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UN PO' DI STORIA...

 

ALCUNE PRECISAZIONI

Sino al 1842 per lo Stato e al 1911 per la Chiesa, l'attuale abitato di Castel Seprio - circa a metà strada fra lago di Como e lago Maggiore, ai limiti settentrionali della omonima piana e sul ciglio occidentale della. Valle Olona - non si chiamava così ma Vico Seprio, un toponimo che per i locali si concretizzava in Visèver.

Per Castel Seprio si intendeva invece un famoso antico centro fortificato, rocca e borgo, sito un chilometro e mezzo circa più a nord, in zona ormai rilevata, sempre sul bordo della Valle Olona, che ne era dominata; o, meglio, così si designava quell'ammasso di rovine e di sterpi che di esso era restato dopo la distruzione toccatagli un triste giorno del 1287.

I due luoghi, ovviamente, ebbero storia connessa; e questa appunto che segue, completamente rifatta e aggiornata rispetto a precedenti edizioni, ne è una breve e organica narrazione: breve perché, volendola alla portata di tutti, si è lasciato di infarcirla di ogni minimo particolare come di un corredo di note dal più al meno noiose; organica perché alle vicissitudini e agli aspetti via via raccontati o messi in luce non si è mai trascurato di dare una trama di fondo.

Questa storia, d'altro canto, può darsi che abusi un poco di locuzioni del tipo forse e probabilmente, di notizie date al condizionale, di ipotesi snocciolate in serie; ma fra tanto di sconosciuto o poco chiaro che ancora oggi si ha per Castel Seprio. in particolare per quanto attiene alle sue prime vicende, era quanto meno prudente attenersi a simili espressioni.

Vedute che anche solo qualche anno fa sembravano definitive, di fronte ai risultati degli ultimi scavi, effettuati ormai nel 1985, e di una revisione dei materiali vecchi o nuovi, tratti in luce, hanno mostrato del resto di non poter reggere ulteriormente. E non ci sarebbe da meravigliarsi né tanto né poco se anche per altre ipotesi accadesse in futuro lo stesso.

NEI TEMPI LONTANI

Identificandosi con un pianoro irregolarmente poligonale ed una retrostante area, tutta rughe e collinette, fra loro uniti da una selletta e ritagliati assieme nel gradino occidentale della Valle Olona, il sito dell'antico Castel Seprio è da ritenere abbia conosciuto una certa frequentazione umana già in epoca preistorica.

Il ritrovamento ormai più volte effettuato di resti domestici e funerali della prima età del ferro (Bertolone; Carver) tanto qua e là per il pianoro, che fu poi della rocca, come sul terrazzo immediatamente alle sue spalle, ove sorge Santa Maria foris portas, indica infatti un insediamento, sia pur piccolo e temporaneo, che qui si dovette avere in quei tempi lontani.

Abbondantemente protetto ad opera della natura stessa, il pianoro, in particolare, non è peraltro da escludere che in tempi ulteriori divenisse per le popolazioni dei dintorni un luogo ove radunarsi in caso di pericoli, o per scambi, feste sacrali, e via dicendo; sì da assumere in pratica le vesti di uno di quei castella che da queste parti e in età preromana non sempre e necessariamente furono solo rifugi fortificati.

L'incertezza in proposito è determinata da una mancanza di tracce che potrebbe però anche essere dovuta semplicemente alle vicende materiali, tipo lavori edilizi, sbancamenti o riporti di terra, riutilizzo di materiali, cui il luogo andò incontro nel corso dei secoli e che ne sconvolsero certamente la stratigrafia più antica.

IL VICUS

V’è da pensare che Vico Seprio preesistesse a Castel Seprio. A suggerirlo sta il nome stesso recato da Vico Seprio, la cui prima menzione scritta a noi nota, dell'anno 715, è vico Sèvero. E a quell'epoca i toponimi erano in genere ancora molto simili alla propria forma originale.

Per tutta l'età romana e sino a quando in quella medievale se ne perse l'uso, vico fu infatti una qualifica non genericamente data a tutti gli insediamenti di campagna, bensì a quelli soli che, oltre un proprio esclusivo ambito territoriale ed una propria organizzazione interna, avessero potuto vantare per tradizione anche un'origine antichissima. Ciò che serve appunto a richiamare la nostra attenzione su Vico Seprio.

Seprio, o meglio Sèverum, da cui il sèver di Visèver; è nome d' altra parte che, attraverso l'antichissimo tema sev in sé contenuto, sembrerebbe rifarsi all'acqua; probabilmente la stessa che un tempo, a seguito delle tumultuose piene del Tenóre e delle sue non rare esondazioni, finiva spessissimo per ristagnare nel cosiddetto Bassone, che è la parte centrale della piana di Castel Seprio.

E come questo Bassone rientrò certo nell'ambito del vicus Sèverum, così fu quasi sicuramente anche per il luogo del più tardo Castel Seprio. Sicché, quando fra tardo-antico e alto-medioevo andò qui realizzandosi il castrum, o recinto fortificato, che ne sarebbe stato all'origine, questo derivò nome dal vicus non lontano nei cui vecchi confini in fondo rientrava.

IL CASTRUM

Gli scavi eseguiti a Castel Seprio negli anni cinquanta e sessanta e le conclusioni che da essi si era creduto poter trarre, avevano consentito di vedere il castrum svilupparsi in tre distinte fasi.

In una prima, verificatasi nella seconda metà del IV secolo, alcune torri isolate sarebbero state costruite a difesa di un'area situabile fra il centro e il limite settentrionale del pianoro; e a queste torri si era pensato di riferire i resti esistenti presso i ruderi della basilica di S. Giovanni e rispettivamente presso il bordo settentrionale del pianoro, verso occidente e verso oriente (Mirabella Roberti).

In una seconda fase, corrispondente al pieno V secolo, il castrum avrebbe avuto un ulteriore sviluppo, sino a possedere, nel centro, una basilica con battistero, e, alla periferia, una casa forte e la cinta in muratura oggi messa parzialmente in luce allo stato di rudere (Mirabella Roberti).

In una terza fase, compresa fra tarda-romanità e alto-medioevo, il castrum si sarebbe infine dotato di quella propaggine di mura verso valle di cui si hanno ancora varie tracce lungo il declivio orientale del pianoro e che finiva per imperniarsi sul torrione oggi detto di Torba (Sironi).

Scavi e studi ulteriori effettuati negli ultimi anni hanno però sostituito a questa una nuova veduta. E in essa, messo in serio dubbio la datazione della prima fase e negatasi rispettivamente quella della seconda, si tenderebbe invece a concentrare ogni evento verso la fine del V e l'inizio del VI secolo (Lusuardi Siena).

MATERIALI ETEROGENEI

L'allestimento del castrum richiese certo un grosso impegno per il fatto che in zona, fuor dello scarso ciottolame offerto dall'Olona e dal Tenóre e di un banco di puddinga affiorante lungo i fianchi della valle, di materiale valido per costruzioni non se ne trova per nulla. A parte il riutilizzo integrale, sino alla briciola, di tutto quanto si fosse potuto trovare in luogo, per ovviare a tale deficienza si dovette dunque procedere entro vasto raggio ad una incetta sistematica di pietre di ogni genere.
A denunciare questa incetta valga la varietà dei materiali che possono offrire le rovine di Castel Seprio: dai cògoli dell'Olona ad altri essenzialmente tipici della valle del Ticino, dai serizzi del Comasco alla pietra del Ceneri.

Ma non mancano fra queste varietà pure pezzi lapidei di evidente reimpiego, come cippi, are o elementi vari di anche specifiche architetture funerarie; i quali ultimi, non potendo che venire da uno spoglio sistematico di vesti-gia pagane come solo si poté avere per eccezione 'nel basso Impero ma per uso quasi codificato in età goto-teodoriciana - cui riconduce del resto anche la gran parte dei resti ceramici più antichi rinvenuti a Castel Seprio, - finiscono esattamente per datare sulla fine del V e l'inizio del VI secolo sia la torre centrale del castrum che la cinta, che il torrione di Torba, ove tali pezzi di reimpiego compaiono infatti ampiamente (Lusuardi Siena).

In un passato non lontano si era supposto che il castrum fosse stato eretto presso e a spese di un precedente abitato, da cui sarebbe appunto stata tratta la gran massa di pietre lavorate che si ritrovano fra le rovine; e ancora questa veduta ha avuto una ripresa (Lusuardi Siena). Ma, pur non escludendosi che qualcosa possa anche essere stato preso da casali, ville rustiche o da abitati immediatamente dei dintorni, tipo Gornate, Carnago o lo stesso Vico Seprio, non vi è oggi alcun dubbio che il grosso sia venuto da più lontano.

LA SITUAZIONE VIARIA

Al passare dal tardo-antico all'alto-medioevo, la situazione viaria attorno al castrum si doveva articolare come segue.

Quale tratto del limes, o via militare attrezzata, realizzato a scopo difensivo nel III e IV secolo fra Aquileia e Ivrea lungo il piede delle Prealpi, una strada andava da Como all'estremità inferiore del Verbano varcando la valle Olona poco a settentrione del castrum, grosso modo presso Malnate. In questo punto, peraltro, essa incrociava altra strada, che scendendo dai passi alpini, per Bellinzona ed il Ceneri, si divideva in due rami, per Milano e Novara.

Situato ad oriente della valle Olona, il primo ramo se ne discostava grado a grado. Decorrente sugli inizi lungo il bordo occidentale della stessa, e quindi presso il castrum, il secondo ramo finiva invece per poi lasciarlo, e più avanti incrociava a propria volta l'ultima grande strada della zona che, tesa a collegare Milano col Verbano, risaliva alfine per la Valcuvia verso settentrione.

In età goto-teodoriciana queste quattro vecchie vie dovevano essere già molto decadute rispetto al tempo andato; ciononostante ancora valevano ad assolvere i propri compiti.

UNA VEDUTA SUPERATA.....

La basilica e il battistero di Castel Seprio, che documenti vari ci dicono essere stati dedicati a S. Giovanni Evangelista e rispettivamente al Battista, esibiscono, pur in rovine, particolarità singolari.

Anzitutto un corpo principale spartito in tre navate e un presbiterio da una serie di pilastri, ritrovati in fondazione (Bertolone), che però non corrispondono alle paraste esterne della muratura periferica; in secondo luogo un'abside terminale mediana, la quale nel proprio emiarco destro, reca un duplice ordine di finestre mancante invece all'opposto per il fatto di accostarsi qui essa abside - ma non immorsarsi! - alla muratura di uno dei lati del battistero ottagonale, che. posto in cima alla navata di sinistra, è perciò da ritenere preesistente.

Subito dopo gli scavi degli anni Cinquanta questo assieme di particolarità ebbe a far nascere una precisa veduta.

La basilica, quale semplice aula rettangolare sul cui retro, staccato e disassato, stava il battistero, sarebbe stata da assegnare ai primi decenni del V secolo; la relativa suddivisione in tre navate e, al di là di un supposto muro di testa ritrovato in profondità, l'abside terminale mediana sarebbero invece venuti solo più tardi, probabilmente agli inizi del VII secolo, o per meglio dire in età longobardo-teodolindiana (Mirabella Roberti).

Per portato inevitabile delle nuove vedute sulle origini del castrum, anche questa, come tante altre ipotesi, deve oggi però considerarsi superata; e in suo luogo ne va avanzata altra, ragionata, anche se non del tutto priva di qualche punto ancora da verificare.

...E UN PROBLEMA CHE RESTA

Ci sono, in effetti, due dati su cui riflettere attentamente.

Il primo è che, per i numerosi pezzi di reimpiego inseriti nella sua muratura, la torre presso S. Giovanni è da ascrivere all'epoca goto-teodoriciana (Lusuardi Siena), in ciò differenziandosi dalle altre due torri in bordo al pianoro, forse effettivamente attribuibili ad una fase precedente in cui un'originaria opera lardo-romana di compendio del limes venne rafforzata o sostituita con queste stesse.

II secondo dato è invece che la grande cisterna accanto a S. Giovanni, mentre da un lato è stato provato essere nata dopo questa torre (Lusuardi Siena) dall'altro, per motivi tecnico-strutturali, è intuibile non possa essere venuta prima del muro meridionale della basilica che incombeva su di un fianco quasi a filo di piombo.

Considerato tutto ciò bisogna dunque ritenere che la supposta aula rettangolare ed il battistero non nacquero prima della fine del V - inizi del VI - secolo, ancorché subito dopo la cisterna, evidentemente alimentata dall'acqua raccolta da un tetto vicino; oppure che l'aula del S. Giovanni sia ancor più tarda e successiva a qualcosa di primitivo e più piccolo, cui potrebbero ben rifarsi le murature già vagamente intraviste sotto l'area absidale (Deiana), nonché le risultanze di alcune indagini geoelettriche e georadar (Finzi-Surace).

In questo secondo caso, naturalmente, la datazione di tutto l'assieme degli attuali ruderi della basilica dovrebbe essere riveduto per intero, potendone le singole parti risalire a tempi fra loro molto diversi ed anche lati: un problema che sarà risolto soltanto da scavi.

IL SALIENTE DI TORBA

La funzione specifica del saliente di Torba a tutt'oggi non è ancora stata completamente chiarita.

Dapprincipio si suppose che questo saliente fosse nato per proteggere lungo il pendio eventuali corvèe destinate al rifornimento idrico del castrum mediante acqua tratta dall'Olona (Bognetti). Ma la veduta tiene poco: situata appena ai piedi del fiancovalle, la estremità della fortificazione sarebbe stata ancora troppo lontana dal fiume, che, anzi, un tempo ne correva molto più discosto.

Altra ipotesi fu che il saliente servisse da clausa, o posto di controllo e pedaggio, ad un breve sdoppiarsi della via per Novara su cui sarebbe stato avviato il transito ordinario in contrapposto a quello militare mantenuto lungo il vecchio sovrastante decorso che passava presso il castrum (Sironi). Ma anche qui non si vede come giustificare tale sdoppiamento.

Ipotesi più sensata risulterebbe oggi pertanto quella di concepire il saliente come una vera e propria semplice parte del castrum, che in valle, verso oriente, possedeva un varco così come lo aveva sul pianoro, verso occidente.

Quanto alla possanza veramente eccezionale che doveva essere ed è ancora esibita dal torrione di Torba, questa verrebbe spiegata con la voluta possibilità ad esso assicurata di resistere facilmente ad attacchi nemici anche quando il saliente, che pur era costituito da gradinature fortificate, fosse andato perduto in tutto o in parte.

QUANDO NACQUE LA PIEVE?

La creduta attribuzione al primo V secolo della basilica e del battistero e la dedica della prima a S. Giovanni Evangelista, molto ben inquadrabile in tal scorcio di tempo, avevano fatto assegnare a identico periodo (Sironi) anche il sorgere di quella pieve, o distretto battesimale, che noi sappiamo essersi incentrata su Castel Seprio almeno dal X secolo, allorché i de Castiglione ne divennero Capitanei.

Crollata oggi pure questa ipotesi, volendo avanzarne una nuova, tutto si ridurrebbe forse al sapere per iniziativa di chi si sviluppò il castrum in età goto-teodoriciana: se, come opera militare, per iniziativa statale; o non piuttosto, come semplice ricetto per la popolazione dei dintorni, per iniziativa privata, o in altre parole ecclesiastica, giusto un uso di cui per allora si hanno vari esempi, dal castrum fatto costruire da certo Marcelliano, un suddiacono, a Laino in valle d'Intelvi, a quello eretto dal vescovo di Novara Onorato in una località imprecisabile che potrebbe essere Pombia o S. Giulio d'Orta.

Nell'un caso, e se i Goti a Castel Seprio effettivamente impiantarono un fonte battesimale, è molto facile che, essendo stato ad essi, ariani, il concetto demico-territoriale di pieve del tutto sconosciuto, questo fonte si dotasse di un proprio ambito plebano soltanto dopo un passaggio al clero niceno, avvenuto come minimo in età bizantina, oppure in età longobardo-teodolindiana quando la dedica alla basilica di S. Giovanni Evangelista potrebbe allora avere anche avuto significato esaugurale.

Nell'altro caso, al contrario, nulla toglie che la pieve nascesse subito. E questo senza pregiudicare la già accennata possibilità di vicende edilizie che interessarono nei primi tempi chiesa e battistero di Castel Seprio.

VECCHIO E NUOVO

La nascita del castrum non turbò per nulla Vico Seprio: periodicamente qui continuava a radunarsi l'assemblea dei vicani - ora detti vicini - che, costituita dai liberi proprietari, esercitava le funzioni connesse al buon andamento della Comunità; qui ogni anno veniva eletto il relativo rappresentante nella persona del praepositus vici; qui continuava insomma a fluire la vecchia vita locale.

Solo da un punto di vista religioso qualcosa forse ebbe a cambiare. Se, come accennato, il castrum sorse per iniziativa ecclesiastica, la gente del vicus, al pari di quella tutta dei dintorni, dovette infatti prendere l'uso di un concorrervi assai per tempo, sia per le maggiori pratiche devozionali che per altri bisogni.

E questo concorrervi, l'aver contatti con chi già vi si trovava e che a propria volta per un motivo o per l'altro scendeva volta a volta a Vico Seprio, finì già da quei tempi per essere il naturale tramite di una sempre maggiore complementarietà fra i due luoghi.

FRA GOTI, FRANCHI, BIZANTINI E LONGOBARDI

Finito certamente, durante la guerra greco-gotica, in mano ai Franchi che si erano intromessi nel conflitto occupando buona pane della Padania, il castrum, quale che ne fosse stata l'origine, militare o ecclesiastica, passò poi comunque ai Bizantini.

Ed è proprio a questo castrum come fortificazione e centro di riferimento, che, sia pur parlandone un cent'anni dopo, l'Anonimo Ravennate e il Geografo Guidone, ambedue scrittori di ambiente bizantino, si riferiscono, col darcene il nome di Sibrie o Sibrium, risultato per evidente grecizzazione grafica e fonetica dell'originario Sèverum.

Nel 569, o poco dopo, allorché i longobardi dilagarono violentemente per la Padania, Sibrie-Sibrium dovè infine cadere in loro possesso, mutando ancora nome in Sebrìo-Seprio di poi rimastogli definitivamente.

Riconsiderazioni ultime sulla cronologia dei vari reperti (Lusuardi Siena), hanno fatto si che quel grosso strato di cenere messo in luce nel corso di una delle campagne di scavo effettuate alcuni anni orsono nel settore meridionale del castrum (Tabacszynski e Kurnatowski), non possa più oggi essere attribuito al periodo di passaggio fra età bizantina e longobarda: ciò che toglie base a ogni fantasia su un incendio connesso a eventuali episodi bellici allora verificatesi.

IL DISTRETTO DI SEPRIO

Ricalcando una organizzazione militare territoriale creata, se non dai Goti, dai Bizantini, i Longobardi fecero del castrum della valle Olona il cuore di un loro distretto, che, nel corso circa di un ventennio, assunse forma definitiva estendendosi dal Ceneri e dalla valle d'Intelvi all'attuale Alto-Milanese, e dal Seveso e da presso il Lario sud occidentale alle rive del Ticino e del Verbano.

Forse inizialmente retto da un Dux o Duca, cui, con un certo numero di fare, o gruppi parentali di arimanni o guerrieri, era toccato sugli inizi di penetrarvi, questo distretto ci appare comunque in età longobarda avanzata quale fines, termine molto generico dietro cui si può vedere un semplice territorio alle dipendenze della corona longobarda, in genere per l'interposta figura di un suo funzionario amministrativo o Gastaldus.

Nel 590, durante il conflitto che aveva opposto i Longobardi a Franchi e Bizantini, il distretto in effetti era bensì riuscito ad eludere un tentativo di quest'ultimi di scendere in pianura, ma solo dietro un concorrere di circostanze veramente molto fortuite. Per cui si è pensato che, se già non era avvenuto prima, il mutamento da Ducato in semplice fìnes, si verificasse appunto poco dopo, come portato di una decisione della Corona di controllare direttamente quest'area rivelatasi cruciale.

UN MALE ORIGINARIO

Tenute spoglie dalla vegetazione per meglio essere controllate e difese, le pendici del castrum dovettero già per tempo risultare poco sicure. Di tanto in tanto masse di terra smottavano a valle causando danni a mura e torri che si trovavano appena sopra.

Come è chiaramente visibile in corrispondenza di alcuni punti del tratto di cerchia sinora messo in luce, già in età gota e franca si verificarono diversi crolli e rifacimenti; mentre non si può escludere che sin da allora la estremità del saliente che scendeva a valle cominciasse a intasarsi per via di frane instradate verso il fondo dalle sue mura convergenti sul torrione di Torba.

Anche i Bizantini ebbero certo a fronteggiare guasti. Quanto ai Longobardi, vuoi per cattivi rifacimenti come per insufficienti misure adottate in precedenza, si trovarono alfine ad avere in mano una fortificazione già molto compromessa.

Di conseguenza, e specie a seguito del lungo periodo di pace avutosi sulla frontiera alpina dopo la vittoriosa guerra contro i Franchi del 590, datisi a sfruttare il castrum non più come fortificazione ma quasi esclusivamente come centro politico-amministrativo, essi abbandonarono a se stessa la cerchia difensiva, al punto di sfruttarne, per esempio nel settore meridionale, vari punti in rovina per ricavarvi o appoggiarvi contro un loro quartiere abitato.

TRICAPITOLINI E "MISSIONARI" ROMANI

All'atto del proprio scendere e insediarsi in Italia, i Longobardi, pur figurando ufficialmente esser di fede cristiana-ariana, risultavano per gran parte ancor dediti a credenze e pratiche pagane.

D'altro canto, per via della cosiddetta controversia teologica dei Tre Capitoli, che scoppiata nel V secolo continuava a trascinarsi non senza aspetti politici, il clero norditaliano risultava allora in rotta con Roma e ne era considerato scismatico ad ogni effetto.

Fu così questo clero ad affrontare per primo i Longobardi; venendo però poco dopo seguito da piccoli gruppi di monaci, di origine irlandese sugli inizi, orientale in seguito, inviati quassù da Roma in "missione", per così dire su due fronti: conquistare cioè i Longobardi da un lato,ma recuperare anche i Tricapitolini dall'altro (Bognetti).

È d'altronde assai probabile che impossessandosi del castrum i Longobardi finissero per profanare la chiesa che vi si trovava. E se così davvero avvenne, uno dei primi obiettivi dei Tricapitolini dovette proprio essere quello di rimediarvi, giungendo al successo al più tardi sul finire del VI - inizi del VII secolo, anche per un certo interesse nutrito in quegli anni dalla Corona longobarda nel favorire il passaggio della propria gente al cristianesimo niceno.

Anche tutto questo lascia ovviamente impregiudicate le varie questioni relative alla datazione della basilica e del battistero di Castel Seprio, il cui Clero, da una probabile iniziale appartenenza alla diocesi di Como, già prima del concludersi dello scisma Tricapitolino, avvenuto sul finire del VII secolo, dovette comunque passare a quella di Milano.

S. MARIA FORIS PORTAS

Stando a una veduta emessa subito dopo la sua valorizzazione avvenuta nel 1944, la chiesetta di S. Maria foris portas, con il ben noto ciclo pittorico che la decora, dovrebbe aver avuto un'origine missionaria orientale ed esser quindi databile al VII secolo (Bognetti). Ma ciò francamente non è più oggi molto credibile; così come ineccepibili ma poco risolutivi, per essere avvenuti su materiali inidonei, risultano alcuni esami scientifici, sulle cui scorte si potrebbe essere indotti a far risalire il tutto al IX secolo.

A cominciare dalla pianta, per finire con altre particolarità architettoniche e strutturali, che si ritrovano pure nella torre di Torba e nella cisterna presso S. Giovanni, questa chiesetta mostrerebbe infatti, oltrecchè di rientrare in un orizzonte non necessariamente orientale, di poter addirittura risalire alla fine del V - inizi del VI secolo, cioè al periodo goto-teodoriciano.

Quando i missionari orientali comparvero a Castel Seprio, l'edificio, in conclusione, non sembra potersi assolutamente escludere già esistesse da decenni; per cui ad essi spetterebbe semmai il merito di averlo tratto da un eventuale abbandono e di avervi introdotto la devozione a Maria Annunciata che, sconosciuta o quasi, in alta Italia avanti la metà inoltrata del VII secolo, dovette poi diventare tipica del luogo; tanto da affiancarsi e poi soppiantare nella pratica una sospetta precedente dedica al Salvatore, di cui oltre a S. Maria stessa, vi è in realtà memoria per un'altrimenti non ben identificabile chiesa di Castel Seprio, o meglio della relativa pieve, dataci dal famoso Liber Notitiae Sanctorum Mediolani del tardo XIII secolo.... E peggio ancora sarebbe se davvero l'edificio fosse del IX secolo.

Relativamente alle pitture, la loro datazione, per quanto sia stata fatta variamente spaziare dagli esperti fra il VI e il X secolo, sembra oggi più probabile possa risalire al IX (Bertelli) o tutt'al più al tardissimo VIII. E tanto vale a togliere di mezzo anche qui i missionari orientali.

COESISTENZA GRADUALE

A Vico Seprio, intanto, dopo il primo duro e confuso periodo seguito all'intromettersi come ovunque dei Longobardi nella vita locale, la situazione era andata sempre più normalizzandosi. Come figura demico - territoriale, il vicus aveva grado a grado ripreso la propria vita antica; e con esso la sua popolazione intesa come collettività, retta da propri capi, e inspirantesi a proprie regole tradizionali.

Vari terreni del vecchio patrimonio comune le erano certo stati sottratti dai Longobardi, ma non fino al punto che il vicus restasse privo del necessario corredo di boschi, pascoli, acque e via dicendo. Il Bassone, ad esempio, è facile subisse tale sorte nella sua parte meridionale distante dall' abitato; al contrario della più prossima, ove il nome di prà collegio, esistente fino a qualche anno fa, è probabilmente buon indice della destinazione allora restatagli.

Quanto agli arimanni, se da un lato tenevano ad esser fuori dalla comunità del vicus o vicinantia, dall'altro aderivano ugualmente alla fabula inter vicinos, l'associazione giurata di tutti gli abitanti del luogo - uomini, donne, liberi o servi - che aveva per scopo di garantire la sicurezza, la tranquillità, la difesa dello stesso.

Comunque, il trovarsi Vico Seprio letteralmente immerso nel contesto di una arimannia, che diversi elementi stanno ad indicarci come disseminata per tutti i dintorni del castrum, induce a pensare che la coesistenza fra Longobardi e locali divenisse col tempo ancor più stretta di quel che non si possa ritenere. La qual cosa agì alla lunga come motivo per un pacifico convivere.

L'ARIMANNIA DI CASTEL SEPRIO

L'arimannia deve essere ritenuta il risultato della territorializzazione delle vecchie fare avvenuta sotto Autari sul finire del VI secolo (Bognetto). In cambio di un servizio attivo di guardia e di difesa di dati luoghi o territori, come poteva essere il castrum di Seprio ed i suoi immediati dintorni, la Corona longobarda concesse infatti allora in uso ad ogni fara, un preciso insieme patrimoniale costituito da campi, pascoli, boschi, corsi d'acqua, già stati del fisco romano goto-bizantino o delle comunità di città o di campagna, oppure recentemente acquisiti dal patrimonio reale.

Per quel che riguarda i dintorni di Castel Seprio, di una simile formazione, o di una fara che la precedette, si hanno appunto diversi indizi o elementi toponomastici.

A parte una località, Gaggio, situata quasi ai piedi del castello fra i cimiteri di Torba e Gornate, la quale potrebbe ricordare un tipico bosco riservato dei Longobardi, esiste, fra la zona delle rovine e Carnago, un sentiero dall'antico nome di via romana, il quale lascia in sé intravedere una possibile corruzione da ben altro appellativo, vale a dire via arimanna.

In effetti, mentre oggi da un lato niente indica che da qui passasse una strada tardo-romana, unica ad aver avuto eventuale potere di lasciar tale traccia toponomastica, dall'altro è noto come molte simili denominazioni abbiano avuto origine frequente dagli arimanni.

Peraltro: nella piana dell'Olona, poco a nord-est di Torba, si sarebbe avuto in passato un terreno detto farasco o campo farasco, il cui significato è senz'altro inequivocabile.
Quanto alla situazione di Vico Seprio, che si è detto essersi trovato immerso nell'arimannia in questione, abbiamo vari esempi di altri villaggi che sostanzialmente lo furono; nel senso di trovarsene talmente stretti e circondati con le proprie terre, comuni o private, da figurare nella pratica come se vi facessero parte.

EVOLVERE DI COSE

Sotto il nome di Vico Sèvero, Vico Seprio, come già detto, appare citato, per la prima volta a noi nota in una carta del 715. In anni successivi il toponimo adattandosi a quello del castrum, evolverà prima in Vico Sebrio, poi in Vico Seprio.

Del castrum si hanno invece soltanto cenni indiretti nel 721 e nel 735, attraverso allusioni al distretto che reggeva. Centro, oltre che di questo forse anche ormai della pieve di S. Giovanni Evangelista, il luogo si può peraltro intravedere come frequentato assiduamente, a motivo di tributi, raduni arimannici, placiti, mercati, feste religiose e così via.

Sempre nell'ipotesi che la pieve fosse ormai nata, va pensato per esempio che il Gastaldo vi amministrasse giustizia all'occasione del conventus ante ecclesiam, la riunione religioso-amministrativa che si teneva periodicamente in ogni pieve; oppure, presentandosene il caso, presiedesse alla nomina dell'arciprete plebano per parte del relativo populus, che, costituito da rustici e arimanni, interveniva guidato dai decani e dallo sculdascio.

Pur non avendosi motivo di pensare a nuove opere di fortificazione del castrum, ormai abbandonato, o quasi, a se stesso, e sfruttato quale semplice area più o meno ben cintata, si può supporre d'altra parte che in quegli anni avvenisse una risistemazione, oltre che all'interno, anche alle sue soglie sia di quei gruppi di arimanni che sugli inizi gli si erano stanziati entro e attorno senza regola alcuna, sia di locali attratti qui ad abitare.

Il che fece nascere un nucleo di tipo preurbano attivandovi interessi, traffici, vita; e col tempo, ogni anno, sul finir di marzo, all'occasione della festa patronale di S. Maria foris portas, l'Annunciazione, anche una grossa fiera-mercato bovina, durante la quale, per concessione del Re, una zecca locale usò battere moneta d'oro.

VECCHIE E NUOVE STRADE

Andata completamente a soqquadro fra gli inizi della guerra greco - gotica e i primi decenni dell'età longobarda, la rete viaria fra Lario e Verbano era stata intanto in parte sostituita dal riaprirsi di vecchi e in parte dal crearsi di nuovi itinerari.

Per la rovina di un probabile ponte sul Ticino, il tratto del vecchio limes proveniente da Como che dopo l'incrocio con l'Olona scendeva verso l'estremità inferiore del Verbano, era caduto in disuso; e quanto di esso tratto era restato aveva finito da un lato per continuare verso il Centro Lago, e dall'altro per innestarsi sulla via per Novara, realizzando così un collegamento non solo tra il Lario e quest'ultima città, ma pure con l'oltre Ticino, a mezzo di un nuovo tramite e di un traghetto all'altezza di Castel Novate - Pombia.

D'altro canto, per meglio controllare il traffico proveniente dai passi alpini e da Bellinzona, anche il vecchio itinerario per Milano che passava ad oriente della valle Olona era stato abbandonato; e ad esso ne era stato sostituito altro che, sfruttando esso pure parte della Como - Novara, nonché un nuovo breve tratto di raccordo con la vecchia via del Verbano, giungeva sempre a Milano col ridiscendere quest'ultima.

Rispetto a un tempo, molta della rete stradale principale era insomma cambiata; e Castel Seprio nel nuovo assetto vi aveva assunto ruolo di punto di passaggio obbligato.

IL MONASTERO DI TORBA

Ai primi anni più o meno del secolo VIII è da ascrivere la nascita di un monastero benedettino femminile, più tardi noto come Santa Maria de Turba, giù in fondo al saliente che dal castrum scendeva a valle.

Non più estirpata o tenuta bassa da anni, la vegetazione doveva allora avere reinvaso del tutto i declivi del pianoro soprastante, imbrigliandone così il terreno e srarendone le frane. E il fatto, col creare l'illusione di una tornata sicurezza, aveva portato al sorgere, ancora in piena età longobarda, prima di una chiesetta, poi sostituita da altra, giù in fondo al saliente, proprio davanti al torrione; quindi all'installarsi del cenobio in quest'ultimo e in alcuni ambienti che si erano venuti addossando e sovrapponendo al vicino tratto di muro.

Ritrovate in pianta parzialmente (Brogiolo, White), tali chiesette, al pari forse anche dell'attuale S. Maria di Torba che sorse loro poi sopra, dovettero recare molto probabilmente una dedica a S. Raffaele, che in seguito venne subissata da quella del cenobio, almeno nelle carte ma non nella tradizione. In effetti S. Malia di Torba in documenti catastali del XVIII secolo appare ancora con la dedica a S. Raffaele, confermando indirettamente l'esistenza nel XIII secolo presso Castel Seprio di una chiesa con tale nome indicataci dal Liber Notitiae Sanctorum Mediolani altrimenti non ben localizzabile.

Completamente rovinato forse da una nuova inopinata frana, anche il secondo S. Raffaele non avrebbe comunque avuto lunga vita e sarebbe stato finalmente sostituito sugli inizi dell'XI secolo dalle strutture dell'odierna S. Maria, la cui abside è però da attribuire ai tardo XII - inizi del XIII secolo (Bazzoni).

IL SEPRIO FRANCO-CAROLINGIO

Avvenuta fra il 774 ed il 779 la fine del regno longobardo, nulla, o ben poco, ebbe in sostanza a mutare per Castel Seprio, potendosi vedere da vari successivi documenti come su di esso continuasse poi sempre a incentrarsi un grosso distretto in subordine a Milano, che, retto ora da un Comes o Conte, ora da un Gastaldus, ora da uno Judex, figura a mezzo fra Conte e Gastaldo, ebbe infatti nome di comitàtus, da cui Contado.

Il primo Conte a noi noto risulta essere un Giovanni, che sarebbe poi divenuto, verso l'840, Conte di Milano e, infine, nell'857, Vasso e Messo imperiale. Nell'842 al contrario il Seprio è governato da un Gastaldo che si chiama Roteno; ma ciò significa forse solo che in quell'anno si era in attesa della nomina di un nuovo Conte. Nell'857 si ha un certo Ottone che detiene carica di Judex, ma che anni più tardi apparirà Conte a chiare lettere.

In seguito, e per lungo tempo, manca menzione di altri Conti o funzionari; mentre il Seprio, viene sempre detto essere un fìnes o territorio, ciò che ci dice molto poco sulla sorte toccatagli.

Sino a che, ormai in pieno X secolo, ecco di nuovo aversi notizie di un Conte, Nantelmo, con il quale, fra l'altro, titolo e dignità comitale, da temporanei e personali quali erano stati in precedenza, divennero vitalizi e trasmissibili agli eredi.

RIFACIMENTI E NUOVE OPERE

D'epoca franco-carolingia si è pensato possano essere alcune delle riparazioni mostrate dal muro di cinta finora escavato, nonché un grosso contrafforte d'appoggio alla casa torre e sita nel settore meridionale del castrum. Non è escluso che quest'ultima fosse allora divenuta l'unica vera posizione fortificata del luogo, una sorta di dongione, in cui poterono anche dimorare alcuni Conti del Seprio.

Altri lavori dovettero in ogni caso esser condotti, se non a carico della basilica di S. Giovanni, la cui absidiola di caponavata destra sembrerebbe comunque del X - XI secolo, nei suoi dintorni immediati. Rientrerebbero quanto meno nel novero: la scalea che reca sul retro; la trasformazione in campanile della vicina antica torre di difesa; il riassetto di un'area cimiteriale, qui indicataci da due grosse lastre tombali d'epoca franco-carolingia ritrovate al di sopra di numerose vecchie sepolture disposte a più strati; e, infine, rinnovi vari a carico di preesistenti edifici.

ANCORA S. MARIA FORIS PORTAS

Pure d'epoca carolingia sono infine altri lavori avvenuti fuori dal castrum, attorno a S. Maria foris portas, la quale, sotto la veste in quegli anni assurta, di probabile chiesa privata si vide difatti sorgere vicino, da nord e da ovest, un piccolo nucleo residenziale, stato fors'anche proprio, per un certo periodo, dei Conti o Gastaldi del Seprio. Indubbiamente più tardo è da ritenere un fossato, di cui sono state ritrovate tracce, che isolava in un triangolo gran parte dell'assieme collegandosi verso meridione ad altro fossato artificiale e verso oriente ad un valloncello che stava alle spalle del tutto.

Secondo le conclusioni degli ultimi scavi, inaugurata da una grossa tomba, essa pure d'epoca carolingia, ritrovata sul fianco settentrionale dell'atrio - forse la sepoltura di qualcuno che beneficò la chiesa - ci sarebbe qui stata una zona funeraria riservata, destinata poi ad aprirsi anche ad altra gente e a perdurare molto a lungo (Carver, Brogiolo).

Con tali conclusioni la lapide di quel Wilderam, ritrovata nell'atrio di S. Maria nel secolo scorso e attribuita poi al secolo VII, o non dovrebbe essere di quest'epoca in cui il cimitero ancora non esisteva, oppure dovette venirvi trasportata da altrove solo successivamente.

UNO SBRICIOLAMENTO LETTERALE

Pur continuando ad esser retto da propri Conti, il Seprio già sugli inizi del l'epoca franco-carolingia era passato a frazionarsi in zone di diversa spettanza per via delle sempre più estese concessioni immunitarie fatte qua e là dai diversi Imperatori a loro fedeli, laici o ecclesiastici che fossero.

Sugli inizi del X secolo il fenomeno aveva toccato proporzioni notevolissime, che si sarebbero tuttavia ancor più accentuate negli anni a venire per il passare di svariate terre del comitatus al Vescovo di Como nel nord e in altri settori a quello di Milano.

Quando poi, a cavallo del Mille, gli Arcivescovi milanesi, con l'approvazione imperiale, concessero a diversi loro sostenitori, i cosiddetti Capitanei S. Ambrosii, di infeudarsi le pievi della propria diocesi, il Seprio raggiunse il colmo dello sbriciolamento.

I Conti, da parte loro, esclusi con tali infeudazioni anche da quei pochi brandelli di territorio che erano sin lì sfuggiti al passaggio sotto altri, dopo aver assunto a propria volta attribuzioni feudali, più o meno legittime, finirono per conservare autorità solo su Castel Seprio e gli immediati dintorni.

Come parte della pieve di S. Giovanni Evangelista, questi dintorni sarebbero dovuti passare a certi Capitanei cui la pieve specificatamente era toccata. Ma nella pratica le cose non poterono andare così: anzitutto perché gran parte del cuore della stessa era occupata dalla vecchia locale arimannia su cui ora i Conti esercitavano probabilmente dei diritti feudali, e poi anche perché Vico Seprio doveva rientrare in una curtis, o complesso economico-agricolo auto-sufficiente, che prendeva nome da Castel Seprio e che era stato concesso dagli Imperatori ai Conti sin dai tempi di Nantelmo.

Oltrecchè insediarsi a Castiglione, donde poi trassero nome, questi Capitanei della pieve di Castel Seprio non poterono dunque estendere la loro autorità che su ciò che ne restava libero, inaugurando poi luogo per luogo, coi loro Valvassores, tanti piccoli dominati, o signorie che dir si voglia.

I CONTI EREDITARI

Di poco oltre la metà del X secolo è dunque Conte del Seprio quel Nantelmo, figlio di un Rostanno, di legge salica, cioè di discendenza franca, che avrebbe iniziato a trasmettere carica e titolo ai suoi discendenti.

In occasione delle lotte fra Berengario II e l'Imperatore Ottone il Grande, Nantelmo doveva in effetti essersi barcamenato molto bene, finendo così per ottenere quel privilegio appunto, assieme a varie altre concessioni, tipo la curtis di Castel Seprio e probabili diritti sulla vecchia arimannia circostante.

Nantelmo ebbe due figli, un Guglielmo, premortogli, e un Olderico. poi divenuto Vescovo di Cremona; per cui gli successe, sembrerebbe, suo fratello Rodolfo, discendente del quale furono un Vilfredo, poi un Rodolfo II e di nuovo un Vilfredo II.

Questo Vilfredo II, nel 1036, quando i Valvassores del Seprio si rivoltarono contro i loro Capitanei, si unì ai primi coi propri vecchi arimanni per evidenti ragioni di opportunità politica. Mentre nel 1042, allorché i Capitanei e i Valvassores sepriesi vennero in lotta con Milano, fu tra le loro schiere.

A Vilfredo II seguì un Rodolfo III che ne era fratello; e questi, dopo aver ottenuto conferma di nuovi diritti feudali sugli arimanni del mendrisiotto, iniziò a denominarsi con il titolo non più di Conte del Seprio ma di Castel Seprio.

UN CASTRUM SOLO DI NOME

Di riflesso al decadere della autorità dei propri Conti, Castel Seprio doveva intanto aver finito per perdere totalmente anche ogni apparenza di luogo fortificato.

Mantenere efficiente il castrum, significava per i Conti sostenere continue spese. Ma con il graduale ridursi dell'area amministrativa loro spettante, quindi delle esazioni fatte in nome dell'Imperatore e delle tangenti a queste connesse, le loro risorse economiche avevano subito un gran colpo. Donde una graduale perdita di interessi per le sorti del castrum ed il suo continuo inesorabile cadere in rovina.

Nella seconda metà dell'XI secolo i Conti cominciarono poi ad abbandonare sempre più Castel Seprio per alternare la loro residenza in proprietà che detenevano a Tradate - Venegono. Né sarebbe passato molto altro tempo prima che il ramo principale finisse per trasferirsi sia a Milano che a Piacenza, luogo quest'ultimo donde la famiglia traeva le proprie lontane origini e ancora doveva possedere vari beni immobiliari.

Abbandonato in tal modo praticamente a se stesso, il castrum - di cui essi risultavano pur sempre consegnatari per conto dell'Imperatore, e nel quale, in un estremo guizzo di amor proprio, essi avevano forse poco prima eretto la chiesa di S. Paolo - accelerò da quel tempo il già iniziato processo di disfacimento. Sino a ridursi, nel breve giro di pochi decenni, ad un qualcosa che dell'antica originaria funzione solo il nome possedeva, ma null'altro di fatto.

SULLA VIA DELL'EMANCIPAZIONE

Strettamente circondata dai terreni della vecchia arimannia e rientrante nella piccola curtis concessa sin dal X secolo al Conte Nantelmo, la vicinantia di Vico Seprio, anche se poté sopravvivere come collettività a questo stato di cose, si vide tuttavia, col tempo, e non senza qualche abuso, conculcata in varie sue prerogative, a tutto vantaggio dei Conti stessi, i quali si erano resi domini o signori del luogo.

Questi, in altre parole, avevano potuto prendersi l’honor e il districtus - cioè ogni rispetto col diritto di pretendere - presiedendo di conseguenza l'assemblea dei vicini, condizionandone l'elezione dei rappresentanti, partecipando al possesso dei beni comuni, e via dicendo.

Così, con ogni probabilità, accadde che quando decisero di abbandonare Castel Seprio, gli abitanti della curtis. assieme a quelli del castrum, traendo a pretesto il loro allontanarsi, ne approfittarono per chiedere qualche maggiore libertà; che venne forse riscattata anche a suon di monete.

Pure gli arimanni degli immediati dintorni seguirono l'esempio in quell'occasione scaturito. Ancora alle dipendenze dei Conti, ma sempre rimastine immuni da controlli e ingerenze, essi colsero il destro per emanciparsene vieppiù.

E con ciò ci fu nel complesso il primo passo di un lungo cammino, destinato a finire oltre un secolo più tardi con la fusione dei due gruppi in un'unica Comunità, secondo il senso più compiuto dato oggi a questo termine.

IL CONSOLATO DEL SEPRIO

A cavallo fra l'XI e il XII secolo, il declino dell'autorità comitale continuò a verificarsi in modo inarrestabile.

Unici aventi diritto per tutto il comitatus, o contado in termine moderno, ad amministrare giustizia nei casi complessi - un attributo che mai era stato loro contestato da alcuno - i Conti, dopo aver mutato il loro predicato da Seprio in Castel Seprio, finirono per rinunciare anche a questa prerogativa, preferendo esercitarla solo dietro richiesta di chi ne fosse interessato. L'ultimo Conte a farne uso pare sia stato un Guglielmo, intorno al quarto decennio del XII secolo.

Giusto verso l'anno 1127 apparve così sulla scena storica un Consolato del Seprio, col compito di supplire alla deficienza comitale che il Comune di Milano cominciava invece a pretendere di sostituire di diritto.

Composto ogni anno da nobili dei più diversi luoghi del contado, e, almeno sul principio, uso a render giustizia in maniera itinerante, questo Consolato avrebbe avuto vita per circa un cinquantennio, come ci dimostrano delle sentenze datate fra il 1148 ed il 1165, in cui dei Conti non si ha la minima traccia.

Rivolgendosi di fatto in ben tre occasioni, tra il 1140 ed il 1152, ai Consoli di Milano, da cui ebbero peraltro sentenze sfavorevoli, questi ex potentati non fecero così che favorire anche la penetrazione politica ambrosiana in quel contado del Seprio che dal punto di vista economico già era nel frattempo quasi integralmente caduto nelle mani della Città.

IL COLMO DELLA DECADENZA

Con la bufera portata in Italia da Federico Barbarossa, la vecchia famiglia dei Conti, pur conservando ancora qualche diritto su Castel Seprio, si vide completamente messa in disparte, mentre i nobili del contado si schieravano con l'Imperatore. E a questo, con centro in Belforte, che era un fortilizio presso Varese, venne preposto un semplice funzionario imperiale nella persona del Conte tedesco Godwin von Heinsberg. meglio a noi noto come Gozoino.

L'antico castrum, per parte propria, doveva essere ormai ridotto ad un puro gran recinto in rovina. Difatti l'Imperatore non osò mai mettervi piede; nemmeno la notte precedente la giornata di Legnano, 29 maggio 1176, quando pur trovandosi con le sue milizie a transitare da queste parti, preferì correre il rischio di sostare in un abitato senza pratiche difese come quello non distante di Cairate.

IL NUOVO CASTEL SEPRIO

Passato il contado in potere definitivo di Milano a seguito del privilegio di Costanza (1183) e del trattato di Reggio (1185), Castel Seprio, ormai del tutto abbandonato e rinunciato da parte degli antichi suoi Conti, vide nuovamente appuntarsi l'attenzione su di sé.

Anche se rimasto tagliato fuori da un riassetto della maggior rete viaria locale che aveva visto la ripresa della direttrice Milano - Varese ad oriente dell'Olona e l'aprirsi fra Varese e Gallarate di un collegamento lungo la valle dell'Arno, Castel Seprio venne ora fatto sede amministrativa di un territorio esteso per convenzione dalla Tresa e dal Ceresio alla brughiera gallaratese e dalle sponde del Verbano alle rive del Seveso, nonché riattrezzato come pubblico fortilizio del Comune di Milano.

Questo riattamento si può intuire, in rapporto allo stato di grave decadimento nel quale il castrum doveva essere caduto in precedenza, dalla capacità con cui lo stesso poté far fronte a ripetuti episodi bellici negli ultimi anni della propria vita.

Le antiche difese è quindi intuibile venissero restaurate. E, mentre l'adiacente abitato, nel frattempo ingranditosi, veniva praticamente trasformato in antemurale delle stesse, tutto un complesso di estesi fossati periferici fu appositamente creato allo scopo di meglio proteggere l'insieme risultante.

LA ROCCA

La ristrutturazione del vecchio castrum in guisa di rocca non dovette affatto interessare ogni relativa struttura, ma limitarsi puramente alla sua cerchia principale con un restauro delle mura e di buona parte almeno delle torri.

Per quanto concerne il saliente che scendeva sino a Torba, la documentata esistenza quaggiù, in quegli anni, dell'omonimo monastero fa per esempio escludere che se ne effettuasse un recupero. D'altro canto, sbarrata a mezza china da una quasi ininterrotta bastionatura naturale di puddinga e dai resti dei terrazzamenti che qui anticamente si avevano, la salita in forze alla rocca sarebbe comunque stata già molto difficoltosa da questo lato; e infatti non esiste traccia nella storia più recente di Castel Seprio di attacchi che abbiano avuto luogo per questa via, difesa oltretutto da un fiume Olona che tendeva a impaludare la sottostante valle ad ogni pioggia o acquazzone.

Al contrario, ogni cura dovette rivolgersi al potenziamento delle difese che davano ad occidente, donde qualunque attacco poteva più pericolosamente essere portato. E in questo quadro potrebbe essere visto molto opportunamente sia uno scavo di ampliamento del fossato antistante il vecchio originario accesso al castrum, sia la costruzione delle pile di un ponte ad impalcato ligneo che lo attraversava e di cui restano oggi, con le rovine dell'accesso stesso, i soli ruderi.

L'ABITATO

Pur in gran parte limitato dalla configurazione stessa del suolo, l'abitato è possibile non avesse mai avuto in origine un preciso limite, che fu al contrario costituito con la trasformazione del luogo in antemurale della rocca.

Un certo tratto di fondazioni affioranti davanti al fossato e alle pile del ponte che recava alla porta della rocca, indica che almeno in questo punto il limite fu un muro in pietrame varcato da un passaggio.

Il resto della cerchia, al contrario, appare verosimile fosse costituito sia dalle murature esterne delle costruzioni che vi si accostavano, sia più semplicemente da un bastione in terra, o terraggio, che completava gli eventuali spazi vuoti. E laddove poi, sull'esterno, eventuali asperità del terreno non avessero offerto una certa spontanea difesa, doveva supplire un fossato ricavato ora da particolarità naturali che si prestavano alla bisogna, ora dal niente.

Quanto ai varchi, tutti certamente in muratura, oltre quello verso la rocca, se ne avevano altri tre: a sud,verso Vico Seprio; ad occidente, in direzione di Carnago; e a settentrione, poco sotto Santa Maria foris portas - quelle cioè del borgo - in direzione di Gornate.

Per il disporsi interno dell'abitato, si ha infine memoria scritta di una plàtea, o piazza, non localizzabile; ma anche di un pasquèe, subito a destra di un punto tradizionalmente indicato come entrata nell'abitato per chi proveniva da Vico Seprio: forse un antichissimo luogo di pascolo, comunque rimasto entro l'area dell'abitato quando questo prese forma.

FOSSATI DIFENSIVI

A parte i fossati che, rispettivamente, separavano la rocca dall'abitato e circondavano in qualche tratto quest'ultimo da occidente, due altri lunghi fossati, scavati parallelamente e ad un certa distanza dal bordo della valle Olona, difendevano il fortilizio da un facile avvicinamento.

Un primo, oggi ancor percorribile, col correre verso nord per finire poi in valle, isolava completamente il pianoro del Malmonte, dal quale si poteva dominare l'interno della rocca; un secondo, oggi pure conservato per buona parte, svolgendosi verso sud, difficoltava l'accesso all'altro pianoro, il Ronchèe, donde pure era possibile minacciare Castel Seprio.

Questo fossato del Ronchèe, d'altra parte, ad un certo punto si spartiva; e mentre un braccio, attualmente in via di graduale voluto interramento, scendeva sino a gettarsi in valle subito alle spalle di Vico Seprio; l'altro, oggi rintracciabile solo a fatica, volgeva ad ovest su per la brughera, spingendosi quindi verso il Tenóre.

Da quel che si può intuire, il braccio di Vico Seprio aveva forse appoggio, davanti al proprio sbocco in valle, in un piccolo fortilizio sullo Sgarlàsc di cui, pur fra altri resti, si ha qualche traccia; quello opposto, al contrario, attraversando in località Rizzotta la valletta dei cosiddetti Prati Lunghi, si trasformava momentaneamente in un bastione di terra difeso forse da steccati, o rizzate in gergo medioevale, dietro cui una distesa di acqua, spesso ristagnante, non faceva che potenziare il suo compito di sbarramento.

LA COMMUNITAS CASTRI SEPRI

Agli inizi del secolo XIII i rustici della vicinantia vicosepriese con parte dei milites componenti l'antica arimannia dei dintorni erano intanto evoluti in autentica moderna Comunità.

Sotto l'egida di Milano, questi due gruppi avevano cioè acquisito il pieno diritto a governarsi da sé, nominando propri Reggenti e regolandosi secondo precise norme consuetudinarie.

Dapprima essi formarono certamente una Communitas vicinorum ed una Communitas nobilium, nettamente separate. Poi, per fusione concordata, si dovette giungere ad un'unica Comunità, la Communitas Castri Sepri, il cui ambito di pertinenza risultò costituito e dalle terre private e collettive della vecchia vicinia divenuta vicinantia, nonché da quelle arimanniche che le erano frammischiate, ma di cui non si ricordavano più le origini.

E, poiché l'abitato di Castel Seprio, sviluppatosi in luogo di interesse reciproco, con il cingersi di difese ne era indubbiamente diventato il nucleo abitato più importante, fu qui che venne fissata la relativa sede ufficiale, a tutto scapito naturalmente della antica Vico Seprio.

CONFINI DI IERI E DI OGGI

Oggi il confine tra Castel Seprio e Gornate Inferiore scontorna strettamente la zona del castrum, tanto che il Malmonte e la torre di Torba, ai suoi piedi, ma non la vicina chiesetta di S. Maria, risultano stranamente in territorio di Gornate. In antico tuttavia non doveva essere così.

Verso nord i termini di Castel Seprio giungevano probabilmente almeno all'altezza dello sbocco del fossato che su questo lato proteggeva il Malmonte; verso est, invece addirittura al di là dell'Olona, contro lo stesso bordo vallivo per cui si sale a Tradate.

La stessa arimannia locale, del resto, doveva certo estendersi ben oltre i confini attuali di Castel Seprio; come ci dimostra l'esistenza stessa sia di una località Pozzolo, situato presso Morazzone, il cui nome tanto spesso ha parentela coi Longobardi, sia di quel campo farasco già citato, di cui v'era memoria nella piana dell'Olona.

Anche se è impossibile che tutte le terre di questa arimannia avessero a rientrare nella neocostituita Comunità di Vico Seprio, è tuttavia molto verosimile che ciò potesse avvenire per la parte di esse, quanto meno, più prossima al proprio centro.

L'alterarsi di confini dovrebbe risalire a ben dopo le vicende del 1287.

LA NASCITA DEL BORGO

Probabilmente dei primi del XIII secolo fu l'assurgere a borgo dell'abitato di Castel Seprio, che di poi i cronisti chiamarono in effetti sempre tale. Borgo era allora una qualifica di esclusivo diritto pubblico la cui assunzione finiva per avere conseguenze sostanziali sul carattere politico della relativa comunità. Le comunità burgensi entravano cioè a fruire di determinati diritti, tipo l'esenzione dagli onera rusticana, il pagamento di certe tasse solo come toccava agli abitanti della Città, la possibilità di accedere a cariche pubbliche cittadine. Ma, per converso, erano tenuti a ben precisi doveri, quali il mantenimento o la difesa di date strade, o ponti, o luoghi pubblici e così via.

Naturalmente in caso di inadempienza le multe o le pene previste erano proporzionali all'impegno mancato.

Ora, l'assurgere a borgo dell'abitato di Castel Seprio dovette proprio trovare motivo nello specifico incarico, ad esso assegnato dal Comune di Milano, di provvedere in certa misura alla necessità della rocca.

Sempre di questi anni è peraltro possibile che la nuova comunità burgense adottasse una propria insegna o gonfalone: un campo, diviso in due verticalmente, a sei bande orizzontali alternate rosse e bianche, invertite come successione nelle due diverse metà.

Questa insegna, che del resto è ancora oggi di Castel Seprio, differisce completamente dall'arma comitale esibita su di un sigillo del Conte Guglielmo, databile attorno al 1142, ove appare semplicemente un castello a due torri.

Stemmi dei Conti di Castel Seprio che portano e castello e scudo diviso in bande sono il risultato di una fusione più tarda fra i due elementi.

GENTE E ATTIVITA’ LOCALI

Costituito da un massimo di tre o quattrocento anime concentrate in Castel Seprio e da un altro centinaio disposto fra Vico Seprio ed alcuni cascinali circostanti, la comunità castelseprìese viveva un'economia di tipo prevalentemente agricolo.

I campi, a parte il Bassone, sempre stato adattissimo a colture, dovevano per il resto trovarsi prevalentemente concentrati nei dintorni del castello, ove erano stati strappati col tempo a tutta una distesa di boschi e di ampie sodaglie. I primi erano in gran parte costituiti da querce, castani, carpini, olmi, essendovi il tipico pino, oggi trovabile, e la robinia comparsi solo nel XVII - XVI1I secolo; le seconde da felci, brugo, ginestre.

Particolare cura non v'è dubbio venisse data dai locali alla coltivazione della vite; donde il frequente riscontro per tutta la zona di antiche sistemazioni del terreno a gradini, i quali, d'altronde, servirono pure in certe occasioni a scopo difensivo. Il vino che se ne ricavava era asprigno e generoso, e oggi solo taluno cerca di conservarne la produzione accudendo a rari originali vitigni in piccoli ronchi isolati e ai più sconosciuti.

CHIESE ED ORATORI

Stando al Liber Notitiae Sanctorum Mediolani, nel XIII secolo in territorio di Castel Seprio si trovavano diverse chiese.

Anzitutto, entro la rocca, sorgeva l'antica basilica plebana di S. Giovanni Evangelista, col relativo battistero dedicato al Battista. L'arciprete di S. Giovanni, che sovrastava a ben diciotto Canonici e si fregiava del titolo di Cappellano e Suddiacono del Papa, nei momenti solenni sembra recasse insegne vescovili. Antica e famosa, questa chiesa, i cui statuti vennero approvati da Papa Innocenzo IV nel 1245, godeva insomma di gran fama. Tra chi volle farvisi seppellire è per esempio da ricordare un Eriprando Visconti, Arcivescovo di Vercelli, deceduto nel 1223.

Già nel XIII secolo questo S. Giovanni ebbe peraltro a fronteggiare come Plebana sia le tendenze autonomistiche del S. Lorenzo di Castiglione, sia, in molto minor grado, quelle stesse di S. Martino di Carnago: una competizione dai toni assai accesi e risoltasi soltanto nel XIV secolo con la pratica, se non formale, dissoluzione della vecchia Pieve.

Sempre dentro la rocca si trovava pure S. Paolo, il cui patronato restò ai Conti di Castel Seprio anche dopo aver abbandonato il luogo; mentre nell'adiacente borgo sorgeva forse un S. Lorenzo, che già sul finire del XlV secolo sembra fosse scomparso e di alcuni beni del quale si ha ancora oggi memoria nel bosco omonimo fra S. Maria foris portas e il Malmonte, oggi sito in territorio di Gornate, ancorché a un tiro d'arco dall'abitato del castello.

Fuori, invece, si avevano: un S. Salvatore, forse identificabile con la prima più vecchia dedica di S. Maria foris portas; un S. Raffaele, che non è escluso sia la vera dedica di S. Maria di Torba; due piccoli oratori, dedicati rispettivamente a S. Biagio e a Maria, siti probabilmente nella torre del monastero qui situato; la chiesetta dei SS. Nazario e Celso, a Vico Seprio, che si è anche voluto assegnare al VII secolo, per origine "missionaria", ma che verosimilmente è più antica: e infine un S. Vito, di cui oggi si ricorda solo la località, giù in fondo e di lato al Bassone, sulla riva del Tenóre, ove, quei di Castel Seprio - Vico Seprio, di Rovate e Peveranza usavano, e usarono a lungo anche dopo il 1287, incontrarsi, ogni anno, forse nella scia di antichissimi riti.

PRODROMI DI LOTTE

Nel 1224 i nobili del Seprio residenti in Milano si davano per Podestà Obizzone della Pusterla.

Questa vicenda, rimasta senza seguito, fece pensare a qualcuno, in passato, che nel contado appunto del Seprio venisse allora tentata l'instaurazione di una repubblica di tipo aristocratico. Ma simile elezione va interpretata soltanto come un fatto per così dire corporativistico, inerente le lotte che i nobili conducevano in Città, ove cominciavano in quell'epoca a perdere alcuni dei loro vecchi privilegi e quindi cercavano di far gruppo compatto.

D'altro canto è pur vero che di quegli anni, se non fra le masse contadine tagliate fuori da contese loro estranee, fra i nobili sepriesi il sentimento antiambrosiano doveva essere andato fortemente ingigantendosi.

E nella scia di un tale clima vanno appunto inseriti gli episodi bellici che nei decenni seguenti coinvolsero Castel Seprio e che dimostrano appunto quanto il luogo fosse risalito di valore dopo i lunghi anni di decadenza.

L'ASSALTO DEL 1257

Costretti dal prevalere dei loro avversari, nel luglio 1257 i nobili milanesi, capeggiati dall'Arcivescovo Leone da Perego, abbandonavano la Città per rifugiarsi in massa nel contado del Seprio di cui moltissimi erano originari. Verso i primi di agosto, il castello eponimo cadeva così in loro mani.

Martino della Torre, che era Capitano del Popolo, uscì naturalmente in gran forze dalla Città per andare a snidarli; e il 12, una domenica, giungeva in luogo all'improvviso, intenzionato a far presto.

Superati i fossati difensivi più periferici, prese subito il borgo, che fu messo a duro sacco. Ma la rocca, ove si era rifugiata coi nobili tutta la popolazione del luogo, resistette ad ogni assalto, sia pur rinnovato.

L'indomani, a propria volta, gli assediati compirono una sortita. Colti alla sprovvista. Martino della Torre e la sue forze furono ributtati dal borgo e incalzati sin giù nel Bassone.

Si sarebbe ora solo trattato di riorganizzare le milizie popolari e di muovere ad un nuovo assalto del castello, più studiato ed efficace. Sennonché il complicarsi della situazione militare, per l'arrivo imminente di altre forze avversarie, indusse il della Torre a ritirarsi, prima su Olgiate Olona, quindi su Legnano. E alla fine fu firmata una tregua; e, un anno dopo, una vera e propria pace tra le due parti.

LA BATTAGLIA DEL 1276

Negli anni successivi il castello cadde di nuovo, a più riprese, nelle mani dei nobili milanesi, senza che tuttavia si arrivasse a clamorosi cruciali episodi. Finché, per garantirne una migliore sorveglianza, nel 1266, Napo della Torre, divenuto despota di Milano, decise di insediarvi come Signore del Seprio suo fratello Francesco; che però non risulta finisse mai per risiedere in luogo.

Giusto dieci anni dopo, nel pieno del luglio, l'Arcivescovo ambrosiano Ottone Visconti, alla testa dei nobili con lui esuli dalla Città, riusciva ancora d'improvviso ad occupare il fortilizio, obbligando Napo della Torre ad accorrervi per riprenderlo.

Anche questa volta cadde il borgo ma non la rocca, attorno al cui accesso occidentale si cominciò quindi a combattere ogni giorno. Ottone Visconti, d'altra parte non si era limitato a tenere solo quest'ultima. Sul pianoro di S. Maria foris portas, egli aveva allestito un campo fortificato, di cui potrebbe esser traccia il fossato qui ritrovato, e dal quale si controllava nettamente il castello. Così quando ebbe giudicato essere gli assalitori sufficientemente provati, con una manovra convergente dalla rocca e dal campo, l'Arcivescovo piombò su di essi mettendoli in fuga.

Inseguite fin sul pianoro del Ronchèe, le milizie di Napo cercarono invano di fronteggiare il nemico. Gettarono forze fresche nella mischia, ma non ci fu nulla da fare. Al calare della sera, il della Torre, disfatto, abbandonava il terreno già pensando alla rivincita. I nobili, dal canto proprio, parte si ritirarono in Castel Seprio, parte nel campo.
All'indomani, tuttavia, la situazione ebbe a cambiare. Di mattino prestissimo, le riorganizzate forze di Napo della Torre sorpresero infatti le sentinelle del campo visconteo; nel quale riuscirono a penetrare cogliendo tutti gli armati nel sonno. Invano fu tentata una disperata reazione. Nel giro di una breve ora Ottone Visconti e i suoi fedeli furono sopraffatti, annientati. L'Arcivescovo stesso riuscì a stento a salvarsi. Ed anche la rocca, poco dopo, si arrese ai torriani.

IL PRIMO ATTACCO DEL 1285...

Nel 1285, verso la metà di maggio, insediatesi nel frattempo Ottone Visconti a Milano, furono i della Torre, ora esuli, ad occupare improvvisamente Castel Seprio. Avevano con loro quattromila uomini circa, mentre il Visconti, concentrati nella piana del Bassone ben dodicimila effettivi fra milanesi e uomini delle altre città amiche, si accinse rapidamente alla ripresa del luogo. Su queste cifre incredibili forniteci dalle antiche storie bisogna fare una grossa tara, senza alcun dubbio; ma resta chiaro che sia gli uni che gli altri dovevano esser numerosi.

Lunghi giorni di pioggia ritardarono il momento dell'assalto; e quando poi questo fu deciso, sia per le condizioni del terreno fangoso e sdrucciolevole che per la tenace resistenza dei torriani, gli attaccanti non riuscirono nemmeno a superare il fossato difensivo che, già alle spalle di Vico Seprio, sbarrava da sud l'avvicinamento al castello. Rinnovati assalti, avvenuti nei giorni seguenti, fallirono tutti, senza possibilità di rimedio.

Così si arrivò in modo tacito ad una tregua di fatto. Il 15 maggio gli avversari giunsero addirittura a fraternizzare; e mentre alcuni dei viscontei poterono addirittura entrare a Castel Seprio, parecchi avversari furono ospitati nel campo del Bassone.

Finalmente, firmatosi un accordo, dopo quarantaquattro giorni di vane operazioni, le forze dei Visconti fecero ritorno a Milano, mentre Castel Seprio passava in mano a Guido da Castiglione. quale custode momentaneo e garante dei patti firmati.

...ED IL SECONDO

Due mesi circa più tardi si era daccapo. Rioccupata Castel Seprio, connivente il Castiglione, i della Torre obbligavano i loro avversari a scendere in campo per un'ennesima volta.

Di nuovo il maltempo sembrò ritardare le cose, e le forze del Visconti giunsero nel Bassone solo verso la metà di ottobre. Scattati tuttavia all'assalto, questa volta riuscirono a superare i vari fossati difensivi, entrando in breve nel borgo, ove per prima cosa distrussero la case dei due Reggenti della Comunità, Guglielmo Reseghino e Filippo Ghirlanda.

Ma al solito con la rocca non ci fu nulla da fare. Assalti ed assalti si susseguirono miseramente. E i giorni presero a passare senza qualunque valida prospettiva.

I primi freddi cominciarono, le nebbie fecero comparsa. Nella tema di trovarsi in campo al calare dell'inverno, i viscontei decisero alfine di sospendere le operazioni, salvo sfogarsi sulla gente di Castel Seprio, ritenuta responsabile di cedere il fortilizio con troppa facilità a qualunque avversario di Milano si fosse presentato in loco.

Ordinato così alla popolazione di abbandonare il borgo entro tre giorni, tra il 22 e il 23 ottobre essi lo misero a sacco. Dopodiché si allontanarono per ritornare in Città.

CASTEL SEPRIO SIA RASO AL SUOLO!

Nel 1286, credendo che Ottone Visconti ed il Comune di Milano avessero rinunciato ad impossessarsi di Castel Seprio, Guido da Castiglione, che lo teneva sempre in proprie mani, ritenne giunta l'occasione di potersene fare Signore. Per sua iniziativa, anzi, mentre la rocca veniva rafforzata, il borgo vicino dovette riprendersi validamente.

Era tuttavia una calma solo foriera di tempesta. Difatti nella notte fra il 28 ed il 29 marzo 1287, alcuni uomini dell'Ossola, assoldati dal Visconti e convenuti a Castel Seprio per la fiera mercato di S. Maria foris portas, introdottisi nella rocca, se ne impossessarono con un colpo di mano. Guido da Castiglione all'occasione scomparve, né da quella notte si seppe altro di lui.

E per togliere a Milano ogni ulteriore preoccupazione, pochi giorni più lardi l'Arcivescovo Ottone emanava un suo terribile decreto: Castel Seprio sia smantellato e perpetuamente tenuto tale, né alcuno osi o presuma di potervi ancora abitare. Un'imposizione destinata a perdurare sino al XVIII secolo!

Così, durante il successivo mese di aprile, rocca e borgo vennero completamente resi inutilizzabili. Solo gli edifici sacri e le annesse costruzioni poterono scampare a malapena all'inesorabile decisione.

DA ALLORA SINO A IERI

Privata della possibilità di risiedere nel borgo, da cui aveva preso il nome, e costretta a trovare sede nel vecchio Vico Seprio, la Comunità di Castel Seprio, con la distruzione di questo, perse naturalmente ogni diritto burgense per riassumere quello solo delle semplici Comunità rustiche o contadine.

Le rovine del castello, per qualche tempo, furono ancora frequentate, sia per il fatto probabile di avervi i vecchi proprietari immobiliari potuto conservare il mero possesso del suolo, sia perché fra esse rovine la plebana di S. Giovanni e le altre chiese esistenti erano state mantenute in funzione dal clero relativo. Ma alla lunga anche quest'ultimo cominciò a disertare sempre più il luogo, accentuando una tendenza già più volte manifestata in passato.

Nel 1582, pertanto, quando ormai del S. Lorenzo, per esempio, non si aveva neppur più traccia o ricordo, e il monastero di Torba era già stato abbandonato da circa un secolo, l'Arcivescovo di Milano Carlo Borromeo decideva di trasferire la Prevostura e i Canonicati di S. Giovanni Evangelista nella non lontana chiesa di S. Martino di Carnago, lasciando che in S. Maria foris portas rimanesse invece alloggiato un semplice cappellano, di poi allontanatosi dal luogo a propria volta.

A Vico Seprio - ove nel 1458 era pur sorta la chiesetta di S. Maria rotunda e poco più tardi sarebbe nata anche una cappella dedicata a S. Rocco - benché l'oratorio di S. Nazario e Celso fosse stato intanto ricostruito e trasformato in parrocchiale, questo trasporto di sede della antica plebanìa ebbe a originare fra i locali e i carnaghesi un'acerrima rivalità, per via di diritti sulla abbandonata basilica che sia gli uni che gli altri volevano propri. Sino a che, da parte dei primi, fra il 1845 e il 1855, si arrivò alla demolizione della stessa, onde cavarne pietre per una nuova rifabbrica di S. Nazario e Celso.

S. Paolo, dal canto proprio, era già stato tratto a terra fra il 1810 e il 1844; per cui, quanto mai fatiscente, fra le rovine del castello finì per restare la sola S. Maria foris portas, tuttavia destinata anch'essa ad essere in breve sconsacrata.

Nel 1842 per lo Stato e nel 1911 per la Chiesa, Vico Seprio, come già detto, mutò nome in Castel Seprio. Aggregata a Carnago nel 1928, la locale comunità avrebbe ritrovato una sua autonomia amministrativa solo nel 1947.

 

 

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ISSN 2284-3620

Ultimo aggiornamento: 19 aprile 2016