignitoso aspetto attuale.
Vi si legge, con le compressioni delle parole tipiche dell'epoca.
D. O. M.
QUAE
ILLMS,ET.PMS.D.D.PAULUS ANDREA
BORELLUS
EPS.PRAEDECESSOR.INEUNTE SECULO
INCEPIT
FR'.ANTONIUS M.A ARDUINUS
ALBINGANENSIS
SERAPHICI.ORD.MIN.CONV.EPS
NAULENSIS.PERFECIT
ANNO.MDCCLXX
Queste sale sono attualmente utilizzate come luoghi per convivi discreti.
Gli arredi
Aggirandoci per il primo piano abbiamo modo di scoprire la qualità del
lavoro effettuato per consentire ai visitatori di rivivere l'atmosfera d'epoca di cui
tutto l'edificio è pervaso.
Scalinate e specchiere, stemmi e stucchi.
Ed anche qualche rara curiosità come un mobile a scrittoio, ci
racconta la nostra guida, appartenuto a Gabriele d'Annunzio.
E ci mostra il funzionamento di un cassetto che si apre solamente conoscendone il
meccanismo segreto.
Il pensiero corre immediatamente agli amori epistolari, e non solo, con attrici dai
cognomi immortali, cui il "vate" donava se stesso.
Le stanze degli ospiti.
Una scala
ci conduce al primo piano, sul cui corridoio si affacciano le stanze di riposo e residenza
degli attuali ospiti.
Ognuna di queste stanze è titolata ad un Prelato (come le sale del
primo piano), il cui riferimento è evidenziato sulla porta d'ingresso.
Mi ha incuriosito questo personaggio cinquecentesco che per tutta la vita, benchè
ecclesiastico e monsignore, ha dovuto portare il fardello del suo nome: Galeotto
Entriamo.
Una particolare struttura abitativa, a soppalco mansardato, ha
valorizzato l'originale impianto architettonico, sia strutturale sia decorativo.
Luci e rumori attenuati, visione di borgo e mare nella zona di soggiorno.
Una suggestione unica.
Mi piacerebbe avere la possibilità di trascorrere in questo luogo il tempo delle mie
scritture, dei miei lavori d'intelletto, in totale raccoglimento, per cercare di
trasferire ad altri, nel modo più completo, quello che il mondo attorno mi propone:
immagini ed emozioni.