PREMESSA

La guerra è stata ed è fenomeno condizionante l’esistenza di innumeri generazioni.

Nel millennio tra il V e il XV secolo questo fenomeno permase quasi ininterrottamente nell’Europa che cercava di emergere dalla confusione per affacciarsi all’età moderna.

Riconsiderare la storia ufficiale da un punto d’osservazione che può essere giudicato “provinciale” o addirittura riduttivo, cioè dall’ottica microcosmica del paese ora semisconosciuto che fu la Flavia Plumbia, m’ha invece posta dinnanzi a continue scoperte.

 

Geologicamente posta sugli avanzi ancora decifrabili degli archi morenici derivati dall’immane ghiacciaio del Ticino che si stendeva ad anfiteatro da Carciago a Velate e si collegava coi laghi di Varese, Comabbio, Monate e Biandronno; ricca d’acque fin nei punti più elevati della collina tramite pozzi che presentano caratteri megalitici e che diedero luogo a fontane tra le quali una, sacra ai Celti, venne in epoca romana trasformata in Ninfeo; notevole centro di aurifondine sfruttate tramite il lavoro dei Bessi e degl’Ictimuli tradotti schiavi dalla Tracia, POMBIA segnò molte pagine di storia col suo nome che fu poi aggiunto anche a quello della confinante Varallo.

Sull’appartenenza di Varallo al Comitato di Pombia non esistono dubbi, com’è certo che a Pombia si appoggiò la primitiva organizzazione ecclesiastica. Altrettanto vero che Varallo-Pombia (vuoi per l’essere, nel promontorio “Turascia”, divenuta punto nevralgico di avvistamento e di controllo sulla via d’acqua ticinese che nel suo territorio corre infossata in un avallamento, vuoi per l’odierna posizione su strade, aperte ad altre località e non “a cul de sac” come le attuali della madre Pombia) l’ha sopravanzata in campo economico e commerciale, sempre e comunque restando entrambe borghi marginali in confronto ad altri più industrializzati o più prossimi ai pur vicini richiami turistici del Lago Maggiore.

 

E’ stato detto che le storie locali possono dilatarsi ben oltre le immagini tradizionali e che, se nei nostri anni ci si preoccupa d’insediarsi in base ai servizi esistenti, in passato si dava grande importanza all’esposizione naturale e militarmente tattica dei luoghi e delle case in vista del servizio che si doveva dare piuttosto che ricevere.

 

Nel contesto della preistorica civiltà di Golasecca che la vide al suo margine, Pombia era già nota in epoca celto-ligure; nel IV secolo fu Municipio romano e, fin dal sec. V, Pieve cristiana. Con l’avvento dei Longobardi divenne Ducato o quantomeno Gastaldato.

Prediletta da Desiderio che vi volle una Zecca regia e vi fece coniare i propri tremissi aurei nel sec. VIII, cominciò probabilmente la propria lentissima decadenza insieme a quella di quell’infelice Re, morto santamente - prigioniero di Carlo Magno - nel Monastero di Corbie e sepolto a Gignese. Poi, pur sempre dotata del privilegio d’essere posta sopra un nodo stradale di massima importanza per quei tempi, in posizione strategica sul Ticino e facente parte del triangolo mercantile Pombia-Castelseprio-Castelnovate, fu ancora sede, con gli Arduinici, di un Comitato franco e, successivamente, feudo dei Conti di Pombia-Biandrate.

Presso la chiusa longobarda costituita nell’ansa del Ticino s’era schierato il sistema difensivo dei Longobardi che contrapposero la calata dei Franchi. Vi s’era anche installato il Visconte Maginardo, franco.

 

Se già l’Anonimo Ravennate dice nella sua Cosmographia (IV, 30) “...Item ad partem inferioris Italiae sunt civitates, id est Plumbia quae confinatur ex praedicto territorio civitatis Stacionensis item Vercellis, Novaria, Sibrium, Comum, Mediolanum....” il Gabotto aggiunge che nella tarda età imperiale romana i territori fra il Po e le Alpi, il Sesia e il Ticino, cinque erano i Municipi romani insigniti del titolo di “civitas”: Laumellum, Novaria, Plumbia, Stationa e Oxilla (Domodossola).

Stazzona sorgeva lungo il canale portuale formato dall’addentrarsi del Lago Maggiore sino a Gravellona in Ornavasso ed il suo territorio comprendeva anche l’Ossola inferiore. Sempre il Gabotto ritiene che i sopravvenuti Longobardi non variassero le circostanti territorietà romane ed opina per l’esistenza dei Ducati d’Ossola, Pombia, Lomello e Bulgaria. (Un Ducato, quest’ultimo, il cui territorio non è stato concordamente definito e peraltro presente nelle denominazione popolare d’una regione plumbiense).

 

Se è vero, com’è vero, che tutto è Storia, tale è definibile il prodotto di genuino interesse che molti fanno proprio, spinti da inclinazioni istintive che si fanno via via culturali, e queste sostenute dal mutarsi in erudizione delle iniziali curiosità. Tutto, poi: interesse, curiosità, inclinazione, cultura ed erudizione, riporta all’amore iniziale che, ampliato ed arricchito, chiede e scambia idee, informazioni, studi.

Si potrà ritenere che la tendenza ad isolare una radice di ricerca non si presti a troppi e men che meno felici ampliamenti. Invece, entrando per lunga ed atavica dimestichezza nella mentalità, nei modi di sentire, di pensare e specialmente di dire ancora vivi a Pombia ho avuto ulteriori possibilità di capire alcuni fatti di un lontano passato.

Qui le originali espressioni galliche che il latino volgare ha appianato ad un comune denominatore romano sono rinvenibili, così come il diffuso seppur cavilloso sentimento unificante che ha fuso nei secoli popoli e civiltà tanto diversi.

Nella toponomastica antica, pur sempre reperibile nelle trasposizioni attuali, si notano le desinenze in “a” di voci maschili, valide anche nei nomi propri di persona. Tale particolarità del dialetto pombiese (piuttosto atipico nelle zone adiacenti il Lago Maggiore) è poco diffusa nelle parlate piemontesi d’ambito gallo-romanzo.

Si vuole che l’influsso .dei plurali in “a” dei neutri latini nel riguardo fonetico sia la causa di questa eccezionalità, come di un particolare accento che lo ha fatto definire italo-gaIlo-ladino, cosi come ha ricordato Longfellow nel proprio studio sui dialetti italiani.

Ciò rafforza complessivamente la convinzione che la pur grande portata dell’occupazione romana che s’impiantò in questa località nell’ambito d’una strategia tattica su scala europea avesse lasciato residuo spazio agli usi preesistenti tra i quali ci sono giunte chiare tracce di quelli leponzi-gallo-liguri, a Golasecca.

 

I recenti e positivi dati di grossi Empori e di una prestigiosa ristorazione installata nel locale Castello sul Monticello, oltre alle varie e diverse attività che hanno impiegato intelligenze e mano d’opera locale sconfiggendo la disoccupazione giovanile, hanno inevitabilmente contribuito ad introdurre anche qui usi, costumi e linguaggio livellati.

Si andrà dunque cancellando presto e definitivamente l’antica parlata plumbiense che s’è visto essere di eccezionale valore storico-linguistico?

Senza nulla togliere ed anzi rimarcando i molti vantaggi pratici per decorose occupazioni, preludio a sempre maggior benessere, si insiste nel suggerimento di documentare memorie e proverbi locali, tenendo ben presente la frase di Gilbert Viellard: “Quando un vecchio-muore è come se bruciasse una biblioteca”.