Nell'abside
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L'ABSIDE

Eccoci finalmente all’interno dell’abside. La parete di fondo, sul retro dell’altare, è dipinta con un affresco trompe l’oeil con tanto d’ombra proiettata da colonnine che non ci sono e che delineano una sorta di nicchia che non c’è, ma l’effetto ricercato è pressoché perfetto. Qui domina una raffigurazione ottocentesca di Sant’Antonio abate in completa forma (sotto l’aspetto iconografico, s’intende): il pelo canuto, impugna il bastone “d’ordinanza” con la relativa campanella. Come nella miglior tradizione tiene inoltre nella mano destra un libro; è un riferimento simbolico e leggendario in relazione ad un episodio della sua vita quando, rispondendo ad alcuni che gli chiedevano come potesse vivere in solitudine senza libri da leggere, lui rispose che il suo libro lo aveva davanti a sé ed era quello della natura, preziosamente illustrato con tutti i colori delle cose create da Dio.

Se proseguiamo portando lo sguardo verso l’alto incontriamo un occhio rotondo, ricavato nella parete con l’intento primario di dar luce alla zona, ma tanto ben integrato per posizione da assumere un particolare valore simbolico. Nell’affresco, che rappresenta il momento dell’Annunciazione, sulla sinistra è l’Arcangelo Gabriele con il giglio simbolo di purezza, e sulla destra è la Vergine intenta alla preghiera; su di lei vola la colomba dello Spirito Santo che sembra uscire proprio da quel faro luminoso che in questo contesto assume quindi il valore rappresentativo della massima Divinità. Nulla di più classico, ma con questa scelta posizionale che la rende un’opera se non unica quantomeno di rara efficacia illustrativa, e qui proposta in modo tale da destare emozioni difficili da suscitare altrimenti.

Ancora più in alto, allo zenit, sulle volte dell’abside, un cielo stellato nel quale alcune nuvole sostengono gli Evangelisti. Non ci fossero stati, sarebbe stato indispensabile pensare di scrostare qualche recente copertura per trovarli; impossibile che il progetto iconografico non li avesse inseriti, tanto classica è la loro collocazione nel legame con gli altri componenti del “sacro collegio”. Li possiamo riconoscere dall’attributo che la tradizione assegna ad ognuno di loro, seguendo una simbologia che eleva ad un particolare valore le prime frasi dei loro sacri testi. Per Matteo un uomo, qui nella versione alata dell’angelo, perché il suo Vangelo si apre con la presentazione della genealogia dell’uomo Gesù; per Marco un leone, perché è Giovanni Battista, il Leone del deserto, che è interprete dei primi passi del suo Vangelo; per Giovanni un’aquila, a significare la sua acuta e profonda capacità di osservazione per le cose divine; per Luca un bue, perché il suo testo inizia raccontando di un sacrificio.

 

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ISSN 2284-3620

Ultimo aggiornamento: 19 aprile 2016