LE PITTURE DI
S. MARIA FORIS PORTAS
Il ciclo di pitture dell'abside centrale di S. Maria foris portas
giace su di un triplice strato di intonaci: un primo di rincalzo fra pietra e pietra; un
secondo di compimento, infine malta; un terzo applicato sul precedente previa picozzatura,
quindi indubbiamente in tempi posteriori. Soltanto su quest'ultimo poggiano infine le
pitture.
Si parla per S. Maria foris portas di pitture e non di
affreschi perché tecnicamente di questi non si tratta bensì di qualcosaltro un po'
diverso. Su disegni abbozzati con sinopia a "buon fresco", l'opera venne cioè
realizzata a mezzo di una ridipintura dei medesimi con colori a calce; ciò che spiega
come, essendosi sfarinati tali colori, di parecchi punti dell'assieme resti oggi solo
l'abbozzo disegnato sottostante.
Ispirandosi ai Vangeli Apocrifi, le pitture illustrano l'Infanzia del
Cristo, snodandosi in fasce sovrapposte
da sinistra a destra in quella superiore e da destra a sinistra in quella inferiore. Le
scene, (oggi più o meno ben conservate e leggibili per essere fortunatamente rimaste
lunghi anni sotto un ultimo più tardo intonaco, una successiva scialbatura e, in centro
un affresco della fine del '400, che le protessero), si susseguono fra loro in
continuità, salvo essere interrotte in vari punti per danni alla parete o caduta
dell'intonaco su cui giacciono.
Notevole si può comunque oggi dire il deperimento del complesso
pittorico allo stato in cui si trovava all'atto della sua "scoperta" nel 1944.
L'Annunciazione
apre il ciclo, raffigurando la Vergine, seduta su di uno sgabello e con ai piedi uno
specchio d'acqua, in un gesto interrogativo e al tempo stesso di assenso della mano
sinistra. A lei si presenta l'Angelo, librato in aria, con ricca veste e una lunga asta.
Il fatto è spiato con stupore, a mezzaporta, da una donna che, secondo il Vangelo dello
Pseudo Matteo, potrebbe identificarsi con una delle compagne di Maria. Si noti l'elaborata
architettura dell'ambiente di fondo. Segue la Visitazione di Maria a Elisabetta,
scena nella quale di quest'ultima rimane solo una piccola parte e per di più acefala.
Dopo una larga caduta dell'intonaco tutt'attorno alla finestra di
sinistra, su cui fra l'altro doveva apparire un tondo, forse con il busto del Battista, il
ciclo continua con la cosiddetta Prova
dell'Acqua, prescritta dalla legge ebraica per accertare le gravidanze sospette
di colpa, cui si sottopose Maria, stando al contenuto del Protovangelo di Giacomo e a
quello sempre dello Pseudo Matteo. Un sacerdote dai capelli e dalla barba candidi, in
abiti liturgici, identificabile con Zaccaria, porge alla Vergine una preziosa idria
rituale; ed alle sue spalle appare un complesso altare circolare, girando attorno al quale
sette volte senza esser colti da malore l'ordalia si sarebbe conclusa con una riconosciuta
innocenza, come infatti ebbe a verificarsi in quell'occasione. Dietro a Maria si può
scorgere la metà inferiore di una figura verosimilmente Giuseppe.
Oltre il tondo del Cristo
Pantocratore, benedicente, che tiene il rotolo della Legge con la sinistra, viene
la scena dell'Apparizione
dell'Angelo a Giuseppe, avvenuta per rassicurarlo nel sonno del concepimento
divino. Come in tutte le scene precedenti e successive, la pittura è ricca di particolari
architettonici finissimi e interessanti, ciò che doveva contribuire a dar bellezza agli
episodi descritti.
Altra larga caduta di intonaco è sopra la finestra di destra, ove si
trovava un terzo tondo di cui si intravvedono due piccolissimi tratti d'arco e che
probabilmente recava il busto della Vergine.
Appare quindi la raffigurazione del Viaggio a Bethlem di Maria e
Giuseppe. Maria è su di una cavalcatura, magnificamente delineata, guidata da un
mulattiere di cui si ha purtroppo solo l'estremità di una gamba, da identificarsi con
Giacomo, il fratello di Gesù, stando sempre al Protovangelo di Giacomo e allo Pseudo
Matteo; mentre Giuseppe segue, ed un Angelo, denunciatoci ora solo dalle tracce di un'ala,
precede il gruppo. Sullo sfondo elementi architettonici e un castello.
Passando dalla fascia superiore alla inferiore, immediatamente sotto
quest'ultima è raffigurata la Natività,
in una con l'Annuncio ai Pastori, e, ormai sul risvolto interno dell'arco
trionfale , con l'Adorazione dei
Magi.
La prima scena è complessa: Maria è stesa su di un giaciglio in
atteggiamento di abbandono, e alla sua destra appare una donna che avendo presunto,
secondo gli Apocrifi, di aiutare la Vergine nel parto s'ebbe il braccio paralizzato: che
difatti cerca ora reggere con l'altra mano. Il suo nome, Emea, scrittogli accanto, ma
ormai quasi divenuto illeggibile, è la trascrizione dal greco "è maia", che
vale appunto levatrice. Due ancelle lavano e prestano le prime cure al Divin Bambin appena
nato; che, d'altro canto, è pure raffigurato più sopra, dietro a Maria, ormai in culla,
scaldato dall'alito dell'asinello e del bue, e sotto la grande stella. Giuseppe,
meditabondo, siede per conto suo, e gli è appresso un cane, forse divorante la placenta,
regalatagli com'era uso in antico. Sullo sfondo un Angelo risveglia i pastori dal sonno
notturno che li ha colti fra le montagne su cui sono visibili case e mura di Bethlem.
Di là dell'angolo dell'arco trionfale, sulla parete interna di questo,
ecco infine i Magi, in ricche vesti, che offrono i loro doni al Bimbo Divino, tenuto in
braccio da Maria, assisa su un tronco, ai cui piedi, di fianco, davanti ai doni recati, è
seduto Giuseppe. Dall'alto un Angelo addita il fanciullo. Il tutto, benché ridotto per
gran parte alla sinopia, mostra il tratto agile e deciso dell'ignoto maestro che eseguì
l'opera.
Riprocedendo verso il centro dell'abside si ha la Presentazione al Tempio. In un
ambiente ad abside che si vede sul fondo, Maria porge Gesù al vecchio canuto Simeone,
dietro a cui appare a malapena, sfarinata e semidistrutta da una fitta picozzatura
dell'intonaco, la figura della profetessa Anna. Di spalle a Maria, assistono all'atto tre
persone, una delle quali dovrebbe essere Giuseppe, dalla figura tuttavia ormai quasi
scomparsa.
Oltre, il ciclo pittorico si interrompe per una vasta irreparabile
caduta d'intonaco. Qui si dovevano avere certamente altre scene, forse una Strage
degli Innocenti, una Fuga in Egitto ed altro episodio del tutto
imprecisabile che continuava la decorazione, anche da questo lato, sin sul risvolto
interno dell'arco trionfale.
Sotto la fascia inferiore delle pitture restano vaghe tracce di un
cordone avvolto da un nastro, che doveva passare sopra una cornice a mensola e davanti a
una esedra centrale con un sontuoso drappo su cui campeggiava l'Evangelo posto su un
cuscino. In un arcosoglio subito sulla destra si dovrebbero vedere due colombe appoggiate sull'asta di
sostegno di un tendaggio.
Sulla parete interna dell'arco trionfale, in centro, appare il simbolo
dell'Etimasia, cioè un
trono con la Corona e la Croce, affiancati da due Angeli librati in aria, in vesti
sontuose, con il globo recante la Croce, nella destra, e una lunga asta, nella sinistra.
La datazione di queste pitture ha trovato i più vari zelatori: da
quelli del VI secolo a quelli del VII, dell'VIII, del IX e sinanco del X, un termine al di
là del quale non si può assolutamente risalire per via di certa scritta graffita, in
maiuscole capitali e onciali, sul bordo superiore dello zoccolo, sotto la scena della
Presentazione al Tempio, che ricorda un Arderico Arcivescovo, difatti avutosi a Milano fra
il 936 e il 948: DEMUNDUM AD HONOR(em) DIACON(atus) TEMP(ore) DOM(ini) ARDERICI
ARCHIE(piscopi).
Periodo più probabile di esecuzione di queste pitture a cui si
imparentano certa sinopia del S. Salvatore di Brescia e certi dettagli di Mùstair, sembra
comunque essere oggi, stando alla Romanini e al Peroni, il tardo VIII secolo, e stando al
Bertelli, il IX. Quanto all'autore si tratterebbe di un ignoto Maestro di ambiente
costantinopolitano, che introdusse in Occidente il gusto migliore della tradizione
ellenistìco-bizantìna contribuendo con ciò allo sbocciare della cosiddetta Rinascita
Carolingia.