Arduino da Pombia
Nota introduttiva
di Ferruccio F. Ferrazza
Nel preparare questo numero della rivista ho volutamente cercato anch'io
di entrare nella storia di Arduino, per verificare se vi fossero elementi che potessero
essere presentati al lettore a corredo dello studio di Giuseppina Ferazza.
Ho così scoperto quanto sia controversa e diversificata la prospettiva nella quale gli
storici pongono la figura di Arduino.
Ho ritenuto quindi opportuno inserire a puro titolo esemplificativo questi due brevi
estratti, che presentano un contrasto critico, e decisamente impietoso, nei confronti
dell'immagine viceversa più umana che ci illustra l'Autrice.
da "Storia d'Italia" di Indro Montanelli
RCS Quotidiani - Milano 2003
Gl'Italiani dell'anno Mille dovettero quindi accogliere con un certo
stupore la notizia che a Pavia era nato un Regno d'Italia con un Re italiano che non
s'identificava più con l'Imperatore tedesco, né era da lui delegato.
Un Imperatore tedesco in quel momento non c'era. Ottone III era morto senza eredi. E solo
dopo un bel pezzo i grandi feudatari della Germania riuscirono a mettersi d'accordo sulla
persona del successore: Enrico II, ultimo della dinastia di Sassonia. Fu appunto in questo
intervallo che un signorotto piemontese si collocò sulla testa, senza chiederne il
permesso a nessuno, la corona di Re d'Italia e pretese darle un significato
d'indipendenza.
Questo «primo italiano», come poi lo chiamarono alcuni storici malati di nazionalismo,
era Arduino d'Ivrea, che d'italiano non aveva nemmeno il sangue: apparteneva a una
dinastia tedesca calata in Italia forse coi longobardi, forse coi franchi, e
impiantatavisi da padrona per diritto di conquista. Arduino aveva ereditato dai suoi
guerrieri antenati il coraggio, la rozzezza, la prepotenza e l'ambizione. Nella lotta per
il potere sul suo Marchesato, aveva dovuto vedersela col Vescovo di Vercelli. Lo ammazzò,
ne bruciò il corpo, ne distrusse la cattedrale e ne incamerò le terre, che gli erano
state donate da Adelaide.
Ottone III, ancora vivo in quel momento, lo ammonì. Papa Silvestro II lo minacciò di
scomunica. Ma Arduino non si lasciò intimidire né dall'uno né dall'altro. Spogliò dei
suoi possedimenti anche il Vescovo d'Ivrea. E quando quello di Brescia si rifiutò di
rendergli omaggio, lo prese per i capelli, lo sbatté a terra e lo riempì di calci.
Questi erano i costumi e gli umori del tempo anche nel mondo dei grandi Signori.
Arduino non era affatto un patriota e non pensava minimamente all'Italia, quando se ne
fece audacemente acclamare Re da un'assemblea di feudatari piemontesi. Era soltanto un
arrivista che badava a innalzare il proprio rango, Però non gli mancavano né l'audacia
né l'accortezza. Per trovare proseliti, aizzò i piccoli vassalli contro i grandi
feudatari, il basso clero contro quello alto e i sentimenti xenofobi del popolino contro i
tedeschi. In parte ci riuscì. Quella lotta su due fronti, contro i Vescovi da una parte e
la nobiltà imperiale dall'altra, gli valse parecchie simpatie nel piccolo ceto medio di
città e di campagna. Nel 1003 batté un contingente tedesco mandato da Enrico II a
saggiare il terreno, e lo costrinse a ripassare le Alpi. Ma quando l'Imperatore calò di
persona alla testa di un forte esercito, Arduino si trovò solo.
Enrico venne a riprendersi la corona a Pavia nel 1004, Però, una volta in città, le sue
truppe furono assalite dalla popolazione e costrette a ritirarsi. Rientrarono in forze il
giorno dopo, saccheggiarono, incendiarono e uccisero. Arduino, arroccatosi nel suo
castellaccio sopra Ivrea, non rinunciò al suo titolo né alle sue pretese. Partito
Enrico, tornò a Pavia e seminò il terrore con le sue spedizioni punitive contro
Vercelli, Novara, Como. Solo la vecchiaia e gli acciacchi vennero a capo della sua
ostinazione. Stanco e malato, lirriducibile mangiapreti bussò alla porta
dell'abbazia di Fruttuaria che lo accolse caritatevolmente. Morì nel 1015, senza neanche
lontanamente immaginare quale mito avrebbe fatto di lui la storiografia nazionalista.
Di altro tenore questa pur semplice ma efficace sintesi.
da "L'Italia storica" - Collana Conosci l'Italia vol. V
Touring Club Italiano, Milano 1961
Il figlio Ottone III perseguì con tenace impegno, durante la breve
sua vita, l'ideale programma della Renovatio imperii, nel quale alle aspirazioni di
purificazione della Chiesa si univa la volontà di ricostruire l'unità e la grandezza
dell'Impero cristiano. Centro dell'Impero rinnovato doveva essere, per Ottone III, Roma,
il cui mito aveva completamente conquistato la mente e l'animo del giovane imperatore. Ma
decise opposizioni, sia fra i Tedeschi, sia fra i Romani, gli impedirono di attuare il suo
disegno, anche se gli riuscì di domare in parte le pretese della famiglia romana dei
Crescenzi che miravano a fare del papato uno strumento della loro potenza.
Di questa particolare debolezza dell'Impero e della Chiesa approfittarono i grandi
feudatari italiani, che dettero alla morte di Ottone III come re d'Italia Arduino,
marchese di Ivrea (1002), sin dal tempo di Ottone III fiero nemico dell'Impero. Ma scese
in Italia Enrico II di Sassonia, duca di Baviera, successo nel 1002 a Ottone III sul trono
di Germania: egli sconfisse Arduino sul Brenta e fu subito incoronato a Pavia re d'Italia
(1004); costretto però a ritornare in Germania, il potere passò, tra continue lotte, ad
Arduino, finché tornato Enrico II per la incoronazione imperiale nel 1014, Arduino,
stanco e convinto forse di non poter resistere all'imperatore, si ritirò nell'abbazia di
Fruttuaria, dove morì nel 1015.
Il saggio storico di Giuseppina Ferazza Politi
NOTA DELL'AUTRICE
Pochi, dicendo di Arduino - e neppure negli anni della sua ritrovata
fama - si sono fermati a considerarne i tempi giovanili o i legami che alla terra di
Pombia lo dovettero avvincere.
Ribadendo che le notizie su questo personaggio sono scarse e fumose, ne
riporto quelle inoppugnabili, usando invece il tempo condizionale per quelle intuibili che
sono peraltro e certamente le più gradite ed intriganti per i pombiesi innanzitutti e per
gli abitanti del Novarese, del Piemonte e della Padania in generale.
Senza voler essere un testo storico, questo lavoro non è tuttavia un
romanzo e niente vi si troverà di inventato o di improbabile.
Spero che possa giovare alla diffusione di un risorto interesse per
lantica rinomanza, la storia e la bellezza di un angolo della provincia novarese,
senza togliergli la suggestione dessere rimasto in buona parte comera, con
qualche mistero e molti si dice....