IL MARCHESE “RESISTENTE” DIVENTA RE

 

Arduino non si lasciò intimidire da Ottone, né, successivamente, da Gerberto d’Aurillac, maestro imperiale divenuto Arcivescono di Ravenna e quindi - come detto - Papa col nome di Silvestro II.

Non volendoglisi riconoscere le esenzioni passate a Leone e riguardanti Vercelli e Santhià (quest’ultima già una grossa borgata) egli trovò molti partigiani tra i nobili di città. Questi, chiamati “Primi Militi” e venuti spesso a conflitto con i Vescovi diventati loro Signori, trovarono conveniente appoggiarsi a lui.

Arduino si recò dunque a Roma, convinto di riuscire a fare annullare dall’Imperatore le concessioni a Leone, ma lo stesso Vescovo in persona lo aveva preceduto in lamentele e proteste, cosicché, venuto per reclamare giustizia, Arduino si trovò a dover rendere conto dell’uccisione di Pietro avvenuta tre anni avanti.

Nel 999, davanti al Sinodo presieduto dal Papa e dall’Imperatore Ottone III, il Marchese si difese appassionatamente, ma la sentenza gli fu contraria e da Silvestre II fu condannato a gravi penitenze:

“Non riceva il corpo del Signore
se non in fin di sua vita.
E in tal luogo faccia, penitenza
dove non possa offendere
veruno di quelli che contro di lui
fecero giuramente.
Oppure si faccia monaco sull’istante”.

Non solo. Si aggiunse:

“Deponga le armi. Non si cibi di carne. Non dia bacio né ad uomo né a donna. Non si vesta di lino. Se sarà sano, oltre due notti non rimanga nello stesso luogo”.

I suoi titolo ed averi furono passati al di lui figlio, Arduino detto Ardicino, e molti dei suoi beni in terreni andarono al Vescovo Leone al quale furono altresì concessi i due Comitati di Ivrea e Vercelli, con tutti i poteri fino ad allora esercitati dai Conti.

 

Lo sbandito, tornato da Roma nelle terre ch’erano state sue, era ben deciso a resistere agli ordini imperiali. Raccolse intorno a sé anche i Secondi Militi - cioè i nobili di campagna - che anelavano, per dirla con Baudi da Vesme “al riconoscimento dell’ereditarietà dei loro uffici e che egli con grandi promesse andava sobillando”.

Ottone III si trasferì a sua volta in tutta fretta a Pavia, dove convocò Ardicino, il figlio del reprobo, il quale, di notte e col favore del Conte di Pavia e del Conte del Sacro Palazzo - vale a dire con la connivenza delle autorità sia laiche che religiose - se ne fuggì dalla capitale e riparò nella Marca ch’egli continuava a considerare di suo padre. Ottone, da parte sua, rinnovò vigorosamente il bando contro Arduino, e questa volta lo estese anche al figlio, cosicché ad Ardicino, a sua volta proscritto, fu tolto il titolo di Marchese d’Ivrea che venne conferito d’autorità al torinese Olderico Manfredi che s’è visto essere stretto parente dei deposti.

Mentre l’Imperatore, costrettovi da problemi politici interni, tornava in Germania, il nuovo Marchese procedette – com’era prevedibile - in maniera molto blanda alla repressione dei moti di rivolta che s’andavano estendendo un po’ dovunque e , di fatto, lasciò ad Arduino la ripresa del governo nella sua Marca.

Insisté invece a contrastarlo duramente il Vescovo Leone, costringendolo a non esporsi troppo, ad accantonare le minacciate vendette e infine a ritirarsi sui monti con i suoi fedeli.

 

Ottone III continuava intanto ad avere vita e governo difficile. Ai fastidi in Patria seguirono le invocazioni del Pontefice che lo chiamava a Roma dove i figli di Crescenzio guidavano un’insurrezione.

Egli arrivò e seppe calmare la città, ma non poté godere della tregua: nel gennaio del 1002, sia vera o non la tradizione che lo vuole “vittima di un bacio avvelenato”, lo colse morte prematura e certo innaturale. La bella Stefania, vedova di Crescenzio, oltre che vendicare il marito, si fece, senza saperlo, tramite di un grosso vantaggio per il Marchese d’Ivrea che dal suo rifugio sui monti aveva avuto notizia degli ordini imperiali atti a smembrare e a dividere le terre ch’egli considerava sue: ad Olderico Manfredi, Pavia con Asti ed Acqui; ad Ottone Conte di Lomello, il Comitato Pavese e il Palatinato d’Italia; al Conte Rambaldo, il Comitato di Treviso.

Ad altre proprietà assegnate ad altri nobili, s’aggiungevano i cospicui segni della benevolenza imperiale: a Varmondo l’esenzione in Ivrea e a Leone gran parte dei beni confiscati agli Arduino padre e figlio, oltre ad un decreto che lo rese “padrone di tutto l’oro che si caverà dagli aurifondi vercellesi”.

 

A questo punto, non sono chiarissime le notizie sulle reazioni di Arduino. Pare comunque che, fin dal 1000, egli riuscisse ad affermare i propri poteri tanto da venir incoronato una prima volta Re d’Italia a Lodi. E’ certo invece che egli mise in atto una sorta di “resistenza armata” supportata da azioni di “sabotaggio” e da molte incursioni, queste sostenute dai nobili sia piemontesi che lombardi. Circa l’incoronazione a Re, l’ipotesi sembra suffragata da una lettera di Varmondo Vescovo indirizzata “ai Re e ai Principi dei Regni” dove si dice di Arduino “che ha usurpato le insegne del pubblico potere”.

C’è inoltre un diploma, o atto, del 27 febbraio 1004 a un”habitator” di Gassino Torinese, in cui la data è indicata come “il quarto anno del Regno di Arduino”.

 

Sappiamo già che nel gennaio 1002 morì improvvisamente a Roma Ottone III.

Mentre in Germania si agitava la questione della successione, in Italia si percepì giunto il momento di svincolarsi dall’autorità straniera.

Il fatto che soli ventidue giorni dopo la morte di Ottone poté avvenire legalmente l’incoronazione del Marchese d’Ivrea a Re, rende ancora più credibile che questa, del 15 febbraio 1002 fosse, in un certo senso, l’ufficializzazione di un dato di fatto peraltro già avvenuto anche legalmente.

 


Denaro scodellato d’Arduino d’Ivrea
(da Corpus Nummorum Italicorum)

 

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NOTA

L’esiguità dei documenti italiani su Arduino è contrapposta, in Germania, da una relativa abbondanza di pagine che lo riguardano. Ma, chiaramente, essendo quelle pagine di marca imperiale e vescovile, non possono che essere parziali degli Ottoni e contrarie fino alla diffamazione per Arduino.

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Stavolta, in San Michele di Pavia, i grandi del Regno gli erano intorno e alcuni Vescovi, tra i quali Pietro di Como, gli furono solidali, assumendo addirittura Pietro la funzione di Arcicancelliere che già aveva svolto per Ottone.

 


L’incoronazione del Re
dal “Sacramentarlo di Varmondo” foglio 2
Biblioteca Capitolare di Ivrea

 

Dice il Muratori: “Ai più pareva che fosse risorta la loro libertà per poter eleggere quel re che fosse loro più in grado; e tanto per amore della propria nazione quanto perché non erano soddisfatti dei monarchi tedeschi, s’accordarono molti di essi nella Dieta tenutasi a Pavia di eleggere un re italiano. Arduino, principe per accortezza e per ardire, sta non già per le virtù cristiane superiore a molti, quegli fu che guadagnò i voti degli altri”.

 

Certo, qualche riserva sulle “virtù cristiane” doveva sussistere, essendo ancora vivo il ricordo del suo comportamento col povero Vescovo Pietro di Vercelli, delle successive irridenze al Vescovo di Ivrea spogliato dei suoi averi, e a quello di Brescia che, rifiutatosi di rendergli omaggio, fu, come riporta ancora Montanelli nel suo “L’Italia dei Comuni”: “preso per i capelli, sbattuto per terra, riempito di calci”.

 

Questo riconoscimento non ha tuttavia l’aria d’essere un colpo di mano dovuto all’eccessiva energia e prepotenza del Re, ma una vera attestazione di fiducia al solo che avesse saputo alzare la voce in difesa dell’antico potere dei Feudatari laici e dimostrato di non temere niente e nessuno, all’unico che facesse sperare in qualche libertà non invocata dagli stranieri.

S’insinuò che l’incoronazione era stata troppo frettolosa e furtiva, ma si sa che questa era una seconda incoronazione.

La quasi totalità dei cronisti affermò che Arduino fu eletto totalitariamente “dai Longobardi che lo chiamarono Cesare” e che gli fu riconosciuta quella legittimità che la sua dinastia italiana meritava, non inferiore a quella degli Ottoni e degli Arrighi.

La legittimità acquisita, oltre che nell’Italia superiore fu riconosciuta anche in quella centrale, come risulta dal diploma al Monastero di Lucca del 22 agosto 1002.

G. Giacosa disse che i nobili elettori “riconoscono anche una ferma volontà diretta nella giovane popolazione italiana di affrancarsi dalla dominazione germanica, alla cui ombra i grandi Vassalli e, più che altri gli ecclesiastici, l’opprimevano. Arduino rappresentò il principio unitario, laico, liberale e prettamente italiano dei suoi tempi”.

 

Salito dunque al trono, Arduino “percorse”, dice Gregorovius cronista del tempo, “a cavallo i suoi dominii, com’era costume del Re, e presto cullò la speranza di far sua anche la corona imperiale. Molto fecero per difendersi da lui i Vescovi lombardi, parecchi dei quali devoti alla Casa regnante tedesca”.

Se l’affermazione sull’ambizione alla corona imperiale è soggettiva e improbabile, resta fuor di dubbio l’opposizione di non pochi Vescovi.

Primo fra tutti fu Arnolfo, Arcivescovo di Milano: non volle riconoscere il Re e tenne a Lodi un’adunanza di Vescovi e di Baroni “durante la quale si lagnò fortemente che il Marchese d’Ivrea si fosse fatto eleggere senza che fosse egli a eleggerlo e ad incoronarlo, in vigore d’un decreto di Papa Gregorio V. Dichiarava che Arduino era illegittimamente eletto e che egli nominava al Regno italico Enrico di Baviera” (C. Tenivelli).

Ritrovatisi i Vescovi e i Baroni in Roncaglia di Piacenza, quali partigiani dell’Arcivescovo si dichiararono contro Arduino e in favore di Enrico.

Sentiamo ancora, prima “di calare il sipario sull’effimera gloria di questo Regno, qualche parere contrastante sulla dignità regale del Nostro.

 

-         Il già citato C. Tenivelli afferma che sebbene l’Arcivescovo Arnolfo non fosse intervenuto all’incoronazione, la corona fu legittima in quanto Arnolfo “scismatico, aveva perso questo privilegio, né poteva incoronare un Principe cattolico. E’ cosa a tutti nota che la Chiesa di Milano in quei tempi non comunicava con quella di Roma”. Chiaro che Arnolfo non voleva un Sovrano in casa e “parziale degli oltramontani non per special genio ma per interesse proprio, cominciò a seminar discordia fra gl’italiani e ad obbligare il Re ad usare severamente la sua autorità, attirandosi così la malvoglianza degli incostanti ed ambiziosi Vassalli”.

 

-         E. Leo giudica che “cadrebbe in grave errore chi lo volesse paragonare agli antichi Re ed anti-Re, spinti e portati sempre a quel grado da una fazione: il nuovo monarca sorse unicamente per fatto suo”.

 

-         V.Castiglione nelle “Annotazioni al Tesauro” prova la legittimità dell’elezione col dire che legittimo era il luogo scelto, e pur osservando che l’elezione, nonostante la presenza dei Vescovi, fosse un atto puramente laico e totalmente diverso dalla cerimonia spirituale dell’incoronazione e della sacra unzione, aggiunge che il congresso fu autorizzato dalla presenza del legato apostolico. Questo fatto e l’intervento di Principi, palesemente convocati da Arduino, sarebbe prova ch’egli non tentò né intese annettersi quasi di sorpresa il titolo di Re.

 

-         Cesare Balbo dice di lui: “Uno degli uomini più variamente giudicati nella nostra storia: re legittimo, usurpatore,scomunicato, santo fondatore di monasteri e, ad ogni modo, l’ultimo re italiano che abbia osato por mano alla corona d’Italia”.
Lo definì anche “pronto e prode ardito”.

 

A queste positive opinioni che confermano l’immagine d’uomo volitivo, capace ed autorevole per proprio merito, vanno contrapposti i pareri discordi, nel rispetto per la ricerca d’una verità storica che tale non può mai essere, restando i contemporanei dei grandi personaggi legati emotivamente alle scelte loro e delle loro famiglie, e i posteri troppo confusi e sconcertati da tante disparità loro tramandate. Sentiamo alcune di queste voci:

 

-         E.Giglio Tos: “Non ci deve far meraviglia che il Leo insinui che Arduino si facesse proclamare Re; comprò con le promesse e con l’oro i Vescovi prima di convocare la dieta di Pavia”.

 

-         S. Pivano: “a muovere gli animi contro Arduino dovette anche contribuire l’asperità rude del Re che, dice Adalboldo i Vescovi onorava come bifolchi e trattava come subulci”.
E, ancora, riporta che Ditmaro, storico contemporaneo di quegli avvenimenti, chiamò ribellione degli italiani l’esercizio del diritto che dava loro l’antica legge longobardica di eleggere il proprio Re, essendo il principe da essi posto sul trono sentìna d’ogni vizio.

 

-         Infine, Adalbordo che fu coetaneo di Ditmaro e biografo speciale di Enrico, amplificò le esagerazioni di Ditmaro come più tardi altri scrittori d’oltr’Alpe che sviarono dalla realtà molti storici italiani.

 

Ne risultò un ammasso di fatti tra sé contrastanti ed incoerenti, tanto che la storia di quegli anni, falsata e confusa ad arte, è tutt’ora oscura e poco nota perché scarsamente decifrabile.

Un altro storico, Sigonio, raccolse le accuse secondo le quali Arduino era “un pazzo, un empio, un forsennato senza legge e senza fede” e non invece, quale fu, un Re legittimamente eletto dalla Dieta italiana secondo le leggi costitutive del tempo, un Re che, alla testa di genti che credevano in lui e che per lui e per loro stessi si battevano coraggiosamente nonostante la scarsa scienza militare dell’epoca, riuscì a combattere lungamente per l’indipendenza del Regno.

 

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NOTA

Tutti i giudizi citati si devono alla ricerca di G. M. Musso (vedere la Bibliografia) così come molte tra le illustrazioni qui fotocopiate.

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L’incoronazione di Arduino
Affresco di G. P. Recchi nel castello di Agliè