Abside
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LA ZONA DEL PRESBITERIO
E DELL'ABSIDE

Testi e fotografie di
Ferruccio C. Ferrazza
da una visita effettuata nel luglio 2007

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La zona del presbiterio e dell’abside

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(*)Prima di accedere al presbiterio, sulla colonna di destra rilevo una figura maschile, ignuda, posta sopra una grata dalla quale emergono lingue di fiamma; un personaggio, in basso, aziona un mantice, con l’evidente intenzione di alimentare le fiamme; sopra, un altro personaggio impugna un tridente rivolgendone le punte verso il corpo del malcapitato. Si tratta della raffigurazione del martirio di San Lorenzo. La leggenda narra di lui che durante il supplizio si rivolgesse al suo carnefice, che qui nell’immagine riconosco dal forcone, dicendo qualcosa del genere: “Ora che mi hai ben cotto da una parte, rigirami per bene dall’altra”.

Mi dedico dapprima alla parte più visibile, seppur meno ricca di immagini, della zona del presbiterio, cioè l’abside. In questo caso non è strutturato a conca, come tradizione vorrebbe, ma si limita in una parete piana. Gli affreschi che mi appaiono sono in maggior parte deteriorati, tanto che rimangono solo due figure a pieno quadro.

(*)Sulla sinistra vedo un leone accucciato in grembo ad una figura maschile ammantata della rossa veste cardinalizia; sullo sfondo un armadio funge da libreria e raccoglie molti volumi, alcuni sparsi su un tavolo. Ho già incontrato prima questa raffigurazione, che qui è a figura intera e non costretta in un medaglione. Si tratta di San Girolamo. In questa immagine compare anche in compagnia del leone mansueto, da una zampa del quale il Santo è intento ad estrarre qualcosa che sembra più essere un lungo chiodo piuttosto che la spina della tradizione. La leggenda narra infatti che il Santo fu sempre accompagnato da un leone dopo che lui lo ebbe curato togliendogli il fastidio di una spina conficcata in una zampa.

(*)Seguendo verso destra incontro una zona dove del dipinto sono rimasti solo due volti, e di questi solo uno posso riconoscere dagli attributi. Ho già incontrato in un’altra parte della chiesa il crocifisso con i gigli di San Nicola da Tolentino. (*)Anche il simbolo al suo fianco lo riconosco nel trigramma, dal quale posso intendere che sotto vi fosse dipinto San Bernardino da Siena, la cui immagine è ora totalmente perduta. O forse non lo è. Mi sembra che volutamente sia stato steso un velo, come di protezione, che lascia intravedere un fantasma di quanto nascosto. Chissà. Forse in attesa della sapiente mano di un restauratore.

(*)All’estrema destra una figura maschile si mostra perfetta nel dipinto. Sul capo e sulle spalle alcune pietre, regge nella mano destra la palma, simbolo del martirio. Si tratta della raffigurazione di Santo Stefano, il primo martire. Le pietre sono il ricordo della sua morte voluta dal Sinedrio per lapidazione, dopo che pronunciò parole contrarie alla visione ebraica della religione, cui la scritta sul libro fa riferimento: “Stephanus vidit celos apertos e I. C. sum stantem a destris Dei” cioè “Stefano vide i cieli aperti e Gesù Cristo in piedi alla destra di Dio”.

Ai suoi piedi emerge una strana figura, che solo in minima parte entra nel suo riquadro. Con certezza appartiene alla figura che si trova alla sinistra, ora persa nella nebbia del degrado. Scorgo chiaramente le maglie di una catena. Ritengo si tratti di una sorta di mostro incatenato. Si distingue su uno sfondo bianco, che probabilmente è parte dell’abito del personaggio non più visibile, ma che ne sembra completamente vestito. In questo caso si potrebbe trattare di San Bernardo di Chiaravalle, la cui iconografia lo ritrae sempre vestito della candida cocolla e talvolta con il drago incatenato, a simboleggiare la sua sconfitta dell’eresia. Non si può dire che abbia riconosciuto il Santo, che realmente non c’è, ma nemmeno niente male con la disponibilità di un solo paio d’indizi, e tantomeno chiari.

Alzo lo sguardo alla volta, dove nei quattro settori poco rimane d’interpretabile. Una Trinità, due figure. Punto l’attenzione su queste.

(*)La figura di sinistra, maschile, indossa un semplice manto rosso, segno del martirio, che lascia scoperto il busto; nella mano sinistra regge una striscia che termina con una parte a freccia verso la sua testa. Un fumetto ante litteram?. Nell’iscrizione leggo “Ecce agnus dei…”. Per questo riconosco senza dubbio la raffigurazione di San Giovanni Battista, colui che battezzò Gesù riconoscendolo ed indicandolo come “Agnello di Dio”. E’ curioso che del Santo si usi frequentemente tuttora una frase che peraltro pochissimi sanno riconoscere come uscita dalla sua bocca: “Vox clamans in deserto”, che sta ad indicare chi parla del vero ma nessuno lo ascolta; si riferisce ad un episodio della sua vita quando negò a sacerdoti e leviti di essere il Messia.

(*)Di fronte a lui è dipinta una figura di giovinetto con i lunghi capelli biondi, la mano destra benedicente, stringe nella sinistra una coppa. La vicinanza con San Giovanni Battista non è di poco conto per il suo riconoscimento. Infatti si tratta di San Giovanni Evangelista, discepolo del Battista ed il più giovane tra gli apostoli di Gesù. Se osservo con attenzione la coppa che reca in mano posso scorgere una piccola figura che ne esce, verde, forse un piccolo drago o un serpentello. Il riferimento è relativo ad un passo della leggenda sulla sua vita, dove si ricorda che bevve del veleno per sconfessare un sommo sacerdote idolatra, e ne uscì miracolosamente indenne.

(*)Quasi mi sfuggiva che all’inizio dell’archivolto è ben visibile una figura femminile; ammantata di panno rosso, nella mano destra la palma, entrambi simboli del martirio. Con il braccio sinistro regge un piccolo agnello. E’ l’immagine di Sant’Agnese, giovane adolescente quale morì. L’agnello è un riferimento ad un momento successivo alla sua morte, quando, narra la leggenda, comparve in sogno ai suoi genitori appunto reggendo un agnello. Potrebbe anche essere, più semplicemente, il simbolo del martirio che subì, sgozzata come un agnello. Mi risulta che sia l’unica santa ad avere questo animaletto come attributo. O forse no. Non fosse che sopra di lei si intravede la dicitura che la identifica, io qualche dubbio me lo porrei, fors’anche sulla conoscenza iconografica dell’artista che talvolta mi lascia confuso. L’abito rosso con la cintura posta sotto il seno, in identica fattura, lo ritrovo frequentemente nei dipinti che raffigurano un’altra santa, dipinti che si riferiscono al "Matrimonio mistico di Santa Caterina d’Alessandria". Ed inoltre, esattamente in riferimento a questa santa, ho trovato in un inventario dell’800 la presenza degli attributi della palma e dell’agnello nell’opera di un artista identificato dal nome Guido (forse Guido Reni) conservata a Torino. E allora, per verifica dell’iconografia classica dico che all’immagine di Sant’Agnese mancherebbe il fuoco sotto i piedi ed a quella di Santa Caterina d’Alessandria l’immancabile ruota. O forse il fuoco c’è? Sotto la santa vedo una pittura di colore giallastro che potrebbe rappresentarlo; forse l’artista non ha scelto volutamente il tipico colore rosso delle fiamme per non confonderlo con la veste; forse… Comunque è scritto proprio S. Agnes. E così sia.

Proseguo a sinistra, dove lo sguardo viene attirato dai brillanti colori dell’affresco che adorna la semiluna della parete verso la volta. Mi è facile identificare che si tratta di tre scene della vita di Santa Marta di Betania.

(*)Nella scena di destra, sulla Santa composta nel sudario di morte appare il secchiello nel quale è inserito l’aspersorio. Molte le figure che la attorniano, partecipando al rito della sepoltura. Ai suoi piedi una figura con il copricapo vescovile; la testa sorretta da una figura con aureola nella quale è iscritta una croce di loro rosso, simbolo del Cristo. Un cartiglio, scritto in lingua volgare, consente di identificare alcuni personaggi; leggo dove possibile: “Come Jesu Cristo et vescovo … sepeliano el corpo …volto de Santa Marta el corpo de … quala calea… In memoria eterna erit hista ospita mea”. Uno scritto anonimo del secolo XV mi viene in aiuto, descrivendo nel dettaglio l’avvenimento. Il capitolo è titolato “Come Iesu Cristo benedetto fu alli esequie della sua cara ospita Marta, angeletta immaculata, e, dopo che ebbono cantato lo officio, la seppellirono”. Ecco cosa vi leggo.

E poichè ebbono finito l’ufficio, esso Iesu Cristo con le proprie mani, con santo Frontone sepellirono il santissimo corpo della immaculata Marta, sua cara sposa e figliuola.

Con questo è rivelato il nome del vescovo ed è evidente che l’immagine si riferisce alla città dove la Santa trascorse gli ultimi anni della sua vita e dove quindi vi fu sepolta; l’anonimo autore del testo la chiama Trascone. Ma per ora voglio lasciare questa questione in sospeso.

(*)Nella scena di sinistra è rappresentato l’ultimo istante di vita della Santa, mentre riceve il viatico da un sacerdote; molte le figure attorno al suo capezzale, tra queste diverse con l’aureola. Nel cartiglio leggo: “Come la inocente Marta se comunicò col glorioso corpo de Cristo et come lei rendete el suo spirito a Dio”. Anche in questo caso il ricorso al testo dell’Anonimo mi fa comprendere quale sia stato l’ispiratore primario per l’artista che ha dipinto queste scene. Un capitolo ha per titolo “Come la santissima Marta passò da questa vita, e come gli apparve Iesu Cristo con la gloriosa Vergine Maria, e con la sua sorella Maddalena”. Nel testo vi leggo:

E dopo queste parole, conoscendo la immaculata e santa Marta che il tempo del suo transito s’approssimava, comandò che gli fusse portato il santissimo corpo di Cristo

In manus tuas Domine commendo spiritum meum, ed essa felice Marta spesso replicando le dette parole, cioè la santissima anima, la quale Iesu Cristo accompagnato dalla gloriosa vergine Maria, e dalla sua diletta Maddalena, e da innumerabile moltitudine di angeli e di santi la condusse e accompagnò in vita eterna, cantando e iubilando e facendo grandissima festa, e solennissima pasqua.

Ecco quindi che la scena è una perfetta interpretazione in immagine del testo dell’Anonimo. E’ difficile identificare con precisione tutti i diversi personaggi con aureola, ma tra questi spicca, inginocchiata ai piedi del letto, la figura della Maddalena, i lunghi capelli sciolti e la veste sfarzosa. Altra figura potrebbe riferirsi ad una certa Marcella; costei era l’umile ancella di Santa Marta e seguì la Santa per tutta la sua vita; l’Anonimo la cita in varie occasioni ed anche in questa. Se sia considerata santa, questo non sono riuscito a verificarlo con certezza assoluta. Però la trovo descritta come tale solo nel Catalogus Sanctorum del ‘400 sotto la voce “De Sancta Marcilla pedissequa Marthe”.

(*)La lunetta superiore completa l’affresco con una scena di vita, dove la Santa alza la mano destra benedicendo un personaggio trascinato dalla corrente di un fiume verso un ponte. Nel cartiglio leggo: ”Come la inocente Marta resuscitò uno morto per volontà de Dio. Lo qual negò in uno fiume.”. Anche in questo caso l’evento è raccontato nel testo dell’Anonimo in un capitolo titolato: ”Come la santissima ed innocente Marta resucitò uno morto.” Nel testo vi leggo:

…ma come vi fu dentro, fu sommerso ed annegato dalla furia del fiume. Il corpo del quale fu trovato l’altro giorno sequente, e fu portato alli piedi della fedelissima Marta da molte persone, pregandola con molte lacrime che lo volesse resuscitare, pregando Iddio per lui.

E pigliando il detto giovane per la mano, si resuscitò, e tornò vivo, e fecesi battezzare, e fu buono cristiano.

In questo quadro è difficile l’identificazione degli altri personaggi con aureola, che sono almeno due, uno dei quali è in un secondo piano tanto nascosto che il pittore mi rivela solamente la parte centrale del viso ed una minima sezione di aureola. Per quanto riguarda la figura femminile alle spalle della Santa, potrei azzardare che si tratti della sorella Maddalena, a dar credito ai biondi capelli sciolti.

In questo grande affresco tripartito l’artista ha dimostrato una completa aderenza al testo quattrocentesco della leggenda come riportata dall’Anonimo autore; un segnale che quel testo era ben conosciuto e probabilmente addirittura il riferimento principale, se non unico, per la storia della Santa. Anche il testo in latino del coevo Catalogus Sanctorum di Pietro Natali mantiene la storia in aderenza con quella raccontata dall’Anonimo; è probabile che un testo ancora più antico sia stato la fonte informativa per entrambi.

Abbasso lo sguardo ed affronto la zona che ancora mi rimane da analizzare. In questa parte si apre una finestra, decentrata, posta sotto la scena della sepoltura. Questa finestra divide due zone, ben distinte, con figure femminili pressoché a grandezza naturale, ricche pitture che l’artista, visto lo spazio a disposizione, ha potuto ritrarre con accurati dettagli.

(*)Sulla destra della finestra il quadro è una raffigurazione classica nell’iconografia e rappresenta Sant’Anna, la madre della Vergine Maria, seduta su un trono. La facile identificazione si basa sulla sua principale caratteristica, cioè il fatto che sulle ginocchia regga la figlia col Bambino. In questo caso la Madonna è intenta ad allattare ed il Bambino alza la mano destra col segno della benedizione. L’immagine non mi richiede alcuno sforzo interpretativo, né pone alcun dubbio. Trovo interessante, comunque, notare che l’aureola del Bambino ha inscritta una croce di colore rosso; questo tipo di aureola è riservata al Cristo, ma non sempre è così ben rappresentata e correttamente assegnata. Inoltre il Bambino regge con la mano sinistra un globo sormontato da una piccola croce e suddiviso in tre settori. E’ la rappresentazione dell’ecumene come la si intendeva in tempi medioevali, il cosiddetto mappamondo a T, in cui i tre settori rappresentano le divisioni del mondo all’epoca conosciuto: Europa, Africa ed Asia. La tradizione vuole che la popolazione dei tre continenti sia il frutto della discendenza dei figli di Mosè, rispettivamente Cam, Jafet e Sem. Sulla destra di questo quadro, inclusa in un medaglione, scorgo nuovamente l’immagine della Maddalena, i lunghi capelli sciolti.

Volgo lo sguardo a sinistra, oltre la finestra. Da un solo quadro mi osservano (così sembra) quattro immagini femminili, splendide per dimensioni, colori e dettagli. Le osservo e studio una per una, da destra a sinistra.

(*)La prima figura a destra veste un abito riccamente adornato, completamente diverso dai manti indossati dalle altre figure. Nella mano sinistra regge un vassoio sul quale sono posati due globi biancastri. Nella mano destra uno stiletto. Si tratta di Santa Lucia, sottoposta al martirio ed uccisa per giugulazione, cioè trafiggendole la gola con un pugnale. Il vestito è probabilmente un abito nuziale, e ricorda l’episodio della sua vita, quando, già in procinto di matrimonio, rifiutò il pretendente per dedicarsi a Dio. Per quanto riguarda i globi sul vassoio, il riferimento è leggendario; si dice che si cavò gli occhi per offrirli al futuro sposo che, respinto, l’aveva denunziata come cristiana e quindi rendendola oggetto della persecuzione. Una storia tanto consolidata nel tempo da essere entrata come principale caratteristica nell’iconografia classica.

(*)Procedo a sinistra con la seconda figura. Con la mano destra mostra una tenaglia tra le cui pinze intravedo un piccolo oggetto bianco. Nella mano sinistra un libro. Nessun dubbio di interpretazione per questa immagine, la cui caratterizzazione è unica nel suo genere. Si tratta di Sant’Apollonia di Alessandria alla quale furono strappati tutti i denti durante un tumulto popolare, e venne torturata perché abiurasse la religione cristiana; infatti, tra le pinze scorgo un dente. Il libro è interpretato come essere il Vangelo, a simboleggiare la forza di resistere alla tortura da lei trovata nella parole del Signore. Talvolta, anche se non frequentemente, la Santa è ritratta con la carnagione nera. Un’identificazione di assoluta certezza.

(*)Ancora a sinistra, la figura che vedo regge con la mano sinistra una torre con tre aperture; nella destra la palma del martirio, ma con strani oggetti rossi che ne fuoriescono, quasi fossero fiori. Senza ombra di dubbio, la didascalia lo testimonia, si tratta di Santa Barbara, la cui immagine è resa unica dalla caratteristica costruzione. La tradizione narra che fu confinata in una torre dal padre idolatra; la torre aveva solamente due finestre e la Santa ordinò che ne fosse aperta una terza, in onore e rispetto alla Santissima Trinità. Fu il padre stesso a denunciarne il fervore religioso. Sottoposta, tra le altre pene, al supplizio della fustigazione, la tradizione narra che le verghe della frusta si tramutarono in piume di pavone. Ecco forse cosa ha voluto rappresentare l’artista nella mano destra della Santa; non, o quantomeno non solo, la palma, ma anche la bellezza cromatica di quelle piume. Dubito che avesse un’idea precisa di come fosse la coda del pavone.

Un ultimo passaggio dello sguardo e mi avvio verso la conclusione.

 

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ISSN 2284-3620

Ultimo aggiornamento: 19 aprile 2016