San Bernardo di Monte Carasso:
una teoria iconografica di Santi
testo e foto di Ferruccio C. Ferrazza
(visita effettuata nel settembre 2007)
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Sequenze di Santi.
La parete alla destra ci riporta verso lingresso della chiesa. Qui
il lavoro di interpretazione si presenta di tutto riposo, per così dire; quasi sempre ad
ogni immagine viene attribuito il suo proprietario ben evidenziato in un
cartiglio che lo indica.
(*) Il primo
quadro raffigura quattro personaggi maschili. Partendo dalla sinistra, dapprima si
identifica San Bernardo di
Chiaravalle con labito bianco ed il bastone con il quale sottomette ai suoi
piedi una creatura di diabolico aspetto. Lo segue San Nicola di Mira, in abito
vescovile, tiene nelle mani tre sfere doro, simbolo delle tre borse di denari con le
quali salvò tre fanciulle dal disonore al quale sarebbero state condotte dal loro stato
miserevole. Al suo fianco SantAntonio
abate, con la campanella sul bastone ed un porcellino ai piedi; ricordo simbolico
dellattività che veniva svolta dai suoi confratelli, che allevavano maiali
lasciandoli liberi nei dintorni del monastero, ma con un campanellino al collo. Il quadro
si conclude con San Francesco
dAssisi, che mostra le mani afflitte dalle stigmate, veste il rude saio e calza
i sandali sui piedi nudi. Iconografie più che classiche.
(*) Sopra la
porta, che sarebbe lingresso aperto sulla parete esposta a sud della chiesa, vediamo
una rappresentazione che mostra un esempio da sempre univoco nelliconografia, ed
identifica con certezza SantApollonia
nel momento della tortura. I suoi aguzzini, con le tenaglie, le strapparono i denti uno ad
uno per costringerla ad abiurare la religione cristiana. Piuttosto che farlo, la Santa si
gettò spontaneamente nel fuoco di un rogo da loro acceso, e così morì incenerita.
Il quadro successivo rappresenta la Madonna che allatta il Bambino,
assisa in trono. Limmagine è ripresa frontalmente, tanto da mostrare un contrasto
di stile tra il volto della Vergine, solamente delineato, ed il drappeggio morbido e
tridimensionale dellabito. Questo tipo di rappresentazione viene denominata
Maestà della Vergine e lassenza di altri personaggi a contorno mostra
come lartista abbia aderito ad alcuni canoni iconografici di matrice bizantina,
peraltro vagamente riconoscibile nei volti. Con buona probabilità lartista di
questo dipinto è unico nellinsieme degli affreschi.
(*) Procedendo
come ormai dabitudine verso destra incontriamo unedicola con diversi quadri,
sostenuti da un curioso disegno monocromo trompe loeil, che sembra
proiettare blocchi di pietra squadrata verso losservatore. Tra le scene emergono
quelle relative alla vita di San
Nicola di Mira; al centro è riconoscibile lepisodio cui ho già fatto
riferimento ed in questo caso si nota come, a fianco delle fanciulle, compaia anche il di loro padre. Alla sinistra la
rappresentazione di un altro episodio, che ricorda quando il Santo calmò le acque
tempestose del mare salvando dal naufragio una nave ed i marinai che di lui invocavano il
nome. Sulla stessa fascia si riconosce la raffigurazione classica di San Sebastiano, legato ad una
colonna e trafitto dalle frecce scagliate dai suoi aguzzini; in realtà non morì per
questo evento, anzi ne uscì miracolosamente curato da mani pietose; morì in seguito
sotto i colpi della flagellazione impostagli dallimperatore. Alledicola fanno
da contorno due diverse raffigurazioni. Sulla sinistra San Giorgio, in completa armatura,
che con una lancia da torneo trafigge il drago che terrorizzava gli abitanti della città
che si intravede sullo sfondo, tra i quali emerge la fanciulla che richiese laiuto
del Santo; a ben guardare si scopre che costei ha la testa coronata, ed infatti la
leggenda parla di lei come di una principessa. Sulla parte destra invece troneggia in
tutta la sua prestanza fisica San
Rocco, identificabile dal fatto che mostra la piaga apertasi su un polpaccio in
seguito alla sua attività amorevole nei confronti dei lebbrosi, dai quali contrasse
linfezione poi miracolosamente guarita; ai suoi piedi il cagnolino che ebbe
unimportanza vitale nellepisodio, per il fatto che fu proprio la bestiola ad
alimentare il Santo ritiratosi in una caverna durante la malattia, portandogli tozzi di
pane. Anche queste rappresentazioni sono univoche nelliconografia classica, e quindi
di facile interpretazione.
Da questo punto in poi si rientra sulla linea temporale del XV secolo,
cui questa parete appartiene.
(*) Il quadro
che segue racchiude in sé lelemento che mi ha consentito di venire a conoscenza di
questa chiesa. Si tratta della figura centrale, polimorfa, che rappresenta la Trinità: il Padre, seduto in
trono, sostiene la croce sulla quale è crocefisso il Figlio e sulla quale è posata la
colomba dello Spirito Santo. Questa è una particolare raffigurazione di derivazione
bizantina e viene denominata Trono di Grazia, consolidandosi in Europa solo
dopo il XII secolo. Ho trovato questa identica tipologia iconografica studiando gli
affreschi della chiesa di Santa Marta a Sondalo, ameno paese in provincia di Sondrio
nellAlta Valtellina. Durante le analisi sono stato indirizzato dalla lettura di un
testo redatto diversi anni addietro da uno storico locale, che nel descrivere gli
affreschi riferisce dellesistenza a Monte Carasso di una configurazione del tutto
simile. Ed infatti è proprio così. E devo soprattutto ringraziare questo legame
descrittivo se sono riuscito a scoprire la chiesa di San Bernardo. Vediamo la altre figure
del quadro. Allestrema sinistra ritengo che ormai tutti siano in grado di
riconoscere nella tenaglia con il dente lattributo di SantApollonia. Al suo fianco
è San Lorenzo, che regge nella
mano destra uno strano oggetto;
molto ricorda le moderne gratelle che, poste sul focolare, consentono di passare momenti
di convivialità genuina cuocendo le vivande al calore delle braci roventi. Ed il suo
attributo è effettivamente una graticola, ma per il Santo la verità dei fatti fu più
drammatica, perché fu lui stesso ad esservi posto dai suoi carnefici, che si incaricarono
di rigirarlo a suon di colpi di forcone. Che sia un martire è anche testimoniato dalla
palma che reca nellaltra mano. Spostandoci allestrema destra del quadro è
sufficiente leggere ciò che è scritto nel cartiglio, cioè [e]cce agnus dei
ecce qui tolit peccata mundi per riconoscere la frase liturgica che fa
attributo per San Giovanni Battista,
qui riprodotto scalzo ed in modesti abiti. E inoltre interessante notare in questa
figura altri elementi che si ritrovano nelliconografia del Santo, ovvero il mantello
rosso, simbolo del martirio, ma soprattutto la veste, che si intravede nella
scollatura e che tradizione vuole che sia composta da peli di cammello, gli unici animali
che con lui condividevano la spartana vita nel deserto. Resta una figura, in abito
vescovile. Non fosse scritto sulla cornice che si tratta di San Martino, vescovo di Tours, non
avrei saputo proprio come identificarlo. E lamaro destino verso cui si
indirizzano le immagini dei vescovi e dei papi nelle mie ricerche. A conforto, ho notato
che molti altri condividono con me questo problema.
(*) Una
finestra separa lultimo quadro della parete, una schiera di santi e sante alternate
nel più rigoroso dei bon ton, probabilmente raccolti assieme a protezione dei
fedeli contro i mali e le disgrazie il cui contrasto è a loro attribuito. Abbiamo già
visto come in questa zona non è più da chiedersi di chi sia limmagine
dipinta, ma piuttosto perché lo sia in quel modo. Lartista ci dice il
nome, ed a noi non resta che il compito di confermarlo, in base a quello che vediamo.
Per primo si ritrova nella bianca veste San Bernardo di Chiaravalle. In un
primo tempo non avevo notato una curiosità di questa figura: dal bastone che regge nella
mano sinistra scende una catena che scompare oltre langolo del vano della finestra.
Se si segue il percorso della catena oltre quellangolo si scopre dipinto un povero diavolo, nel senso
letterale della parola, con lo sguardo terrorizzato negli occhi piangenti e con la lingua
sporta nello spasmo dello strangolamento, cui cerca di porre rimedio con la mano a zampa
di porco. Sembra quasi di sentirlo dire, con voce fievole ed arrochita, Per favore,
aiutatemi! come fosse lui il buono e Bernardo il cattivo; le lusinghe del Maligno.
A fianco di San Bernardo troviamo la figura femminile indicata come
Santa Liberata. Qui è opportuno fare un piccolo appunto, perché di sante con questo nome
ne vengono venerate almeno due; la prima nacque da un parto di ben nove gemelli, ma il suo
culto venne consacrato solamente alla metà del 500 ed in terre lontane; la seconda,
invece, è di origini vicine tanto da essere indicata come Santa Liberata da Como, città
nella cui cattedrale tuttora si trovano parte delle reliquie, lì custodite sin dal 1317.
Non vi sono attributi evidenti nella figura, se non labito monacale ed il libro, ed
è per questo motivo che è possibile pensare, senza alcun ragionevole dubbio, che si
tratti proprio di questultima, Santa Liberata da Como.
Laffianca San
Defendente, che da buon soldato impugna una mazza ferrata e con laltra mano
sostiene la spada. Anchegli faceva parte di quella Legione Tebea che abbiamo
incontrato in altri punti della chiesa, primo fra tutti nellimmagine di San Maurizio
che comandava proprio quella legione militare.
Al suo fianco Santa
Lucia mostra il piattino dove sono deposti gli occhi che lei stessa si cavò per
sfuggire ad un matrimonio non voluto; uniconografia ben consolidata dopo il XIV
secolo. Non sono riuscito a comprendere, né peraltro ho trovato alcun riferimento
meritevole di attenzione, quale sia il significato delloggetto che stringe nella mano
destra e che sembra essere una specie di fuso da tessitore. Sarebbe comprensibile se
fosse una lampada, simbolo della luce così come appare nelle prime immagini della Santa,
oppure il pugnale con cui fu uccisa, che qualche immagine mostra conficcato in gola, anche
se in realtà la tradizione vuole che fosse morta decapitata. Mistero.
Proseguendo incontriamo Santo Stefano, chiaramente
riconoscibile dallabito diaconale e dalle pietre poste sulle spalle e sulla testa, a
simboleggiare la morte cui andò incontro infertagli per lapidazione.
Il quadro si chiude con SantElena, madre
dellImperatore Costantino. La croce che sostiene è il ricordo dellepisodio
più significativo della sua vita quando, facendo scavi sul Golgota, riuscì a trovare la
croce che servì alla crocefissione di Gesù.
Unimmagine, un cartiglio, lidentificazione, gli attributi,.
Come già detto, una parete di tutto riposo.
(*) E chiudiamo
il periplo della chiesa con lultimo quadro, che racchiude un trio incentrato sulla
figura di Santa Margherita o, per seguire il cartiglio, Santa Margarita. Anche in questo
caso ci sarebbe di che disquisire, visto che diverse sono le sante con questo nome. Ci
viene perciò in aiuto il terribile drago. Qui il pittore ha compiuto un notevole sforzo
compositivo nel voler rappresentare così bene lepisodio miracoloso che è il fulcro
della biografia di Santa Margherita
dAntiochia, talvolta chiamata anche Santa Marina. Il drago sembra avvinghiato ai
piedi, ma non è così. Secondo quanto riporta la tradizione, la Santa venne inghiottita
dal demonio in sembianze di drago, ed ecco che nellimmagine si vede ancora un pezzo
della veste della Santa che fuoriesce
dalla bocca orrendamente dentata. Ma la Santa si salvò squarciando con la preghiera
il ventre del drago e fuoriuscendone illesa, proprio come si vede nella raffigurazione del
dipinto.
Le altre due figure maschili non potrebbero essere riconosciute in alcun
modo se non vi fosse il cartiglio indicatore. Lunica cosa certa è che si tratta di
soldati, a motivo della spada che reggono, e di martiri, come testimonia il ramo di palma.
Nullaltro. A sinistra è San
Mamete, che già nel nome trova una vasta possibilità di discussione. Infatti viene
conosciuto dapprima, in arte bizantina, come Mamas, poi con vari nomi similari,
tantè che è statisticamente più conosciuto come San Mama di Cappadocia,
soprattutto nelle regioni del nord est. Peraltro è da dire che il catalogus sanctorum
della fine del 400 lo riporta proprio come Mamete, ma solo nelle schede biografiche
perché negli indici è invece citato come Mammes. Poveruomo, un vero alias
vivente.
Nessuna frase è più idonea a rappresentare il mio pensiero se non la
famosa non cè pace fra gli ulivi. Pensavo di trovarmi ormai in una zona
di rilassante analisi, di sicura interpretazione, di piacevole relazione con le immagini.
Niente di più ingannevole. E pensare che siamo allultimo personaggio. Dice il
cartiglio S guidus; facile, San Guido. Già. Non fosse che di santi con questo
nome ce ne sono almeno una mezza dozzina ed altrettanti sono i beati (ma di
questultimi non ci occupiamo). Limitiamoci ai santi. Anche si dovesse valutare la
loro posizione sulla linea temporale, ci accorgeremmo che tutti vissero intorno
allanno Mille, secolo più, secolo meno. E quindi nulla di significativo. Ci
accorgeremmo anche che nessuno di essi fu soldato, e qui abbiamo la spada come attributo.
E quindi nulla di significativo. Anche la palma che lo identificherebbe come martire non
sembra aiutarci; nessuno è stato realmente martirizzato, però tutti compaiono nel
Martyrologium Romanum. E quindi nulla di significativo. Proviamo allora a
proseguire sulla linea delle esclusioni, se possibile. Io toglierei dallelenco dei
probabili quelli che furono vescovi, perché abbiamo già visto che in questa zona della
chiesa le immagini di vescovi sono raffigurate con labito che a loro compete, e non
è questo il caso. I vescovi sono solo un paio, anche se di rilevanza come San Guido
dAcqui. E quindi nulla di significativo. E allora? Rimangono abati, che sarebbero
rappresentati con una casetta in mano, e pellegrini, che avrebbero il bastone a sostegno
del loro andare. Insomma, da qui non si esce. Rimane solo da pensare che costui non si
chiami propriamente Guido. Ho iniziato quindi una di quelle ricerche che io chiamo a
percorso libero, dove il sostegno informativo è dato dallo stravagante e variegato
mondo di Internet, la cui peculiarità riconosciuta è quella di fornire, se non altro,
almeno un valore statistico a quanto trovato. Forse poco scientifico come metodo, ma
talvolta efficace per chi sa porre in atto filtri e schermi sui risultati, cercando di
eliminare quanto più possibile di quello che i tecnici chiamano rumore di
fondo. Dapprima ho cercato di verificare se il termine San Guido fosse
correlato con qualche altro nome. In realtà avevo già riscontrato che tra quella mezza
dozzina di cui ho detto era elencato San Guido di Pontida che non mi aveva interessato
perché abate, per nulla martire, e tantomeno soldato. In un documento telematico, però,
compare con unindicazione che porta a pensare che fosse conosciuto anche con il nome
di Vito, tantè vero che la sua storia è ricordata dalla Chiesa in associazione con
un suo compagno di vita di nome Alberto, peraltro soldato, appunto in accoppiata come
Santi Alberto e Vito. Collegamento per collegamento, sono andato a verificare
chi fosse San Vito, ed ho scoperto che lui sì è martire e soldato, e la sua iconografia
lo riporta frequentemente in abito militare e, naturalmente, con la palma. E allora? Se
dessimo credito alla dicitura del cartiglio si potrebbe pensare che si tratti di San Guido
di Pontida, che lartista ha confuso nellarte militare con il suo compagno di
martirologio, però lo avrebbe pure confuso tra i martiri. Improbabile. Sono più propenso
a pensare che veramente ci troviamo di fronte allimmagine di San Vito, martire in
età adolescenziale, e che leventuale confusione sia solamente localizzata nel nome
esposto nel cartiglio. Forse allepoca Vito si scriveva anche come Guido, che sembra
avere origine nel longobardo Wido. Ma allora da questa indicazione si potrebbe ancora
ripartire, visto che con questo nome sembra che si firmasse San Guido vescovo di Acqui.
Collegamenti nello spazio virtuale, legami circolari, algoritmi mentali. Meglio fermarsi.
La questione mi lascia ancora molti dubbi aperti allindagine. Chissà, forse una
nuova linea di studio da percorrere scavando nel mistero delle ragioni dartista o di
committente di diversi secoli fa.
Ho lasciato la chiesa, non prima di aver salutato limmagine del Cristo sepolto e risorgente, cui gli
angeli offrono la protezione di un manto riccamente decorato.
Sono uscito ed ho chiuso il portone accuratamente, accertandomi che la
chiave abbia eseguito correttamente il suo compito, affidando alla serratura la custodia
inviolabile di un gioiello di storia dellarte religiosa.
Ho riguadagnato la luce del sole, immergendomi nuovamente nella silenziosa atmosfera dei luoghi e
nello splendore della limpida giornata di vento.
Una discesa che mi è sembrata ben più corta della salita, ed ho
riconsegnato la chiave in Comune nei tempi previsti, allontanandomi con un prezioso tesoro
di antiche immagini racchiuso nella moderna memoria elettronica della mia macchina
fotografica.
Mi aspettava un duro lavoro. Me ne sono accorto. Questi i risultati.