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LA ZONA DELL'INGRESSOTesti e fotografie di Nota per la lettura del sito: La zona dellingresso
(*)Sotto la loggia dingresso, sulla sinistra, ai piedi di unimmagine femminile, la firma dellautore mi informa sulla datazione hoc opus 1473; mi aiuta a collocare sulla linea temporale, anche se in termini orientativi, il periodo di tutto il ciclo di affreschi.. (*)Lintero quadro, però mi incuriosisce. A prima vista limmagine si interpreta con la raffigurazione della Madonna in trono con il Bambino salvatore del mondo: la classica Madre col Bambino. Però alcuni aspetti del dipinto mi lasciano perplesso. In particolare il manto rosso, il vestito verde ed il candido velo monacale sono gli attributi che una consolidata iconografia assegnano a SantAnna, madre di Maria. Peraltro è proprio in un inventario ottocentesco delle immagini di SantAnna che trovo la descrizione catalogata di unincisione lignea che la ritrae in questa posizione, seduta, con il Bambino sulle ginocchia. Pur se improbabile, non è impossibile che qui ci si trovi davanti ad una rara rappresentazione della Nonna col Bambino. Non trovo nessuna didascalia che mi aiuti nella soluzione di questo piccolo enigma. Lo lascio tale. Rivolgo la mia attenzione sulla parte opposta della controfacciata. (*)Nel cavaliere con larmatura e montato sul bianco destriero, qui si riconoscono con facilità i tratti distintivi di San Giorgio di Lydda che ferisce e sottomette un drago con la lancia, mentre una figura femminile si sforza di trattenere la bestia con la cintura a mo di guinzaglio. La leggenda narra che fu il Santo a salvare la giovinetta dalle fauci del mostro e fu lei che lo portò legato sino alla città, che infatti compare nello sfondo del quadro. Lì il mostro venne ucciso. E quindi errato identificare nelliconografia del Santo il San Giorgio che uccide il drago. Molti si sono posti il problema di chi fosse storicamente la fanciulla; di certo si tratta di una nobile, a dar credito alla corona turrita che porta in capo. Nessuno ha ancora potuto dare una risposta certa. (*)Sopra questo quadro (quasi mi sfuggiva) scorgo una doppia ruota munita di denti affilati, certamente atti a dilaniare il malcapitato che vi giace sottoposto a tortura. Due figure ai lati, i carnefici, agiscono su una manovella, con levidente intenzione di azionare lordigno. Tra le ruote si intravede una figura seminuda distesa. Questa è la rappresentazione del supplizio di Santa Caterina dAlessandria. La leggenda narra che la Santa resistette alla tortura e morì in seguito decapitata, perché durante il supplizio le ruote vennero spezzate dagli angeli ed i carnefici rimasero uccisi. Riprendo a fianco del San Giorgio, dove verso destra un grande quadro mostra diverse figure affiancate. (*)La prima figura impugna un bastone da pellegrino e, sollevata una braca dei calzoni, mostra la coscia denudata sulla quale si intravede una ferita dai bordi rilevati. Si tratta di San Rocco, che si salvò dalla peste che aveva contratto curando gli ammalati. Non si fosse potuto vedere la gamba ferita, unico attributo che porta certezza allidentificazione, sarebbe stato praticamente impossibile distinguerlo da altri santi pellegrini. Questa parte del dipinto è molto rovinata dal tempo, e probabilmente ha perso diverse parti significative, oltre che di pregio artistico. (*)La seconda figura è femminile. Nella mano sinistra regge un secchiello, nella destra innalza un oggetto più difficile da comprendere di cosa si tratti, dissolto comè nellerosione del dipinto. Il velo monacale le attribuisce anche la caratteristica di fondatrice di convento. Si tratta di Santa Marta di Betania cui la chiesa è dedicata e la cui immagine ricorre in diverse altre chiese di Valtellina. E la sorella di Lazzaro e di Maria Maddalena, ed amica di Gesù. Loggetto nascosto dal degrado del tempo è un aspersorio, ed infatti il secchiello serve al trasporto dellacqua santa. Ai suoi piedi, frammenti di pittura sembrano mostrare una parte di drago, che la leggenda vuole da lei rabbonito proprio con laspersione. Ma di lei e di questo argomento parlerò in seguito, con maggior approfondimento. (*)La terza figura, maschile, vestita con il saio di frate francescano, regge nella mano sinistra un libro e con la mano destra indica verso lalto un oggetto circolare. Questo è un simbolo ed è molto particolare; viene denominato trigramma ed è costituito dalle lettere IHS o JHS inscritte in un cerchio che rappresenta un sole raggiante; lacrostico non ha una interpretazione certa potendo esprimersi con Iesus Hominum Salvator oppure In Hoc Signo o in altro ancora. Il fatto è che, comunque, questo emblema fu disegnato da San Bernardino da Siena. La conferma che di lui si tratta mi viene data anche dalla precisione con la quale lartista ha voluto mostrarne il volto, incavato dalla perdita dei denti dovuta alle malattie dalle quali era afflitto ed alla vita ascetica che conduceva, ed anche nella scritta sul libro dove si legge la frase Pater manifesta nomen tuum omnibus ossia O Padre, rendi conosciuto a tutti il tuo nome, a testimonianza dellopera di forte predicazione condotta in vita dal Santo. Mi incuriosisce, peraltro, che la sua morte, avvenuta nel 1444, sia molto prossima alla valutata datazione degli affreschi. Significa certamente che lopera di San Bernardino era ben nota ed ancor più apprezzata ovunque in Italia, anche nei luoghi più remoti che da lui stesso venivano raggiunti a piedi per portare e diffondere con la sua voce il cristianesimo della vita quotidiana. (*)Le tre figure appena viste sono tutte rivolte verso la quarta immagine, che non ho difficoltà a riconoscere nella Santissima Trinità: il Padre in Trono con il Figlio crocifisso in grembo e sopra di lui la colomba dello Spirito Santo. (*)Il
quadro si conclude sulla destra con una figura più piccola della altre e che, a prima
vista, non mi sembra porre alcun problema di interpretazione, visto che su uno stendardo aperto e disteso al
vento si legge chiaramente che si tratta del Beato Simone. E qui potrei abbandonare ogni
altra riflessione, non fosse che, però, di beati di nome Simone è zeppo ogni elenco
agiografico; ve ne sono sparsi per ogni luogo dItalia, ed anche dellestero. Lascio soddisfatto lanalisi di questo quadro, e mi rivolgo a quello vicino, a sinistra, sullaltro angolo della loggia. (*)Nella sequenza dei personaggi, iniziando da sinistra, trovo una raffigurazione il cui soggetto è tanto raro quanto curioso, e la cui interpretazione devo solo al caso. Diverso tempo fa, non ricordo nemmeno per qual motivo, scoprii che in una chiesa del cuneese si ammirava un affresco con limmagine di SantEligio che ferra una zampa amputata da un cavallo. La leggenda racconta che poi la riattaccò miracolosamente. E unimmagine rara di cui ho perso memoria perché ricorda una parte, forse la meno significativa, della vita del Santo, quando da giovane lavorò come ferraiolo e maniscalco. Fu la sua abilità che lo portò in seguito a distinguersi come orafo, ed appunto in questa veste è normalmente raffigurato alla corte di Re Dagoberto, mentre cesella una croce doro. Proprio sotto questa figura, compare la datazione del 1510. Posso quindi pensare di collocare anche il quadro precedente in questo periodo. Rispetto alliniziale posizione sulla linea temporale che ho assegnato al 1473 sulla scorta della prima immagine analizzata, ora il contesto storico è avanzato di 38 anni, uno spostamento significativo. E per questo si valorizza e consolida in miglior modo il sincronismo tra la devozione ai personaggi raffigurati e gli anni della loro pittura. Lavessi saputo prima, forse il Beato Simone da Trento non lavrei inizialmente scartato, ma lavrei scelto subito senza tema di dubbio e senza procedere con le altre valutazioni. Comunque sia, il lavoro rivelatosi superfluo è servito ad ampliare la mia conoscenza,e questo è poi lo scopo finale di ogni essere intelligente. (*)Al suo fianco ritroviamo una nuova immagine di San Rocco che mostra la coscia con la ferita della peste, appoggiato allimmancabile bastone del pellegrino. Che sia un pellegrino è pure testimoniato dalla piccola conchiglia che vedo sopra la sua spalla destra; la conchiglia era il ricordo portato con sé da coloro che compivano i pellegrinaggi, in particolare verso Santiago de Compostela. In merito a questo Santo è da dire che normalmente è accompagnato dalla figura di un cane che gli porge un tozzo di pane; è il ricordo di un episodio della sua vita quando, già ammalato e ritiratosi in eremitaggio, venne mantenuto in vita da un cane che gli portava di che sfamarsi. Sia nellimmagine che ho già visto sia in questa il cane non cè, o forse non si vede più; in entrambe gli affreschi, infatti, ai piedi del Santo compare una zona di degrado del dipinto, le cui dimensioni potrebbero nascondere lanimale, quasi fosse unintenzionale cancellazione. Possibile che sia solo una sfortunata combinazione, tanto improbabile quanto possibile? Che sia stata unazione indotta dallinterpretazione tardiva ed estremistica delleditto di Carlo Magno, che nellanno 800 proibì che si portassero i cani in chiesa? (*)Proseguo
verso destra. Si vede abbastanza chiaramente una costruzione ai cui lati si
appoggiano due angeli ed altri due la
sorreggono, sollevandola sopra un mare ondoso . Allinterno si intravede, in un
riquadro, un busto, forse
femminile, con laureola. Si tratta della raffigurazione del trasporto
della casa natale della Beata Vergine Maria, luogo dove a Nazareth si compì
lAnnunciazione. La tradizione vuole che la traslazione sia avvenuta alla fine del
200 ad opera di angeli in due riprese. Una prima traslazione fu effettuata fino a
Tersatto, in Dalmazia. Successivamente la seconda, ed ultima, traslazione fu a Loreto. (*)La
sequenza termina con una figura maschile, ignuda, trafitta da diverse frecce,
legata ad una colonna o ad un
albero la cui struttura si riconosce tra le gambe e nel capitello sopra il capo. Il
riconoscimento mi è facile e sicuro. Si tratta del martirio di San Sebastiano,
che sempre viene rappresentato in questo modo. Ma nel racconto della tradizione il Santo
non morì per nulla in quelloccasione. Abbandonato e dato per morto dai suoi
aguzzini, venne soccorso da una cristiana e curato tanto da guarire, di certo
miracolosamente. Ritornato in salute, si presentò allimperatore Diocleziano
proclamando la sua fede. Morì sotto i colpi di flagello. Alzo lo sguardo e seguo il dipinto che prosegue verso lalto sulla parete, formando un arco, per poi congiungersi con la volta a crociera. (*)Sulla sinistra, anche se non vi fosse quella didascalia chiara seppur interrotta dalla consunzione dei tempi San Nicolaus de To , nella figura maschile riconosco gli attributi di San Nicola da Tolentino: il saio degli Agostiniani, il crocifisso fiorito di gigli, simboli di purezza di vita, ed il libro delle Regole. Meno evidente, sul petto comunque intravedo una macchia rossa, quella stella che lartista con certezza ha voluto rappresentare a ricordo della visione miracolosa che lo accompagnava durante la celebrazione della messa. La frase sul libro è chiaramente leggibile Pater, praecepta tua servavi cioè O Padre, ho osservato i tuoi comandamenti. Si riferisce al testo specifico della Bibbia Vulgata come riportato al versetto 100 del salmo 118, che nel completo così si esprime super senes intellexi quia praecepta tua servavi. Nel caso del Santo è più probabile che il riferimento sia correlato ai dettami di SantAgostino, che egli applicò alla lettera ai suoi momenti di vita consacrata. (*)A destra, oltre limmagine quasi completamente cancellata della Vergine sopra la Santa Casa, una figura vestita di saio. Un monaco, quindi, che si appoggia su un nodoso bastone con limpugnatura a T nella mano sinistra, e che sorregge un libro nella mano destra alla quale è legata una piccola campana. Linsieme di questi attributi mi rende certo il riconoscimento con SantAntonio abate, che con il suono della campanella scacciava quegli spiriti maligni che lo tentavano nella sua vita deremita nel deserto. Peraltro è curioso che la campanella sia normalmente associata, ma non qui, anche ad un maialetto posto ai piedi del Santo. Questa storia si riferisce a fatti avvenuti dopo la sua morte. Nella città francese dove furono portate e conservate le reliquie del Santo, fu fondato lOrdine Ospedaliero degli Antoniani, il cui simbolo è il bastone a T e la cui specializzazione medica era la cura del herpes zoster, detto appunto Fuoco di SantAntonio perché il Santo ne guarì diversi ammalati. Per la cura di questo male si ricorreva al grasso di maiale, e quindi i monaci avevano in carico un discreto allevamento di questi animali, che per il prezioso contributo che davano alla guarigione erano identificati con una campanella al collo ed avevano il privilegio di poter girare liberi per le vie del borgo. Questa parte della storia si diffuse anche in Valtellina portando il culto del Santo e del maiale, assieme, anche se con qualche modifica di sapore locale. Ricordo infatti che le Leges Municipales Magnificae Comunitatis Burmii, cioè gli Statuti Bormini, al capitolo 215 dettano una curiosa regola titolata De verro communis, cioè del porco del Comune. Ho ritrovato il testo e qui ne riporto la sola versione tradotta in italiano, estratta da una vecchia pubblicazione nella Collana Storica della Banca Piccolo Credito Valtellinese. Art. 215 Da notare come il Santo sia indicato di Vianna. Lattribuzione è relativa alla città ove giunsero le reliquie e che per questo fatto prese il nome di Saint-Antoine de Viennois. Ho terminato la parete ed alzo gli occhi al cielo, è il caso di dire. La volta è suddivisa in quattro settori, ognuno dei quali racchiude un
medaglione con il busto di un personaggio maschile che, dal copricapo, si riconosce come
essere un vescovo o un papa. Allincrocio dei costoloni unimmagine del Cristo
Pantocratore. Diverse scritte aiutano nella comprensione delle immagini minori. Per questa
volta mi sono posto come obiettivo il riconoscimento dei santi. Distolgo lo sguardo. (*)Su uno di questi è dipinta una figura maschile, ben delineata, in abbigliamento da soldato romano. (*)La figura si trova testa a testa con unaltra similare. Le valuto in coppia. La prima porta nella mano sinistra una frusta o staffile e nella destra una palma. La seconda, nella mano destra una spada; il resto del dipinto è deteriorato e ne cancella il contenuto. Però gli attributi valutati assieme mi consentono di riconoscere San Gervasio e San Protasio, fratelli gemelli, entrambi martiri, ritratti con gli strumenti utilizzati per il loro mortale supplizio. Sullaltro archivolto trovo ben leggibili le didascalie, che sciolgono ogni dubbio dinterpretazione. (*)Strano però. In questo caso limmagine di Santa Marta non segue la tradizione iconografica, più volte ripetuta nella chiesa; infatti qui nessuno degli attributi classici è presente, ma è ritratta in abito monacale ed in posizione di preghiera. Sono più che perplesso; dapprima ritengo che non si tratti della Santa Marta di Betania ricordata nella titolazione della chiesa e nelle altre raffigurazioni. Non ho a disposizione altri indizi se non labito ed il candido soggolo. Ma in tutte le altre immagini labito è rosso, mentre qui lo sono solo le maniche; inoltre manca il secchiello e laspersorio. Perché non qui? (*)Un aiuto a dare risposta al quesito viene dalla figura superiore; la dicitura dice che si tratta di Santa Maria Maddalena, ed infatti la veste sfarzosa, i lunghi capelli sciolti ed il contenitore per lunguento che stringe nella mano destra danno certezza allidentificazione, oltre al fatto che si trova in posizione adorante ai piedi del Cristo crocefisso, immagine centrale dellarchivolto. Le due figure femminili devono venire interpretate congiuntamente, ed allora è possibile comprendere quale sia il significato della diversa iconografia di Santa Marta di Betania. Alcuni artisti hanno impiegato questa coppia per proporre due simboli tra loro in contrapposizione morale, come semplici richiami al di fuori delle completezze iconografiche; la severità dellabito monacale per la modestia, lappariscenza dellabbigliamento per la vanità. Fosse stata sola e senza diciture, la figura della monaca sarebbe rimasta nel più completo anonimato interpretativo. (*)Oltre il Cristo crocefisso, ma in stretto legame con esso, è dipinta la figura perfettamente riconoscibile di San Francesco dAssisi, vestito del saio di frate, cinto da un cingolo con tre nodi che si relazionano ai voti dei francescani: povertà, castità, obbedienza. Alcune linee rosse sono state tracciate per congiungere le ferite del Salvatore con le corrispondenti posizioni sul corpo del Santo. Si tratta della rappresentazione dellepisodio più significativo nella vita del Santo, quando ricevette le stimmate. (*)Mentre analizzo questa zona scopro che il medaglione più vicino non raffigura né un vescovo né un papa, come viceversa è il caso degli altri tre presenti sulla volta. Pur se il volto è perso nel degrado del dipinto, intravedo laureola. Il personaggio è ritratto mentre scrive, una penna nella mano destra di fronte ad un libro, sullo sfondo una libreria ricca di volumi e documenti. E sicuramente limmagine di San Girolamo, rimasto famoso per la sua imponente opera di letteratura cristiana oltre che per la traduzione del Vecchio Testamento chiamata Vulgata, ottenuta dalla lettura diretta dei testi originali in lingua ebraica; unimpresa che fu prima e unica nel suo genere. Osservo attentamente e scopro che lartista, curiosamente, ha dipinto le sue mani con solo tre dita oltre il pollice. Sorrido tra me per laccostamento profano che mi sorge alla mente con le figure dei personaggi del compianto Walt Disney, ma sono sicuro che San Girolamo non me ne vorrà; in fin dei conti è il mio protettore, visto che mi piace collocare me stesso tra studiosi, bibliotecari ed archeologi. Lascio la loggia e mi dirigo verso laltare. Costeggiando la parete di destra della chiesa, dove si apre il portone daccesso laterale. (*)Prima di questa apertura, un quadro mostra nuovamente Santa Marta di Betania, questa volta con gli attributi della tradizione classica. Sotto di lei emerge il volto di un personaggio rivolto in preghiera verso una zona profondamente danneggiata, dove posso più immaginare che intravedere la Madonna col Bambino. Vicino al volto della Santa, una piccola immagine raffigura una lapide dove emerge dal fumo della consunzione la data del 1527; un ulteriore passo in avanti nella scala del tempo. Mi incuriosisce però langolo in alto a sinistra del dipinto; in un riquadro compare una gamba umana. Probabilmente il quadro è stato dipinto quale ex-voto per una qualche guarigione prodotta dalla Vergine Maria su intercessione della Santa. (*)Proseguo e supero la porta, trovando una nuova immagine di Santa Marta di Betania, a mio avviso la più bella tra quelle sinora riconosciute; non solo, ma vedo una pittura diversa, uno stile più rivolto alla qualità del ritratto, meno legato alla semplicità dei simboli iconografici. Dal volto della Santa emana una profonda dolcezza, le gote rosate, la morbidezza realistica della bocca in contrasto con leccessiva schematicità degli occhi. Sapienti sfumature di colore sono pennellate a rendere quella terza dimensione che il piano non concede, effetto ancor più visibile nella colonna spiralata inserita sulla destra a limitare il quadro, il cui motivo si ritrova anche nelle colonne dellarco di accesso al prebiterio. Con questimmagine farei lemblema (oggi si direbbe il logo) della chiesa stessa.
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