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GLI AFFRESCHI
DI GIOVANNINO DA SONDALO

(premere qui per le note a piè di pagina)

Testo estratto dal libro
Don Gianni Sala - Le chiese di Sondalo - Sondalo 1998

NOTA
per la visita con le immagini fotografiche
si veda la sezione Iconografia

 

È chiaro a questo punto che, terminati i lavori di ampliamento e di restauro, si impose l'opportunità di decorarla e i lavori vennero commissionati al pittore locale Giovannino da Sondalo. L'artista, che doveva già essere affermato perché a quell'epoca aveva già lavorato in varie altre chiese dell'alta valle, ha lasciato qui i suoi migliori lavori.

È da credere che Giovannino abbia lavorato anzitutto ad affrescare l'abside per conto dei sindaci di vicinanza e che i quadri che si trovano sotto il loggiato siano invece posteriori e fatti a più riprese, probabilmente come ex voto di privati. Pare di poterlo dedurre infatti dalle diverse date che si leggono in calce.

Per quanto riguarda l'abside, la bellezza di quanto ancora rimane fa rimpiangere anche di più quanto è andato perduto o è stato distrutto. Sul lato sinistro non rimane quasi più nulla, e dai pochi frammenti non è possibile arguire il tema illustrato dall'artista: probabilmente si trattava di qualche episodio della vita di s. Marta, la sua nascita o la sua fanciullezza, visto che sulla parete centrale e su quella di destra sono raffigurati l'ospitalità offerta a Gesù dalla santa e poi la sua morte e la sua sepoltura. Della parete centrale sotto l'immagine del Cristo staccato dalla croce e affiancato da due santi francescani è particolarmente espressivo l'incontro e la stretta di mano tra Gesù e s. Marta. Sembra fotografato quanto è detto nel Vangelo. . . : "Disse Marta a Gesù: Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto... . E Gesù le rispose: io sono la Risurrezione e la Vita... . Tuo fratello risorgerà. Credi tu questo?".

La scritta esplicativa in caratteri gotici librari è anch'essa pressoché scomparsa. Sono leggibili soltanto le prime e le ultime parole: "Come meser Jesu Cristo andava ad allozzare. . . resuscitò Lazzaro". Nel quadro accanto si intravede la coda di un grosso drago, un lembo di manto con le sagome di una figura femminile e alcuni membri di una antica confraternita in atteggiamento orante. Probabilmente si tratta di s. Marta che, pregata da un gruppo di cristiani della antica Provenza, uccide il drago Tarascon.

Gli affreschi sulla parete di destra sono invece ancora in ottimo stato. In alto è raffigurata la resurrezione di un giovane, che secondo la leggenda, avendo tentato di attraversare a nuoto il fiume Rodano per ascoltare s. Marta intenta a predicare il Vangelo ai pagani, era rimasto annegato. Più sotto il viatico di s. Marta e a fianco la sua sepoltura.

Le iscrizioni anch'esse ben conservate, recitano così: "Come la morente Marta resuscitò un morto per volontà di Dio lo quale negò in uno fiume"; "Come la morente Marta se comunicò del glorioso Corpo di Cristo ed come lei rendete il suo spirito a Dio"; "Come Jesu Cristo e il vescovo Frontino sepelirono el corpo glorioso de s. Marta, el corpo de la quale è a Tarascona. In memoria eterna erit ista hospita mea" (16).

A proposito di questi affreschi, Roberto Togni scrive: "Tutte e tre le scene sono popolate di personaggi in atteggiamento di preghiera, non senza espressioni vivacemente aneddotiche. . . nel primo soggetto il fiume è reso ingenuamente: nel secondo, il letto col baldacchino e la stanza sono diligentemente descrìtti con imprecisa prospettiva; goticheggiante è il fregio a tortiglione trasversale, mentre già di sentore rinascimentale appare la cornice esterna. Reminiscenze passate, soprattutto di gusto nordico, anche per quanto concerne i colorì, si mescolano infatti in altre parti del dipinto, a vaghi presentimenti rinascimentali.
Il tutto però in un'esecuzione attenta, saporita, quasi fiamminga, tecnicamente affine alla miniatura e più ancora all'incisione
" (17).

Molto belle anche le figure dei santi e delle sante disposte ognuna nei loro riquadri nelle parti più basse delle pareti. Le sante sono tutte facilmente riconoscibili: s. Anna (con la Madonna che allatta il Bambino), s. Lucia, s. Apollonia, s. Barbara, s. Margherita; i Santi invece, se si eccettuano s. Stefano e s. Bernardino, s. Nicola da Tolentino e s. Gerolamo, sono stati letteralmente massacrati quando nel '700 si fece l'altare maggiore secondo il gusto barocco del tempo.

Per quanto riguarda gli affreschi della volta, va fatto notare che, pur essendo comunemente attribuiti a Giovannino, potrebbero forse essere invece anche di altra mano; pare infatti di notarvi degli elementi stilistici alquanto diversi sia nei panneggi, sia in alcuni particolari dei seggi, sia nella stessa composizione delle figure. Potrebbero dunque essere o opera della bottega di Giovannino o forse anche di quel Pietro Montanari figlio di Damiolo originario di Borno in Valcamonica residente a Grosio dal 1480 (18).

Di particolare interesse doveva essere, anche per il contenuto morale e didattico, l'affresco sulla vela sinistra della volta. Da quel poco che rimane si intuisce che doveva raffigurare s. Michele in atto di pesare le anime.

E infatti nei due angoli a fianco un angelo e un demonio assistono al giudizio in funzione l'uno di avvocato difensore, l'altro di pubblico ministero. Ambedue tengono in mano un libro: su quello dell'angelo è scritto: "Opera illius fuerunt septem opera misericordiae" ("Le sue opere furono le sette opere di misericordia"); su quello del demonio invece è scritto: "Commisit septem peccata mortalia" ("Commise sette peccati mortali").

Sulle altre vele sono visibili il volto di un papa seduto in trono con la tiara (da identificare probabilmente con s. Gregorio), una Trinità ed i santi Giovanni Battista ed Evangelista.

Sulla arcata anteriore in mezzo ai ritratti di s. Agnese (a destra) e di s. Caterina d'Alessandria (a sinistra) sono invece disposti dei medaglioni con i vari profeti dell'Antico Testamento.

Come si vede, ce n'è d'avanzo per fare di s. Marta uno dei più bei monumenti della nostra valle. Eppure non è tutto, perché un'altra serie di affreschi pure interessantissimi si trova anche sotto la volta della controfacciata. Qui però, a differenza degli affreschi del presbiterio, la diversità delle date e l'accostamento disordinato di soggetti diversi denotano che si tratta di exvoto. Incominciando da destra, apre la fila il Beato Simonino (1472-1475) che regge nella mano destra il vessillo crociato. Non manca al collo il fazzoletto, ad indicare che il bambino fu soffocato. Mentre l'iconografia di solito lo raffigura nudo, qui invece viene dipinto rivestito completamente da una tunica piuttosto rozza. Simonino, secondo la tradizione, fu vittima di un omicidio rituale compiuto dagli Ebrei nella città di Trento e secondo la Coppa, che però si rifà alla Ferri Piccaluga, il suo culto raggiunse il culmine nella metà del '400 con la predicazione in Valcamonica dei francescani osservanti. Detti francescani furono tra l'altro promotori dei monti di pietà istituiti per fini caritativi in contrapposizione all'usura esercitata dagli Ebrei (19).

Accanto al beato Simonino è raffigurata una santissima Trinità dove l'Eterno Padre regge il Crocifisso sormontato dalla colomba dello Spirito Santo. Purtroppo, lo stato di conservazione di questo affresco è quanto mai precario. A fianco sono raffigurati, in ordine, s. Bernardino da Siena, s. Marta e s. Rocco, quindi s. Giorgio a cavallo (che uccide il drago e salva la principessa grazie alle preghiere dei genitori di lei, il re e la regina, che seguono la vicenda della figlia dall'alto di una torre). Sopra s. Giorgio, entro la superficie delimitata dalla volta del campanile, è invece dipinto il martirio delle sante Caterina e Agata. Anche qui lo stato di conservazione lascia molto a desiderare: l'opera, comunque, non manca di espressività. L'affresco fu eseguito nel 1510 e fu commissionato dall'allora beneficiale della chiesa prete Mariolo Sermondi. Un'iscrizione ancora abbastanza leggibile recita infatti così: "Hoc opus fedi fieri venerobilis dominus presbiter Mariolus (de Sermundis o Sermundus in honorem) sanctarum Catarine et Agatae-1510". Sulla parete di destra sempre sotto la volta del campanile sono raffigurati s. Sebastiano e sopra di lui un s. Antonio Abate, quindi la s. Casa di Loreto sorretta da quattro angeli. Sul tetto, in piedi con in braccio il Bambino, campeggia la Vergine e due putti che le porgono il diadema regale. Nell'angolo in alto a destra una barca con un carico di pellegrini naviga tranquilla verso il porto indicato da una torre merlata (che potrebbe essere il faro) nonostante che il mare sia in burrasca e che l'albero della vela si sia spezzato, proprio grazie alla protezione della Vergine che appare tra le nubi. Poiché si tratta di un ex voto potrebbe far riferimento ad un fatto realmente avvenuto e per il quale il committente intende ringraziare la Vergine; non è escluso tuttavia che, più in generale, si sia voluto presentare la Vergine come colei che soccorre tutti coloro che minacciano d'essere travolti dai marosi della vita (20).

Sul lato sinistro in alto è, infine, un s. Nicola da Tolentino (1245-1305) che con la sinistra tiene alto il crocifisso con alcuni gigli e con la destra regge un libro aperto dove sono ben leggibili le parole di Gesù: "Pater, praecepta tua servavi", mentre sotto, sullo stesso lato, è raffigurato ancora una volta s. Rocco e al suo fianco s. Eligio maniscalco. Dice la leggenda che Eligio era un buon uomo, solo che era un tantino presuntuoso. Proprio per questo Gesù avrebbe chiesto all'Eterno Padre di poter fare una capatina sulla terra per aiutare in qualche modo il maniscalco a correggersi di quel suo difettaccio. L'eterno Padre avrebbe acconsentito, dopo di che Gesù riuscì, non senza qualche difficoltà, a farsi assumere come apprendista. Per la verità, però, Gesù è un apprendista che nell'esercizio del suo lavoro sembra sempre alla ricerca di tecniche nuove più sbrigative e anche meno faticose. Quello che è peggio, poi, è che sembra voglia saperne più del maestro. Ora, se c'era una cosa che ad Eligio non andava giù era proprio quella. Ebbene, un giorno arriva in bottega un cavallo con uno zoccolo particolarmente malconcio ed il garzone, senza pensarci due volte, con un colpo netto taglia la zampa al cavallo, la chiude nella morsa e, in men che non si dica, la lavora come si deve e poi la riattacca alla bestia come se fosse la cosa più naturale di questo mondo. Eligio, che aveva visto tutto, ma che non aveva fiatato, naturalmente non volle essere da meno del suo garzone, perciò col primo cavallo che gli capitò sotto, credette di poter fare la stessa operazione. Gli tagliò la zampa e le rimise un ferro nuovo che aveva appena forgiato; quando, però, si trattò di riattaccare la zampa alla bestia, ci provò e ci riprovò più volte ma con il risultato che tutti possono immaginare. Così, anche se in vita sua non s'era mai abbassato a chiedere un parere agli altri, quella volta fu costretto a chiedere aiuto al garzone. Solo che il garzone nel frattempo sembrava essersi dileguato: infatti, raggiunto il suo scopo, Gesù se n'era tornato in paradiso. Da quella volta Eligio smise tutte le sue borie e divenne umile come un agnellino, tanto umile che divenne un santo. L'artista comunque lo raffigura mentre si rigira la zampa del cavallo tra le mani tutto mortificato e il cavallo che si sporge dalla porta della bottega sembra guardarlo con disappunto. Interessantissimi anche gli affreschi del voltino a vela sotto il campanile. Al centro, racchiuso in un medaglione, campeggia un maestoso Cristo pantocratore, alle sue spalle è dipinto s. Gregorio; alla destra cioè sulla vela verso la navata è raffigurato s. Ambrogio riconoscibile per la frusta che tiene in mano; sulla vela opposta si vede invece s. Agostino e sull'altra s. Gerolamo. Sull'angolo destro della vela che da sulla navata e precisamente quella che poggia sulla parete che guarda sulla valle si scorgono, anche se l'immagine è molto sciupata, le unghie di un bue che poggiano sul libro dei vangeli. Evidentemente è il simbolo dell'evangelista Luca. Di tra le zampe dell'animale si diparte un cartiglio, la cui scritta è però illeggibile o, meglio, è leggibile soltanto la prima parola: "exempla". Nell'angolo opposto sulla vela ove campeggia l'immagine di s. Agostino è raffigurato di nuovo il libro dei Vangeli con il leone alato simbolo dell'evangelista s. Marco. Qui la scritta sul cartiglio è leggibile: "Munere clamoris fit Marcus imago leonis" che potrebbe essere tradotta così: "Per il compito che ebbe di annunciare con forza il Vangelo, può essere raffigurato come un leone".

I simboli degli altri due evangelisti e cioè l'uomo alato e l'aquila sono disposti sugli angoli della vela di fronte dove c'è il medaglione di s. Gerolamo. Sul cartìglio accanto all'aquila pare di poter leggere la seguente didascalia: "Trans volat alas aves ultra volavit", in quello accanto all'uomo, invece, la scritta è la seguente: "Hic est homo matre geni... dicat e... ".

Negli altri angoli del voltino che rimangono sono, infine, dipinti quattro efebi con i simboli dei quattro elementi costitutivi dell'universo e cioè l'aria, l'acqua, la terra e il fuoco. Una raffigurazione analoga, anche per la concomitanza con i quattro dottori della chiesa, esiste in Valtellina, nella chiesa di s. Giorgio a Grosio attribuita ad Andrea de Passeris ; in Valcamonica, nella chiesa del cimitero di Erbanno; a Cremona, nella chiesa di s. Agostino. Evidentemente doveva trattarsi di uno schema iconografico abbastanza diffuso (21).

Sempre restando sotto la volta del campanile, nell'arco che delimita il lato verso l'altare sono raffigurati a destra s. Gervasio con il vessillo crociato in una mano e con la palma nell'altra e, a sinistra, s. Protasio con la palma e la spada. Il culto di questi santi doveva essere, infatti, assai sentito in Valtellina (basti ricordare che sono i titolari della collegiata di Sondrio e dell'arcipretale di Bormio) probabilmente per la loro fama di taumaturghi e in quanto erano considerati validi protettori contro le incursioni nemiche alle quali la nostra valle, purtroppo, è sempre stata molto soggetta (22).

Sull'altro arco che regge il campanile venendo verso la porta principale, invece, sono dipinti s. Marta, s. Maria Maddalena e s. Francesco che riceve le stigmate dal Crocifisso. Uscendo invece da sotto la volta del campanile per risalire lungo la parete della navata un altro dipinto votivo datato al 1527 rappresenta s. Marta e un devoto in ginocchio dinanzi alla Madonna con il Bambino. In origine c'era probabilmente anche il nome del committente, oggi però esso è scomparso, tuttavia una gamba riprodotta e riquadrata nell'angolo in alto a destra dell'affresco (a sinistra per chi guarda) sta ad indicare una guarigione prodigiosa da una malattia ad un arto inferiore. La data 1527 che corrisponde a quella che si legge nei frammenti di affresco conservati sul retro dell'altare maggiore della parrocchiale, opera di Fermo Stella, fa pensare che l'exvoto sia da attribuire allo stesso artista. Difficile però dire una parola sicura.

Passando adesso sull'altro lato della controfacciata, si incontra dapprima una Madonna in trono con il Bambino datata al 1513, poi un cavallo legato ad una pianta: evidentemente doveva far parte di un affresco che raffigurava s. Martino in atto di dividere il mantello con il povero e, infatti, sembra di poter scorgere parte del mantello: il resto, invece, è andato distrutto con la costruzione del pilastro che regge la volta della chiesa. Sulla parete contigua invece si può ammirare la figura di una santa in preghiera dinanzi ad un probabile Gesù Bambino. Il "probabile" è questa volta d'obbligo, in quanto l'immagine non ha nessuna aureola e la Madonna, se c'era, un po' a motivo della umidità e un po' a causa della sovrapposizione degli scialbi, oggi non si vede affatto. Restando sempre sullo stesso lato, sull'arco che guarda verso la porta sono dipinti Caino e Abele, ambedue con l'agnello da offrire in sacrificio; sull'arco, invece, che da sul corpo della chiesa sono dipinti alcuni profeti e precisamente Geremia, un altro non identificabile ed Isaia. Nel riquadro di quest'ultimo si legge: "Deus veniet et salvabit nos" (Dio verrà e ci salverà). Al centro dell'arco è raffigurata la colomba, simbolo dello Spirito Santo. Questi affreschi, notevolmente diversi dagli altri per lo stile, devono necessariamente essere attribuiti ad un'altra mano. Le vele del voltino, infine, sono decorate con fiorami, candelabri e scene di caccia di stile rinascimentale. Al centro, poi, spicca un medaglione con l'immagine del Cristo.

 

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ISSN 2284-3620

Ultimo aggiornamento: 19 aprile 2016