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UN BENEFICIO TROPPO ESIGUO
(premere qui per le note a piè di pagina) Testo estratto dal libro
Dopo quanto si è detto, pare di poter concludere che il '500 fu per s. Marta il periodo di maggior splendore. Già negli ultimi decenni di quel secolo si avvertono però i sintomi di un certo abbandono. Per esempio, nel 1580 il vescovo Gianantonio Volpi, su richiesta del curato Meninello, unisce il beneficio "della chiesa o cappella di s. Marta a quello parrocchiale di s. Maria": segno evidente che il beneficio di s. Marta era senza titolare e segno anche che nessuno vi aspirava, perché allora i preti non mancavano. È vero che il popolo si oppose al decreto vescovile e che il parroco non potè mai riscuotere i frutti dei beni di s. Marta e che nove anni dopo il vescovo Ninguarda si vedrà costretto ad annullare detta unione, ma è fuori dubbio che il beneficio doveva essere veramente esiguo (23). Ciononostante i sondalini vedevano giusto: l'avvenire di s. Marta dipendeva dalla presenza di un sacerdote che ne fosse titolare a pieno diritto, e loro erano certi di trovarlo. Infatti l'anno successivo e cioè nel 1590 lo stesso Ninguarda vi promosse il chierico suddiacono Martino Giandoleto, o Giandolotto, che la governò dieci anni (24). Alla sua morte, poi, gli succedette il chierico Carlo Castelli, che ne prese possesso il 13 ottobre 1600 (25). A buon conto, già quattro anni prima, nel dicembre 1596, il vescovo Archinti, venuto in visita pastorale, nota che la chiesa "ha bisogno di reparatione acciò non vi piova dentro"; inoltre ordina che "l'altare maggiore si serri de cancelli" e che "si levino quelli doi altari quali sono presso la porta maggiore l'uno sotto il titolo di s. Martino, l'altro sotto il titolo della Madonna di Loreto" (26). Evidentemente questi due altari erano stati voluti dalla devozione popolare e sono senz'altro da mettere in relazione con i due affreschi ai quali s'è accennato.
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