SOPRAVVIVENZA DI UN MITO

 

Nel Canavese …

 

Sono ancora parole di G. M. Musso:

L’antico contado è singolare e vivo nella sua entità storica, geografica e sociale, per uomini, eventi, tradizioni civili.

Fra le strette, fosche gole della Valle dell’Orco, allocuzioni e scomuniche di Vescovi, e sentenze di Sinodi contro gli Arduinici, ormai spoglie delle loro spaventevoli intenzioni, si rinnovano negli echi ubbidienti, come fantasiosi affascinanti brani letterari, insoliti ornamenti incastonati nel tipico paesaggio alpestre.

 


La Rocca di Sparone, nella vallata dell’Orco.

 


A Pombia...

 

... il figlio di Dadone rivive nelle suggestioni dei luoghi non mai contraffatti: nei resti del castello, nella Chiesa severa, nell’antica solenne pace che qui ancora si può cogliere tramite una religiosità che non s’è fatta troppo “moderna” nel senso deteriore del vocabolo e che continua, rispettata, ad indicare altissimi traguardi di vita. Vita cosciente dei suoi diritti e che, non immemore né cieca, è anche in grado di concludere che, qui come altrove, ad Arduino mancò la chiaroveggenza di prevedere che i tempi maturavano per i Comuni.

 

La Chiesa comprese e partecipò ad alcuni movimenti che prelusero l’insorgenza dei liberi Comuni, ed è stata, ed è, ben compresa nel proprio ruolo che l’ha vista antesignana e poi sempre vigile nella difesa delle umane dignità.

Tuttavia, quando - all’alba del nostro secolo - la plebe poté compiere le scelte che la rendevano parte in causa e non più esaltata o avvilita a seconda degli interessi, delle generosità o delle meschinità dei Signori che la governavano, Pombia si dette la sua campana nella Torre civica.

Fu forse la sopravvivenza dello spirito ribaldo di Arduino ad ispirare la scritta: “Pombia libera dai nobili e dal clero inneggia al Comune conquistato”?

La seduzione della “disobbedienza” che gli Italiensis del Mille opponevano da quasi un secolo e che aveva coinvolto in questa terra Liudolfo, Arduino e poi Guglielmo da Volpiano tra altri minori il cui nome la Storia trascura, continuò e continua a trovare vibranti sostenitori.

“Queste contrade non godettero mai l’immemore felicità delle genti che non hanno storia” è stato scritto.

Qui i secoli non scivolarono inerti e silenziosi.

I moti dei seguaci di Arduino continuarono dopo di lui, assumendo colorazioni che adesso sarebbero definite “sociali”, taciute dalle cronache ufficiali e trascinatesi a lungo.

Dopo la meteora arduinica ci furono infatti lunghe ed estenuanti schermaglie complessivamente definite Guerra del Tuchinaggio dal noto motto “Tucc un” (Tutti uno, tutti uniti) promossa dai villani insorti contro le angherie e le prepotenze dei vassalli minori facendo propria l’insegna del mitico Re.

Furono vicende terribili che raserò al suolo i castelli ed estinsero vecchie famiglie, innalzandone altre e riuscendo a volte a modificare caratteri, usi e costumi locali.

 

Questa terra che pare oggi promettere solo pace, sa fors’anche tutt’ora farsi covo per ribellioni, oppure luogo di sosta per sospirate rivincite che alternativamente si contrappongono?

Ancora una volta non si può rispondere che con un “Chissà”!

 

Di fatto, anche nei tempi calamitosi dell’ultima guerra mondiale e, di recente, in quelli che hanno visto la nascita e lo sviluppo di eversioni mutatesi in terrorismo nazionale prima e in pentitismo poi, qui vissero o sostarono personalità inquietanti sulle quali i giudizi sono prematuri.

 

Di Arduino si tende oggi a privilegiare l’ipotetico ruolo di campione e difensore di popolo, lasciando in secondo piano il suo essere stato Re e poi Monaco.

Nella sua ombra si integrano adesso i rintocchi dei sacri bronzi che chiamano alle Funzioni religiose con quelli simbolici della campana municipale che ricorda i doveri e i diritti della Libertà, le responsabilità morali unite a quelle della partecipazione.

Ribadendo la mai smentita vocazione all’indipendenza di giudizio fusa alla reverenza ai valori incancellabili, i pombiesi potrebbero tradurre nel dialetto, finora poco mutato in mill’anni, il motto arduinico che, sul cartiglio del suo stemma araldico, lega un mazzo di cinque picche e dice SANS DESPARTIR.

“Sanza spartiss” , insomma, ed anche “Tucc un”.

Ognuno magari con le proprie opinioni, comunque e sempre uniti.

 


La torre civica del vecchio Municipio, oggi Scuola