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LA PARETE DI DESTRA
E con questo lasciamo labside per avventurarci lungo la parete di destra dellaula, dove si trovano le pitture più antiche tra quelle finora riportate alla luce, cioè quelle emerse dopo labrasione dellintonaco durante limportante restauro del 1872. Allaltezza dellocchio attrae lattenzione un affresco dove la rozza
impostazione sia del disegno sia della scena può ben far propendere per una sua decisa
antichità. È raffigurato il luogo della crocifissione di Cristo. Don Tommaso Valenti,
nellimmediatezza dei lavori che lo hanno riportato alla luce, così lo descrive nel
suo Schizzi archeologici del Bormiese (Sondrio, 1881): È sufficiente alzare un poco lo sguardo per osservare un riquadro di altrettanto interesse, seppur per motivi completamente diversi. Evidentemente di più recente fattura rispetto al precedente, incorniciato da elementi di architettura trompe loeil come abbiamo visto in altri casi, mostra una figura vescovile seduta di fronte ad un bambino che regge nella mano un cucchiaio; sotto di questo una buca nel terreno e sullo sfondo un corso dacqua. Siamo nei dintorni dellanno 400 e ad Ippona diventa vescovo SantAgostino, discepolo di SantAmbrogio e uno tra i più fecondi Dottori della Chiesa, ai cui testi e pensieri tuttora si fa riferimento. La raffigurazione che qui troviamo illustra un episodio della sua vita tratto da un testo medievale ed è una rara immagine nella pur molteplice casistica iconografica; Agostino cerca di far capire al bambino linutilità di provare a svuotare il mare con un cucchiaio, ma costui, che si rivela essere un inviato del Signore, gli contrappone la stessa inutilità nel cercare di spiegare la Santissima Trinità, appunto uno tra i temi che diedero maggior tormento ad Agostino tra quelli da lui trattati. Ma osserviamo attentamente cosa emerge davanti al volto del Santo; quasi invisibile tra il degrado generale della pittura, da un livello inferiore a quello del riquadro, in quella zona adeguatamente rimosso, compare a metà un volto coronato; è probabile che questo affresco sia applicato sullo stesso strato di quello della crocifissione, che si trova appena più in basso, e forse ne è pure coevo. Oltretutto è da dire che in uno scritto di uno tra i più importanti storici locali, Ignazio Bardea vissuto nel 700, si trova segnalato che già nel 1395 nella chiesa era posizionato un altare dedicato a SantAgostino. Forse era posto proprio in questa posizione e sia lo strato visibile sia quello nascosto si riferiscono allo stesso santo per questo motivo. Anche laltra parete che costituisce langolo, sulla destra, presenta affreschi di diversa vetustà, luno a ricoprire laltro. Che il più antico sia quello posto in posizione inferiore lo dimostra
addirittura il fatto che vi compare una
data dipinta dove, pur nelle abbreviazioni tipiche di questa tipologia di scrittura,
si legge ANNO DOMINI MCCCLXXVI, cioè il 1376. Il dipinto illustra un momento della passione di Cristo.
Ecco cosa raccontano in merito i Vangeli. Parliamo ora dellopera che è stata posta successivamente a copertura, la cui ampia rimanenza è visibile nella parte più alta di questa parete. E verosimile pensare che sia coeva a quella che raffigura San Agostino, dallaltro lato dellangolo; ad essa infatti si congiunge con i motivi decorativi che ne formano la cornice. Quale sia levento scenico qui rappresentato viene svelato da una scritta che appare sulla cornice bassa dove in parte si intuisce ed in parte si legge: BALDASAR AVRVM. Questa è la parte finale di una scritta frequentemente utilizzata come didascalia per lillustrazione della visita dei Magi al Bambino, dando conto del contenuto dei loro doni: Jasper fert myrrham, thus Melchior, Balthazar aurum. Gaspare porta la mirra, Melchiorre lincenso, Baldassarre loro. Anche se, ad onor del vero, nellunico Vangelo che riporta levento, quello di Matteo (2,11) nulla è detto né suoi loro nomi né sul loro numero. A questo punto è doveroso ricordare come i Magi costituiscano a Bormio un elemento di particolare tradizione; infatti poco prima della notte dEpifania, se passeggiando si incontra un amico allora lo si saluta lanciando quanto più tempestivamente possibile al suo cospetto la parola gabinàt, e chi per primo è colpito dal saluto deve pagar pegno immediatamente con un piccolo dono. Con molta probabilità la parola è derivata dalla lingua tedesca dove gabe significa dono e nacht notte, e quindi ecco spiegata la tradizione che assegna il tempo alla notte dei doni dei Magi. Devo confessare che talvolta ho vinto il duello celandomi nelle vesti dello sprovveduto forestiero (survegnì, come meglio mi classificano i bormini) cogliendo linterlocutore in modo affatto inatteso; ma adesso ormai mi conoscono tutti, qui nella Magnifica Terra, e non incanto più nessuno, anzi. Ritornando alla scena dipinta, è evidente che si tratta di un momento di felicità generale, nella quale perciò stona particolarmente il viso truce del personaggio che si trova nellangolo in alto a destra, col turbante in capo; mi piacerebbe definirlo il feroce Saladino. E su questa via della celia è ancor più curioso Giuseppe, che alle spalle della Madonna, sulla soglia di casa, sembra che tenga nelle mani un moderno microfono, per condurre a dovere la cerimonia arringando la moltitudine di coloro che vi assistono. Mi venga concesso questo breve momento di diritto al gioco, dopo tanta serietà alla quale ritorno prontamente. Da qui in avanti, lungo la parete rimangono solamente brani sparsi e pressoché illeggibili; giusto il volto di Cristo può essere identificabile, a motivo del fatto che è contornato dallaureola cruciforme, e forse un angelo, per via delle ali. Nulla più di questo.
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