La fine
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CRONACA DI UNA FINE

 

Sotto altro titolo e con qualche precisa ma non sostanziale diversità di testo, il presente studio già fu oggetto di pubblicazione sulla «Rivista della Società Storica Varesina», fasc. XIII, aprile 1977.

MARZO 1287

Come finisse la campagna militare intrapresa dai milanesi nell'autunno del 1285 contro Castel Seprio - tenuta dai seguaci dei Della Torre e dai comaschi, chiamativi da Guido da Castiglione che ne era in possesso - è vicenda ben nota.

Fallito ogni assalto alla rocca, per le milizie ambrosiane tutto si era risolto nel mettere a spietato sacco il borgo relativo e nel ripiegare quindi, fra interni contrasti, sino a Busto Arsizio, ove il grosso, sul finir di ottobre, aveva fatto sosta al comando del Podestà Benzo da Lavello Lungo.

A Milano, i fautori dell'Arcivescovo Ottone Visconti, che in pratica deteneva il dominio della città, non s'erano però rassegnati allo scacco subito. Rinunciando a porvi rimedio immediato, l'intero Seprio occidentale sarebbe infatti rimasto esposto ad ogni iniziativa avversaria.

Raccolte forze fresche, vennero perciò riorganizzate quelle che già erano in campo. E nei primi giorni di novembre, fu deciso che il Carroccio - già ultimamente abbandonato come simbolo della Città e cuore della forza combattente, ma ora riesumato - si portasse a Rho, ove si sarebbe operato un nuovo concentramento preliminare.

I milanesi in effetti si avviarono per quella strada, ma per tornare sui propri passi poche ore più tardi e deporre per il momento ogni volontà di combattere. Lo stesso Benzo da Lavello Lungo, che ancora si trovava a Busto, dopo avervi lasciato un nucleo di fanti e balestrieri, faceva lui pure rientro in Milano. Evidentemente, dei contrasti dovevano aver giocato ad insabbiare le cose.

Nel mese successivo, sempre al comando del Podestà, la milizia milanese discendeva di nuovo decisamente in campo, puntando verso il varesotto attraverso un largo giro per Gallarate, essendone la strada più diretta, per Saronno e Tradate, probabilmente bloccata dai comaschi e dai torriani. Così il 16 dicembre essa raggiungeva Varese, dove alla truppa fu dato il soldo per sei giorni.

Mancano ulteriori notizie sul seguito degli avvenimenti. Tuttavia, per allora, Castel Seprio dovette rimanere ugualmente in saldo possesso di Guido da Castiglione. Ed il sopravvivere dell'inverno cristallizzò poi la situazione.

* * *

A Milano, nel frattempo, quello stesso gruppo di nobili che sin dal maggio precedente si era dato da fare per metter pace fra i contendenti, ed a cui certamente risaliva per vie traverse il riuscito rinvio della spedizione di novembre contro Castel Seprio, aveva proseguito con cautela nei propri tentativi.

Ottone Visconti, in fondo in fondo, desiderava molto di giungere ad un compromesso, ma coi soli comaschi e col Marchese di Monferrato non coi Della Torre, un cui rientro in Città avrebbe rovinato ogni suo piano per divenirne saldo despota.

D'altra parte, anche se gli si fosse potuta garantire una simile pregiudiziale. l'Arcivescovo doveva trovarsi bloccato, per quel che concerneva i comaschi, da una grossa remora di carattere psicologico.

Podestà di Como per il 1286 risultava essere quel Guido da Castiglione, che Ottone, nonostante fosse forse suo figlio adottivo, l'anno avanti, per via del rifiuto di consegnargli Castel Seprio e del concomitante passaggio in campo nemico, aveva bollato di spergiuro e traditore. Sicché la prospettiva di trovarselo di fronte nel corso delle trattative, come spalla di Loterio Rusca. da cui dipendeva tutta la politica di Como, doveva risultare per lui assolutamente intollerabile.
Quanto al Marchese del Monferrato. terzo formidabile elemento della coalizione avversaria, il Visconti, benché avesse di recente astutamente graziato in Milano alcuni favoreggiatori, non riusciva a cogliere il minimo cenno per un qualche dialogo.

Per i nobili, che volevano mediare fra i contendenti, le cose, insomma, non erano facili.

Alla fine pare comunque che Loterio Rusca si lasciasse indurre a trattare da una cospicua somma di denaro, mentre ad Ottone era fatta superare la remora psicologica. Così, per il 27 febbraio, a Biassono, Enrico Crivello con Giovanni Caimo ed Oliviero Marcellino - il qual'ultimo era zio di Guido da Castiglione - riuscivano a combinare un primo abboccamento.

Tra il 7 marzo, a Barlassina, ed il 30 successivo, a Lomazzo, altri incontri seguirono poi con pieno successo. Finché, il 2 aprile, ancora una volta a Lomazzo, i preliminari per una pace fra milanesi e comaschi poterono dirsi esser stati portati a conclusione.

* * *

Con l'acconsentire del Rusca al dialogo offertogli da Ottone Visconti. Guido da Castiglione è pensabile si fosse trovato sugli inizi in un grosso imbarazzo.

Quale Podestà di Como, egli non poteva assolutamente permettersi di ostacolare le trattative. Ciò sarebbe costato oltre una rottura con Loterio anche una possibile cacciata dalla città lariana, ove ultimamente Guido doveva aver appoggiato gran parte dei suoi interessi economici oltre che politici.

Di contro, come detentore di Castel Seprio - di cui si era fatto Signore e che ora continuava a possedere, sfidando la volontà di Ottone, in grazia della semplice alleanza coi comaschi e i Della Torre - il Castiglione comprendeva benissimo che una pace generale lo avrebbe portato a trovarsi solo davanti alle tenaci rivendicazioni milanesi.

Abile, spregiudicato, politicamente amorale, Guido è però probabile concludesse alla fine che in fondo gli sarebbe stato utile appoggiare i negoziati. E questo per influenzarne il corso, secondo un certo piano quale solo, secondo lui, gli avrebbe risparmiato il peggio.

Le fonti tacciono in proposito, limitandosi puramente a segnalare dei fatti. Ma è proprio in base a questi che noi possiamo intuire il suo giuoco. Altrimenti l'agire del Castiglione risulterebbe incomprensibile.

Ecco il piano.

Da un lato assecondare il Rusca nei suoi interessati propositi di pace, fingendosi magnanimamente disposto, in un più complesso quadro di accordi, pure ad una generica intesa circa la questione di Castel Seprio; dall'altro lavorare, senza alcuna apparenza, a che gli inviti a trattare rivolti da Ottone Visconti pure ai Della Torre, oltrecche al Monferrato, si appoggiassero a proposte del tutto inaccettabili.

In questo modo, senza inimicarsi Loterio Rusca, egli, Guido da Castiglione, si sarebbe presa la responsabilità di regolare poi personalmente la propria posizione in Castel Seprio rispetto a Milano; tenendosi di riserva, nel caso che il Visconti si fosse mostrato poco arrendevole, una nuova alleanza coi Della Torre e il Monferrato.

Il quale piano difatti andò puntualmente ad effetto.

Il 14 aprile, a Milano, ambrosiani e comaschi giuravano solennemente l'intesa raggiunta; come conseguenza della quale, mentre il Castiglione poteva tenersi Castel Seprio in attesa che venissero definiti i particolari della sua riconsegna a Milano, il Monferrato e i Della Torre si sarebbero trovati nella situazione oggettiva di respingere sdegnosamente ogni offerta di pace dell'Arcivescovo, non potendo in esse intravvedere l'uno la minima soddisfazione alle proprie pretese, gli altri alcuna possibilità di rientrare in Città.

All'occasione, il Castiglione fu addirittura fra i pubblici oratori, rivelando una mostruosa abilità nel dire e non dire. E il bello è che, se non tutti, almeno buona parte dei presenti sembrò credere al suo giuramento di osservare i patti stabiliti.

* * *

Nelle intenzioni dei nobili milanesi la pace fra i contendenti avrebbe dovuto avere due precisi scopi. Primo togliere a Ottone Arcivescovo ogni iniziativa politica; secondo bloccare la sua ascesa graduale alla Signoria di Milano, coll'impedirgli, grazie ad un ritorno delle cose alla normalità, l'accentramento di poteri da lui ultimamente operato a tutto scapito naturalmente delle antiche istituzioni cittadine.

Il disegno tuttavia era fallito in pieno. Proseguendo i Della Torre e il Monferrato nella lotta armata, il Visconti aveva avuto buon giuoco per continuare a sfruttare a proprio vantaggio lo stato di emergenza.

Donde l'esasperazione della classe nobile ambrosiana, delusa nei suoi disegni, frustrata, impotente.

Guido da Castiglione, per parte propria continuava abilmente a trascinare per il lungo la situazione di Castel Seprio. A parole, come già l'anno prima, egli si diceva disposto a definirla con la consegna del fortilizio; quanto a fatti tutto seguitava invece a rimanere sempre irrisolto.

Non sorprende pertanto che i nobili cittadini - pur avendo probabilmente anche capito il precedente ambiguo comportamento di Guido, ma ora pronti, comunque fosse, a sfruttarne l'agire - finissero ad un certo punto per fare del Castiglione il simbolo più concreto della loro opposizione antiottoniana. Un simbolo certamente da non approvarsi a chiare lettere, ma da sostenere in segreto, incoraggiare, aiutare.

Resosene conto, l'Arcivescovo fu così costretto a decidere. Prima che la fronda si organizzasse e si desse ritrovo in Castel Seprio. rinnovando il pericolo che il vecchio luogo già più volte aveva rappresentato per Milano come base di fuorusciti, di traditori, di avversari, occorreva che questo fortilizio venisse preso e distrutto.

Certamente il progetto non appariva facile a realizzarsi.....

Fingendo di chiedere un assenso alla magistratura politica di Milano, di cui il Visconti si sentiva ormai padrone ma non ancora completamente, l'Arcivescovo avrebbe messo Guido nella possibilità di conoscere le proprie intenzioni; quindi di chiamare per tempo in proprio aiuto i Della Torre, riaprendo un'avventura bellica che poteva essere imprevedibile. Agendo senza consultare chi di diritto, invece. Ottone avrebbe senza dubbio rinfocolato l'esasperazione dei nobili cittadini.

D'altra parte, quest'ultimo agire, costasse quel che costasse, appariva essere la sola via d'uscita. Nulla doveva essere fatto e organizzato in Milano che mettesse in guardia Guido e gli facesse adottare le misure del caso... Ma come ?....

Possiamo ben immaginare il rovello dell'Arcivescovo alla faticosa ricerca di una soluzione opportuna. Ed, infine, anche il suo intimo compiacimento al primo germogliare di una certa idea, allo sgrezzarsi di questa, al pieno formularsi. Continuasse, continuasse pure Guido da Castiglione a credere di poter tirare le cose per il lungo! - si compiacque alfine di pensare Ottone Arcivescovo. Senza fretta, senza nulla precipitare, questa volta per lui e Castel Seprio sarebbe arrivato un colpo mortale.

* * *

Quel che in realtà avvenne lo sappiamo si, ma per sommi capi. Onde corre soffermarci un istante ad esaminare la cosa.

Scrive il Calco: cum autem ver appeteret anni octagesìmiseptimi, quidam ab Ossola profecti in Castrum Seprium sunt; ubi sine suspicione hospitati, tranquilla enim erant omnia, arcem quinto kalendas aprilis occuparunt per proditionem. Ed il Corio, sempre sotto tale anno, racconta: un venerdì di notte, venendo il sabato, a ventiotto del mese di marzo... dai fautori dei milanesi fu preso Castel Seprio tenuto per Guido da Castiglione. Furono questi gli huomeni di Ossola ad istantia dell'Arcivescovo.

Prendendo da fonti a noi sconosciute, questi due autori milanesi degli anni a cavallo fra il Quattrocento ed il Cinquecento, furono i primi e gli ultimi per allora, a cosi descriverci la caduta di Castel Seprio. Ne in seguito altri, ambrosiani o lombardi che genericamente fossero, aggiunsero in pratica una riga in più....; sino al XVIII secolo, quando un semioscuro storiografo dell'epoca, il Bonaldo, ebbe finalmente a fornirci un particolare del più alto interesse, asserendo che la presa di Castel Seprio venne attuata da Ottone Visconti con l'aiuto di certi uomini d'Ossola vicini al Lago Maggiore, i quali infingendosi manovali et mercanti tedeschi eran dentro di quello.

Donde al Bonaldo sia ora pervenuta una simile dettagliata informazione è piuttosto difficile a dirsi. Più probabilmente gli vennero attraverso voci che ai suoi tempi ancor correvano nella bassa Ossola. In ogni caso questa informazione ha molti lati che sembrano veri; e a dimostrarcelo stanno rispettivamente un dato ed un fatto.

In valle d'Ossola esistono ancora oggi gruppi etnici di origine e lingua tedesca dislocati in Formazza, in Anzasca e ad Ornavasso. Mentre i primi due luoghi si trovano però assai lontano dal Lago Maggiore, Ornavasso non solo gli è più vicino ma è pure centro abitato dove già nel 1307 i Visconti possedevano le decime ecclesiastiche da almeno una generazione.

Non a torto il Bianchetti ritenne dunque che gli ossolani dell'Arcivescovo Ottone provenissero proprio da qui: una conclusione cui a tutt'oggi non sembra potersi muovere il minimo appunto.

Sviscerando ulteriormente la vicenda vien peraltro da chiedersi come vada interpretato quel per proditionem, vale a dire a tradimento, con cui il Calco, in modo tacitiano, qualifica la presa di Castel Seprio.

A parte il succo dell'informazione, fin dove le parole di questo autore possano cioè essere prese alla lettera, o comunque intese, resta in effetti materia del tutto opinabile. Tant'è che, elaborando e riassumendo i testi del Calco e del Corio, ma non del Bonaldo, evidentemente ignorato, il Giulini. nel XVIII secolo, e, rispettivamente, il Bognetti, pochi anni fa, trovarono modi diversi per fare arrivare gli ossolani a Castel Seprio e far loro compiere quel che in effetti compirono.

Discesi verso Milano ripartitamente, pochi per volta, i montanari della val d'Ossola, secondo il Giulini, si introdussero come a caso nel castello di Seprio.... ove.... quando furono in sufficiente numero, la notte del venerdì, giorno 28 di marzo.... venendo il sabato, nell'ora determinata sorpresero inaspettatamente la guardia della fortezza.

Per il Bognetti, al contrario, il colpo di mano dovette verificarsi sfruttando una circostanza sin qui a tutti sfuggita; vale a dire il ricorrere in quei giorni a Castel Seprio della festa patronale di S. Maria foris portas - l'Annunciazione, 25 marzo -, durante la quale ab immemorabile si teneva una fiera mercato bovina. Donde appunto il fingere di convenirvi per parte degli ossolani come mercanti a ciò interessati, ed il loro portare a termine l'incarico ricevuto dall'Arcivescovo Ottone.

In quel 1287, secondo il Bognetti, a causa del sacco subito un anno e mezzo prima, il borgo doveva del resto essere completamente in rovina: tanto che anche una mandria vi sarebbe stata mal sicura.... Conseguentemente, egli scrisse, siccome il mercante di bestiame.... ha tante ragioni di essere ben accolto e ben trattato dai proprietari terrieri e dai loro agenti (proprietari nella zona erano Guido da Castiglione e gli altri militi che dovevano aiutarlo a tenere il castello), non v'è da stupirsi se chi era venuto sin dall'Ossola.... potesse ricoverare la sua mandria dentro il castello. Le contrattazioni vanno poi, per il solito, un po' in lungo, continua; sicché quando cioè il grosso dei fedeli, venuto per la festa, sì è allontanato, non ci sarebbe stata che poca gente da sorprendere e sopraffare.... Cosi gli ossolani ricevuti nel castello potevano fare il colpo.

Ma tutta questa ipotesi regge un po' poco.

Tralasciamo pure di sottolineare che quando il Bognetti parla di castello intende dire la rocca; mentre il Calco ed il Giulini, e forse lo stesso Bonaldo, sembrano distinguere nettamente fra Castel Seprio come insieme e rocca quale sua parte.

Il fatto secondo noi è che questo ricoverarsi delle mandrie e dei mandriani dell'Ossola dentro il fortilizio non è per nulla convincente.

Anche prima della costruzione del borgo, bestiame e vaccari di qualunque provenienza fossero è credibile avessero sempre trovato sistemazione fuori dall'abitato, cioè presso S. Maria. Oltre che largo spazio qui doveva esistere possibilità di facile abbeverata, come ci vien detto in fondo dal nome stesso del vicino attuale bosco delle fontanelle.

Perché dunque Guido da Castiglione derogasse nel 1287 da questa norma, permettendo, anche se in quel momento le trattative con Ottone Arcivescovo sembravano tranquille, che degli stranieri venissero ospitati in massa nella rocca, ci riesce francamente del tutto incomprensibile.
Gli ossolani - che forse per la prima volta comparivano alla fiera mercato - passavano senza alcun dubbio per gente giunta a Castel Seprio da molto lontano; tuttavia, a parte il fatto che anche gli altri vaccari dovevano trovarsi in pressoché identiche condizioni, va considerato che la sicurezza del fortilizio non consentiva se ne dovesse tener conto alcuno.

Il Calco del resto, primo a scrivere dell'episodio, afferma soltanto che quidam ab Ossola.... in Castrum Seprium sunt; ubi arcem.... occuparunt; cioè non dice affatto che i mandriani vennero ospitati nella rocca. E per noi vale bene la pena di prenderlo alla lettera.

* * *

A questo punto necessita però di chiarire più che per il passato quale fosse in quel torno di tempo il vero stato di Castel Seprio.

Opinione corrente è che il relativo borgo avesse finito i propri giorni nell'autunno del 1285; il che a ben riflettere non ha alcun preciso fondamento.

Anzitutto quel che allora si verificò fu soltanto un sacco, spietato sin che si vuole ma puramente tale. E un sacco a rigor di termini non significa distruzione o cancellazione di tutto.

Giusto quanto sarebbe poi avvenuto nel 1287 anche entro la rocca, le chiese e i luoghi sacri dovettero per esempio essere risparmiati. E del pari varie abitazioni, seppur danneggiate o mal ridotte, sembra potersi credere restassero in piedi.

In secondo luogo - e ciò suona a conferma di quanto ora detto - è certo che una volta finito il saccheggio alcuni castelsepriesi fecero subito ritorno in luogo; mentre altri ne dovettero seguire l'esempio più lentamente, col tempo.

Il ritenere perciò che dopo il triste episodio questo borgo restasse abbandonato nel senso più stretto della parola è una veduta che non corrisponde alla realtà; tipo la tradizione orale, presa alla lettera, che i castelsepriesi fatti sfollare fuggissero in massa verso Milano.

Dunque bisogna intravvedere un quadro ben diverso. E questo è il seguente.

Nel marzo 1287 il borgo di Castel Seprio doveva ancora conservare evidentissime tracce della calamità toccatagli un anno e mezzo prima. Fossati, terraggio e porte relative probabilmente mostravano palesi segni di trascuratezza. Numerose abitazioni risultavano tutt'ora abbandonate o in rovina. Ma un iniziale riordino, un certo novero di intrapprese aveva indubbiamente avuto luogo. Un nucleo di popolazione vi si era ritornato, aveva cominciato a riorganizzarsi, a darsi da fare, a vivere secondo le proprie vecchie consuetudini. La situazione insomma era tutt’altro che di abbandono.

E anima, motore di tutto ciò non pare illogico ritenere fosse il medesimo Guido da Castiglione: per il quale se un restauro e potenziamento della rocca doveva aver costituito l'obbiettivo prioritario del suo permanere da Signore in Castel Seprio, tuttavia anche la ripresa del borgo è indubbio stesse grandemente a cuore.

La popolazione del luogo poteva infatti essere utilizzata per servizi cui la guarnigione della rocca non attendeva o non era in grado di assolvere. Da essa in caso di necessità potevano essere tratte braccia atte a portare armi, infine una stabile presenza di gente presso la rocca non avrebbe comunque potuto recare altro che dignità e nome al castello.

Il borgo di Castel Seprio in definitiva non doveva essere affatto spopolato e in completa rovina nel 1287, bensì in buona ripresa. E una ripresa cui non è escluso dessero il loro contributo pratico anche maestranze di muratori e carpentieri richiamati in luogo non soltanto per rafforzare e potenziare la vicina rocca.

* * *

Ecco perché la notizia del Bonaldo, secondo cui gli ossolani per effettuare il colpo di mano si ritrovarono in luogo oltre che come mercanti anche come manovali tedeschi, non va lasciata cadere, ma anzi deve essere presa in attenta considerazione.

Pur evidentemente ignorandola, diremmo che in fondo l'unico sino ad oggi ad aver bene intravvista la situazione locale in quei giorni sia proprio da considerarsi il vecchio Giulini; per il quale difatti questi estranei convennero a Castel Seprio come a caso, quasi, in altre parole, gli uni non avessero nulla a che fare con gli altri, e in modo da potersi trovare al momento opportuno sia nel borgo che entro la rocca.

Guido da Castiglione, da quel che intuiamo, era d'altronde tutt’altro che uno sprovveduto. Il supporre che fosse all'oscuro dei rapporti intercorrenti fra i Visconti e quei di Ornavasso vorrebbe proprio dire fare una comoda concessione.

Ne viene dunque che gli ossolani non si prestassero probabilmente a Castel Seprio come specificatamente di quel paesotto, bensì quali originari di varie altre località, tipo la valle Formazza o la valle Antigoro, in modo si da apparire per dei tedeschi ma esenti da sospetti quali invece avrebbero potuto sollevare dichiarandosi di Ornavasso.

Resta un particolare da vedere in questo episodio di storia.

Secondo l'uso generale delle fiere mercato medioevali è da pensare che quella di S. Maria di Castel Seprio durasse da un minimo di tre a sette - dieci giorni.
Nel primo caso il 27 marzo, sarebbe già stata l'ultima giornata. Nel secondo, al contrario, la fiera doveva essere ormai inoltrata ma non ancora alla sua fine. E questo in realtà ci sembra l'evenienza più facile, essendo altrimenti improbabile che gente venuta da tanto lontano - come gli ossolani dovevano tener a mostrare - convenisse a Castel Seprio per frequentare, senza dar sospetti un mercato della durata di sole settantadue ore.

* * *

Certi quadri, certe situazioni vanno viste al vivo, decisamente fuori da quegli schemi che la ricerca storica più seria considera come i soli validi, ma che d'altra parte hanno indubbiamente il difetto di rendere troppo spesso arida, inappetibile, asettica, la materia trattata.

Come già in altre occasioni anche qui vogliamo quindi tentare di ravvivare quanto sappiamo su quelle ultime ore di Castel Seprio con alcune rapide visioni, credibili anche se di indubbia fantasia....

Raccolti intorno a grandi fuochi, molti vaccari si accingevano ormai a passare la notte ancora fredda fra le loro mandrie dislocate per gruppi sul pianoro prospiciente S. Maria. L'aria era gelida, umida. Giù dal borgo, nonostante l'ora tarda provenivano ancora voci, rumori.

Nelle due - tre taverne del luogo, in qualche casa, alcuni mercanti, alcuni terrazzani si intrattenevano ulteriormente, in questi giorni insoliti per il castello, a passare il tempo intorno ad un bicchiere di buon vino.

Fuori, per le viuzze, buie o male illuminate da qualche torcia occasionale, si attardavano i soliti perditempo, gli ubriaconi di turno; mentre l'ultima ronda d'ordine del castello passava tenendo d'occhio l'insieme, tollerante e benevola.

Nel suo alloggio entro la rocca. Guido aveva a lungo discusso con alcuni dei suoi di varie questioni. Finalmente si era coricato per prendere sonno....

Si risvegliò d'un tratto per un non lontano confuso vociare, per un seguito di rumori stranamente insoliti nella notte. Contemporaneamente ecco un febbrile bussare alla porta della camera: «Messer Guido.... Messer Guido! Al tradimento! Al tradimento......»

Rivestitosi alla meglio e raccolti alcuni armati, il Castiglione si precipitò fuori. Giù presso l'entrata della rocca, alla luce di un incendio che divorava ormai il grosso edificio vicino, c'era gente che si agitava, si azzuffava con altra. Vari uomini del castello affrontavano degli estranei. Guido, subito, si affiancò a loro, per prestare manforte.... Ma gli estranei sbucavano dappertutto, aggressivi, pericolosi, facendosi forti della sorpresa. Qualche incendio cominciava a prendere anche più all'interno della rocca....

Stretti da ogni parte, ributtati indietro, Guido e i suoi uomini non poterono impedire che ad un certo punto il gran portale venisse aperto da qualcuno. E nuovi avversari, evidentemente in attesa del momento, vociando come ossessi, irruppero da fuori, armati di forche, randelli, al lume di rosse torce. Non c'era più nulla da fare. La partita era persa....

La superstite guarnigione della rocca era ora raccolta in gruppo, disarmata, davanti al S. Giovanni. Alcuni militi ancora faticavano a rendersi conto di quanto fosse capitato tanto era stata la loro sorpresa.

Grinte dure, decise, i todeschi d'Ossola - ormai riconosciuti come tali dalla loro parlata - facevano passare uomo per uomo, perquisendolo e richiedendone l'identità. «Chi di voi è Guido?». Nessuna risposta. «Chi l'ha visto?».

La ricerca venne estesa tra i corpi dei caduti, fra i feriti che ancora giacevano qua e là. Alcuni dei prigionieri furono addirittura spinti dagli ossolani fra gli edifici in fiamme per vedere semmai si trovasse qualche cosa. Nulla. Di Guido nessuna traccia.

* * *

Da quel che dice il Calco, il Castiglione fu buttato fuori da Castel Seprio; ma è chiaro come ciò possa anche intendersi che egli fu obbligato a fuggirsene. Se infatti fosse caduto nelle mani degli ossolani questi se lo sarebbero tenuto prigioniero per poi consegnarlo a Ottone Visconti.

Per quella notte dobbiamo così intravvedere Guido allontanarsi di soppiatto dalla rocca in fiamme, giù dalle parti di Torba, e, seguito da pochi fedeli, darsi a una precipitosa fuga verso il castello di Castiglione.

Tenace come era, vien pure da pensare che egli sperasse ancora in un'ultima rivalsa. La zona intorno a Castel Seprio risultava in fondo controllata da gente a lui legata per via di residui vincoli a carattere feudale o di nuovi interessi. Anche se in mano ai milanesi il castello avrebbe potuto essere isolato da una ben organizzata guerriglia, si da renderne a lungo impossibile il possesso....

Ma resosi evidentemente conto della vacuità della cosa, il Castiglione dovette alfine decidere di abbandonare la partita. E da quel momento scompare. Né di lui si sa oltre.

* * *

Subito dopo la presa della rocca e il sacco che, probabilmente, nella stessa notte, coinvolse pure il vicino borgo, gli ossolani avevano inviato una staffetta ad Ottone. Che dovevano fare ora? Necessitavano istruzioni ulteriori.

Difatti già nelle ore successive un nucleo di fedelissimi dell'Arcivescovo arrivava sul luogo per prenderne possesso.

Ora si trattava di mettere in atto l'ultima fase del piano concepito: il diroccamento di Castel Seprio e la promulgazione di un editto che ne vietasse in perpetuo di abitarvi.

Ottone sapeva perfettamente - e già ne abbiamo visti i motivi - che questo gesto avrebbe sollevate reazioni; ma pur sapeva che per l'indecisione dei suoi avversari cittadini tutto sarebbe finito al massimo in una sterile protesta.

Quanto alla mano d'opera per la distruzione del castello egli l'avrebbe trovata proprio tra le stesse genti del contado, evitando con questo di doverla reperire in Città.

Un aiuto del genere sarebbe stato indispensabile per il passato; ora tuttavia non più. E Ottone freddamente lo aveva compreso. Col graduale emanciparsi dei vari loci in liberi comuni rurali, parecchie genti della campagna avevano infatti rotto quei vincoli di dipendenza dal partito nobile che erano stati per questo una delle più grandi risorse di forza.

Attori loro stessi delle proprie libertà, queste genti avevano d'altra parte intravvisto nuovi orizzonti, nuovi interessi, adattandosi molto bene ad una vita economicamente ed amministrativamente legata alla vita stessa di Milano anziché, come per l'addietro, a quella di piccoli centri locali, tipo Castel Seprio appunto, la cui fine, del resto già da anni era da tutti quanti sentita nell'aria.

Donde una maggior disponibilità verso chi nella Città detenesse il potere, per il semplice fatto che da questi medesimo dipendeva in fondo anche la quiete e il progresso nelle campagne limitrofe.

Assoldati badilanti, sia del Seprio che della Martesana, e postili accanto ad esperti guastatori, l'Arcivescovo non esitò dunque a ordinare che Castel Seprio venisse distrutta. Castrum Seprium destituatur et perpetuae destructum teneatur et nullum audeat vel praesumat in ipso monte habitare.
Costretta da supponibili ordini, se non già in parte dagli avvenimenti della notte sul 28 marzo, la popolazione di Castel Seprio abbandonò in tal modo definitivamente la propria misera terra.

Parte dovette soffermarsi, almeno per qualche tempo, nel non lontano Vico Seprio, ridivenuto il centro del piccolo ambito territoriale già stato suo sin da tempi immemorabili; parte invece si disperse per i paesi circostanti.

* * *

Poiché nel 1287 la domenica di Pasqua cadde il 16 aprile è probabile che, per rispetto alla Settimana Santa, Ottone Visconti desse il via allo smantellamento di Castel Seprio solo nei giorni successivi.

Come si dovette procedere ora in questo lavoro? Mentre incendi sistematici e pochi colpi di piccone è pacifico che rendessero in breve il borgo inabitabile, ben altri metodi e ben più tempo furono invece richiesti per smantellare la rocca.

Procedendo in più punti contemporaneamente, ecco quindi guastatori e badilanti dar mano in un primo tempo alle difese periferiche - cortine di mura e torri - poi agli edifici interni, dai più solidi ai meno.

Per le mura il sistema delle altalene dovette al solito rivelare la propria già nota efficacia distruttiva.

Un insieme di grosse pietre, ricavate dalle prime demolizioni e imbrigliate in una rete di canapi, veniva sospeso ad un elemento di merlatura o a qualche grosso appiglio e lasciato pendere sino a mezza altezza della parete interna. Dieci - dodici uomini per volta, tirando a sé, con altro canapo, il carico sospeso, lo allontanavano quindi dalla verticale per poi mollarlo di colpo. Le pietre imbragate ritornavano così indietro pesantemente; e, tendendo a proseguire per inerzia oltre il loro arco di traiettoria, finivano per urtare la sottostante muratura. L'operazione era ripetuta due, tre, più volte, se occorreva. Alla fine squassata dagli urti, la struttura muraria si sgretolava, si incrinava, crollava. Pochi ulteriori colpi di piccone e il lavoro era finito. Non occorreva demolire ogni metro di muro; bastava, fra torre e torre, praticare grosse brecce, e l'effetto praticamente poteva dirsi raggiunto.

Per le torri, i torrioni e altri robusti edifici dovettero invece aver largo impiego le incastellature a perdere, messe in opera con legname tratto dai vecchi boschi dei dintorni.

Scelto un angolo, uno spigolo o un punto strutturalmente fondamentale, lo si puntellava a spinta, rimovendone e asportandone poi, al di sotto, la relativa muratura; fino a praticarvi una breccia o un danno calcolato, irreparabile per la stabilità della costruzione stessa. A questo punto l'incastellatura era riempita con fascine, cui si dava fuoco; e, col crollare del tutto per combustione, ad un certo momento crollava pure l'intera fabbrica soprastante, o parti indispensabili di questa. Non necessitava molto altro: un edificio ben lesionato era come distrutto.

* * *

Il mese di aprile era ormai sul finire. La giornata era tersa, di incipiente primavera.

Considerando il lavoro quasi portato a termine dagli uomini alle sue dipendenze, il Maestro guastatore, incaricato da Ottone Visconti di curare lo smantellamento di Castel Seprio, andava rivedendo ad un tempo le varie fasi, le difficoltà incontrate, il risultato conseguito.

Ora non rimaneva che ben poco da compiere. Salvo le chiese e gli edifici annessi, che l'Arcivescovo aveva voluto fossero risparmiati, rocca e borgo erano ormai ridotti ad un immane cumulo di rovine, rapidamente destinate a farsi semplici macerie. Ci avrebbero pensato le piogge, il solleone, il gelo, le nevi, i venti invernali.

Concedendosi una breve pausa di faticato riposo, il Maestro guastatore sedeva su di un grosso blocco di muratura diroccata e sbocconcellava pane e una cipolla. Uno stridio improvviso nel cielo gli fece volgere gli occhi verso l'alto.... Come ogni anno le prime rondini tornavano ai loro nidi. Ma questa volta a Castel Seprio non ne avrebbero ritrovati.

Anche la rocca di Castiglione subì in quei giorni le conseguenze della fallita politica di Guido: caduta in mano ai milanesi, fu infatti smantellata.

Qualche anno dopo tuttavia essa potè risorgere nuovamente. Castel Seprio al contrario rimase per sempre preda del tempo.

 

 

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Ultimo aggiornamento: 19 aprile 2016