IL MONACO

 

Con la fraterna solidarietà che non gli aveva mai negata, il fratello Amedeo lo accompagnò all’Abbazia della Fruttuaria.

Il tempo che restava fu qui santamente vissuto.

Possiamo bene immaginarlo nell’ombra della Fruttuaria sul cui altare depose le insegne regali e tra le cui mura vestì l’abito monastico, abbandonandosi alla meditazione e alla quiete che il mondo gli aveva negato.

Lo scrittore contemporaneo Gian Maria Musso del quale sono state riportate in queste pagine molte opinioni, gli ha dedicato importanti lavori. Immaginandolo dall’aldilà invocare la moglie Berta, l’attore che impersona il Re nell’opera teatrale “Arduino d’Ivrea” sospira dal letto di morte:

Berta, mia Berta, ascoltami. Non mi senti?! Già, le voci dei morti sono fatte di silenzio e di luce e non giungono ai vivi. E la mia, Berta, è voce di morto. Ma, io ti parlo anche se so che le mie parole  non ti arrivano all’orecchio. Sono le stesse parole che tu pensi, le stesse che tu vorresti che ti rivolgessi. In cielo, San Tegolo - oh, quanti Santi ho incontrato in poche ore! - mi ha restituito il manto, la corona, la spada, gli speroni, il cavallo. “Sei un re” mi ha detto San Tegolo “e come tale sarai ricordato sulla terra”. Quanti imperatori e re ho conosciuto! Pipino, Carlo Magno, Lotario, Berengario I, Berengario II. San Tegolo mi ha poi subito detto: “Quassù conserverai la tua figura di regnante. Il saio di monaco ti coprì il corpo ammalato e sofferente solo per darti il tempo di prepararti ad entrare nel Regno dei Cieli. Il saio non ti serve più”. E me lo ha tolto di dosso quasi strappandolo.

Berta, mia regina, tu sei la mia famiglia. E così mio fratello Amedeo. Il soldato è il mio esercito. La popolana il mio popolo fedele. Un gruppo, il tuo, che esprime, conservandoli integri, tutti i miei cari e segreti sentimenti di uomo, di capitano di milizie, di statista. Di re, insomma. Di un re autentico, legittimamente eletto.

Berta, non credere che io continui a recitare caparbiamente sulla scena della storia la parte di Arduino d’Ivrea. In Cielo la finzione non esiste. E nemmeno la. realtà. Esiste solo il Cielo, e cioè la verità. Sono cose, queste, che i morti non possono spiegare ai vivi. Le imparerai a suo tempo. Ti aspetto, Berta, ma non ti affrettare. Prima di raggiungermi quassù, vivi interamente la tua esistenza terrena, nel mio ricordo. Nel ricordo del nostro immenso, reciproco affetto. Mia regina! Mia sposa!”

 

Il 14 dicembre 1015 (il 29 ottobre secondo C. Balbo), alla Fruttuaria, nel nome invocato dì San Tegolo che ne era il patrono, si apprestavano le esequie alla salma del monaco Arduino.

 

Lasciamo ancora al Musso le parole conclusive per un giudizio che mi sembra pertinente, pietoso ed anche giusto:

Ma chi fu veramente Arduino? Poco o nulla sappiamo dell’uomo, dei suoi affetti, dei suoi sentimenti; lacunoso, spesso arbitrario, risulta ogni suo ritratto, e ciò per marcata precarietà di fonti, per sospetta credibilità di cronisti, per evidente partigianeria di storici.

Non dobbiamo forzare i particolari e i riflessi delle sue vicende, e tanto meno valicare, nell’esame della sua oscura quanto complessa personalità, i confini segnati dai documenti veri, rintracciabili con fatica nella fitta selva di quelli apocrifi, poiché faremmo un cattivo servizio alla storia e a un suo, seppur minore, protagonista.

Non c’è grande romanzo nella sua esistenza, e le poche cronache obbiettive che lo tramandano ai posteri sono o incomplete, o aride e confuse, e quasi sempre amplificate da una favolistica popolare ingenua e compiacente. Cosicché Arduino è conosciuto come una figura enigmatica, la cui personalità presenta elementi costitutivi fra di loro antitetici. Al tempo stesso episcopicida e “santo”, crudele e misericordioso, avido di ricchezze e munifico, peccatore e penitente, potente e indifeso, egli nasce da una realtà storica ora umiliata ora esaltata dalla fantasia quasi sempre parziale di scrittori d’ogni secolo.

Il suo carattere, duro come la roccia dei monti canavesani, è a volte - rare volte - imprevedibilmente mite come il profilo dei suoi luoghi nativi.

Arduino … un “grande” in formato ridotto, e non per carenza di autentiche doti di fondo, e nemmeno per l’ibrida qualità dei tempi in cui visse, bensì per un’espressa sua incapacità di saper sfruttare con prontezza la favorevole circostanza d’essere re d’Italia, e in misura e modo tali da respingere insensatamente i fermenti politici ed economici che pullulavano copiosi ed urgenti.

Soldato coraggioso e capitano valente ed esperto, nutrì, è ovvio, ambizioni, ma non cosi vaste e forti come le ebbero Alessandro il Macedone, Giulio Cesare, Carlo Magno: ambizioni, le sue, non sempre convinte; più formali che di contenuto, più native che coltivate.

Lungi da noi l’intenzione, nell’indicare nomi di grandi condottieri, di avanzare paragoni o di proporre “parentele” di uomini e avvenimenti, gli uni e le altre in sommo grado esagerati, e che tornerebbero di tutto danno ad Arduino, straordinario personaggio del Mille, che sta a sé, in un angolo, come se la storia stessa, sovente così severa da sconfinare nell’ingiustizia, l’abbia posto in castigo per colpe non bene definite, attenuate da meriti pur essi vaghi, nebulosi.

Un piccolo re, figlio di Dadone, Conte di Pombia.

E tale egli volle essere con inspiegabile caparbietà, ignaro forse dei significati e delle illazioni del suo istintivo gesto di indipendenza.

Arduino, per uscire a testa alta dalla scena del mondo veste il saio, non il manto regale; sceglie la meditazione e la preghiera, non la spada e i gridi guerreschi.

Di questo suo estremo atto si commuove financo Enrico II”.

 

Infatti, l’Imperatore dirà:

Solo la mia fortuna ha superato Arduino; la virtù di Arduino supera Enrico.

 


Una interpretazione del volto di Arduino