TEMPESTA SUL RE

 

A Pombia, Guiberto era rimasto a godersi la sua Contea.

Aveva numerosa famiglia. Da questo “seme del Conte Guiberto” (Baudi da Vesme) “discenderanno i Conti di Valperga, di Masino e di San Martino, oltre che i Conti di Biandrate nel Novarese e i Conti Bardi nel Piacentino.”

Le pesanti responsabilità e specialmente l’opportunismo indussero Guiberto a schierarsi contro il fratello e ad appoggiarsi all’altro fratello, Gualperto, insediato nella Curia di Novara.

Anche il padre di Berta fu contro Arduino, suo genero.

Perinzia si occupava dei numerosi figli tra i quali Guglielmo che, ormai giovinetto, propendeva invece apertamente per lo zio e che, più avanti, sarebbe divenuto famoso come Abate nel Monastero Divionense prima e poi alla Fruttuaria dove Arduino avrebbe cercato la pace di lì a pochi anni.

 

Probabilmente, le classiche rivalità tra il successore ai beni paterni e il cadetto furono vive anche in questa famiglia. Guiberto temette che Arduino, tanto più dotato ed audace di lui, potesse rivendicare i propri diritti sulla terra comune.

Al momento, nel periodo di assenza di un governo dell’Imperatore che tutto supervisionava, l’attuale Conte di Pombia sentì che il suo potere e fors’anche la sua sicurezza erano minacciati.

Ma Arduino, che comunque improbabilmente avrebbe compiuto azioni di forza contro i suoi, aveva ben altre ambasce che lo contristavano.

 

I Feudatari che lo avevano eletto erano lontani dal credere che la regalità rappresentasse un’autorità molto superiore alla loro e continuavano a considerarlo un Marchese loro pari.

I Feudatari minori, disturbati dalla sua vicinanza troppo autoritaria e dai controlli ch’egli poteva effettuare, quasi rimpiangevano l’Imperatore tedesco che aveva il pregio d’essere lontano.

Arduino, dunque, compiuto il sopralluogo nel suo Regno (così come ci ha detto Gregoriovius) si rese conto che il territorio era vasto ed infido.

Egli poteva contare con certezza sulla dedizione della moglie Berta e dei figli - primo tra tutti Ardicino che non s’era lasciato allettare dalla successione al padre ordinatagli da Ottone III - oltre che su quella, sincerissima, del fratello Amedeo che non dubitò mai del suo giusto operare.

Quanto ai giovani, sempre prevalenti tra i suoi seguaci , essi ebbero sempre forte e fermo l’ideale di sottrarsi dalla dominazione germanica e continuarono a seguirlo con sicurezza d’intenti, spronandolo e sostenendolo.

 

Intanto, in Germania era stato eletto Enrico (o Arrigo) di Baviera, cugino del defunto Ottone.

Prese il nome di Enrico II. Sarebbe stato canonizzato nel 1146. Prima che finisse l’anno 1002, scese in Italia per fronteggiare Arduino che sapeva ormai di non poter più far troppo conto sui vecchi alleati, ora riunitisi a suo danno sotto la guida di Ottone, Duca di Carinzia e Conte dì Verona. Costui si armò contro di lui e lo affrontò tra la fine del dicembre 1002 e i primi del gennaio 1003.

La battaglia al Campo della Fabbrica, nella Valle dell’Adige, ebbe momenti epici: le fedeli milizie della Marca d’Ivrea insieme a quelle di qualche Feudatario amico e aiutate dai Valvassori ostili ai Vescovi, combatterono valorosamente, guidati da Arduino in persona che si dimostrò abile stratega ed audace combattente  e riuscì a mettere in fuga Ottone di Carinzia, costretto a ripassare le Alpi. Arduino s’impadronì addirittura della Marca di Verona.

La brillante vittoria sembrava aver aperto le vie alla pace.

 

Ma i Vescovi che già s’erano rivolti ad Enrico II definendo Arduino con gli epitteti di “episcopicida” e “sanguine sitibundus”, continuarono a tramare contro lui.

Pochi mesi di tregua.

Poi, con la primavera che sgelò i passi alpini e rinvigorì gli animi, Enrico giunse personalmente in Italia, stavolta con un proprio agguerritissimo esercito.

Senza quasi dover combattere a causa delle molte defezioni nelle truppe di Arduino, e, anzi, con gli omaggi e gli appoggi dei Vescovi e dei cittadini di Verona, Brescia, Bergamo, oltre che dei convenuti Arcivescovi di Milano e di Ravenna, l’Imperatore ricevette a Pavia la corona d’Italia e fece soffocare la rivolta contro di lui ch’era scoppiata violenta e animosa nella notte successiva all’incoronazione.

 


Enrico II
da “Del Regno d’Italia sotto i Barbari” di E. Tesauro, Torino 1664