Da “SAPERE” – Ulrico Hoepli Editore
Anno V – Volume X – n. 109
15 luglio 1939 - XVII

 

STORIA DELLA LOCOMOTIVA ITALIANA
(autore non indicato)

 


Locomotiva italiana gr. 746, tipo Mikado (1-4-1)

 

Dai primitivi tipi di locomotive, che un po' ci fanno sorridere ed un po' ci commuovono per la ingenuità delle loro forme quando li osserviamo nelle vecchie stampe, ai più recenti che ammiriamo oggi — saremmo per dire in carne ed ossa — nelle stazioni ferroviarie, e che nell'aspetto e nelle dimensioni ci danno un'idea concreta della potenza in esse racchiusa, non vi sono, a chi ben osservi, essenziali differenze di concezione.

Ma quale gamma di forma e di proporzioni si ritrova in un secolo di progresso!

Per quanto si riferisce all'Italia, la storia della locomotiva, che tenteremo di ricostruire senza particolari approfondimenti tecnici, può dividersi grosso modo in tre periodi.

Nel primo periodo le locomotive vengono importate dall'estero: la poca importanza delle reti ferroviarie, frazionate negli staterelli di ristretta estensione territoriale, non avrebbe giustificato il sorgere di una industria meccanica fra le più complesse a quei tempi, come lo è del resto ancor oggi; né d'altra parte esisteva nella maggior parte del territorio che successivamente fu riunito a nazione, una industria degna di chiamarsi tale e di competere con le industrie forestiere.

 


Una locomotiva di costruzione estera (Crampton) in servizio sulle ferrovie italiane intorno al 1850

 

Tranne che negli Stati piemontesi, come vedremo meglio tra poco, e nel Lombardo Veneto.

Questo primo periodo va dall'inizio all'anno 1856, che segna la nascita della prima locomotiva italiana.

Nel secondo periodo, l'industria italiana è in grado di provvedere alle necessità ferroviarie del Paese, rese più complesse dalla difficoltà stessa dei percorsi accidentati ed acclivi.

Unificato il Regno, provveduto da parte del Governo Italiano, fra le prime cose, alla unificazione delle varie reti su di un piano nazionale, distribuitene l'esercizio, con varie ed alterne vicende, a diverse società concessionarie, ciascuna di queste provvede alle proprie necessità a seconda delle caratteristiche delle linee che esercisce, con criteri più o meno restrittivi; ne deriva una grande varietà e disuniformità di tipi, tutt'altro che propizia a quell'esercizio unico dell'intera rete da parte dello Stato, su cui durante lunghi anni si ebbero accanite discussioni, e che doveva poi sboccare nel passaggio delle ferrovie allo Stato con la data del 1° luglio 1905.

Qui ha inizio il terzo periodo. Lo Stato trova un parco locomotive inadeguato per numero di unità, alle necessità del traffico e per di più costituito con eccessiva ed inomogenea varietà di tipi, molti dei quali antiquati e di scarsa potenza.

Le Ferrovie dello Stato italiano impostano immediatamente e coraggiosamente un programma di studio e di lavoro eccezionalmente importante per migliorare radicalmente i mezzi di trazione della rete onde far fronte al rapido e fortunato incremento di traffico verificatosi intorno a quell'epoca, aumentando il numero il carico e la velocità dei treni sì da utilizzare al massimo grado i veicoli disponibili e gli impianti fissi di stazione.

Programma coraggioso, col quale le Ferrovie dello Stato italiano concretarono per prime, fra tutte le amministrazioni ferroviarie e con anticipo di molti anni, i criteri di unificazione nello studio e nella costruzione del materiale mobile; criteri che solo molti anni dopo dovevano entrare nelle direttive delle grandi amministrazioni straniere.

Si potrebbe dire perciò che il primo periodo storico della locomotiva italiana sia... senza storia: esso si confonde con la storia generale della tecnica di altri paesi; le prime locomotive impiegate in Italia recavano le marche straniere Stephenson, Beyer-Peacok, Petit-Beugnot. Cockerill, ecc.

La direzione tecnica delle ferrovie piemontesi, che erano quelle più progredite e di maggiore sviluppo, si trovò, all'atto di porre in esercizio con trazione a vapore diretta la ferrovia di valico dei Giovi, di fronte a difficoltà che la stessa industria estera, come è detto in altra parte di questo fascicolo, aveva dichiarato di problematica risoluzione: ma. se non con costruzioni nazionali, in sede di studi e di progetto seppe risolverle mediante l'accoppiamento ad articolazione di due locomotive con casse d'acqua a basto, che formavano un complesso di trazione del peso di 54 tonnellate (vedi fig. 3).

 


Locomotiva doppia ad articolazione con casse d’acqua a basto, studiata dalle Ferrovie piemontesi per la trazione sul valico dei Giovi.

 

Fra le locomotive di costruzione estera impiegate in Italia ricorderemo le due, dai nomi di « Lombardia » e di « Milano », che servirono la Milano-Monza, la seconda ferrovia italiana, inaugurata il 17 agosto 1840.

Nel 1854 l'ing. Giovanni Ansaldo, che aveva rilevato l'anno prima le officine Taylor e Prandi di Sampierdarena, iniziava la costruzione di locomotive: la prima consegnata nel 1856 recava il nome di « Sampierdarena » dal luogo dove sorgevano le officine, fu adibita al nuovo tronco Torino-Rivoli e guidata in incognito nei primi giorni dell'esercizio dallo stesso ing. Ansaldo.

 


La “Sampierdarena”, prima locomotiva di costruzione italiana (1856)

 

Una seconda veniva consegnata subito dopo; e l'esito felice delle prove induceva l'Amministrazione ferroviaria piemontese ad ordinarne alla stessa ditta altre 6 per la linea Torino-Novara.

Mezzo secolo dopo, nel 1906, la veterana Sampierdarena prestava ancora modesti ma utili servigi locali alla stazione di Savona.

 


Locomotiva in servizio verso il 1860; vapore sature, pressione di servizio 7 Kg/cmq, due assi portanti anteriori e due assi accoppiati; si noti il cilindro inclinato

 

Il riscatto definitivo dall'estero della costruzione di locomotive si ebbe in modo completo intorno al 1880: l'intensificato traffico e le nuove esigenze di velocità determinarono la Società « Alta Italia » a incaricare degli studi per il progetto di potenti locomotive il valente ingegnere italiano Frascot.

Nel 1884 veniva inaugurata l'entrata in servizio sulla linea ligure piemontese del primo esemplare di una nuova potente locomotiva italiana costruita per intero dalle officine ferroviarie di Torino. Questa locomotiva fu chiamata « Vittorio Emanuele II » e fu il prototipo di quelle che formarono poi il gr. 650 delle Ferrovie dello Stato, ora totalmente demolito: raggiunse sui tratti accidentati la velocità commerciale di 40-45 km e di oltre 60 in quelli piani e rettilinei, con « punte » di 80 km/ora di velocità massima; aveva la camera di combustione nel forno, pressione di lavoro di 11 kg/cmq, potenza 630 hp ed attirò l'attenzione dei tecnici stranieri all'Esposizione mondiale di Parigi del 1889 dove fu esposta, per essere il primo tipo a tre sale accoppiate e carrello anteriore a due sale.

 


La “Vittorio Emanuele II” (1884)

 

Un'altra locomotiva più particolarmente adatta alle linee piane fu la « Verona » costruita in officine dell'omonima città e destinata alla Torino-Venezia. La « Verona » era alquanto inferiore in mole e peso alla « Vittorio Emanuele II »; ma la superò in velocità raggiungendo i 65 km orari di velocità commerciale, cifra veramente notevole per quei tempi.

 


Locomotiva “Verona”

 

Ed ora sia concessa una breve digressione di carattere tecnico.

Chi esamini i tipi che diremo del primo periodo comprendendo in essi la primitiva « Sampierdarena », ed i tipi dell'inizio di questo secondo periodo, vi troverà differenze sostanziali dal punto di vista costruttivo; si può dire anzi che, specie la « Vittorio Emanuele », abbia già raggiunto quella maturità di strutture la quale, perfezionatasi beninteso, si ritrova anche nei tipi di oggi.

Mentre nelle primitive locomotive si ha una sola ruota motrice, la caldaia bassa e di minimo sviluppo, il meccanismo del movimento di estrema semplicità, nella « Vittorio Emanuele » e nella « Verona » troviamo aumentato il volume della caldaia, la superficie della griglia, e la capacità del focolare; è introdotto il principio (per altro già applicato nella Sampierdarena) dell'accoppiamento degli assi in modo da aumentare la frazione di peso aderente aumentando il numero delle ruote motrici; v'è il carrello anteriore portante; v'è una cabina che ricovera il macchinista ed il fuochista, principio che stentò ad affermarsi perché si riteneva che il personale di macchina, riparato dalle intemperie, diminuisse la attenzione alla linea ed alla macchina. E giacché abbiamo parlato di assi accoppiati, accenniamo ad una notazione tecnica che serve a distinguere rapidamente e a farsi un'idea generale di un tipo di locomotiva indicando con poche cifre le caratteristiche del « rodiggio » ossia del complesso di ruote su cui appoggia la macchina.

Si usa distinguere con un gruppo di tre cifre, detto schema della locomotiva, il numero degli assi di questa: la prima indica gli assi portanti anteriori, la seconda gli assi motori, la terza gli assi portanti posteriori. Se mancano gli assi portanti anteriori o posteriori la cifra diventa naturalmente zero. Così una locomotiva 2-3-2 sarà una locomotiva con due assi portanti anteriori, tre assi motori accoppiati, due assi portanti posteriori; una locomotiva 0-3-0 avrà soltanto tre assi motori, nessun asse portante né anteriore né posteriore.

Troppo lungo e speciale sarebbe il solo tentar di descrivere tutti i tipi posti in servizio dalle varie società concessionarie nel periodo antecedente al passaggio allo Stato.

Basti dire che l'eredità dello Stato dalle società concessionarie fu:

Nel 1904 erano state introdotte in servizio dall'ex Rete Adriatica le locomotive del tipo inglese « Mogul » (1-3-0; per treni viaggiatori, alle quali fu per la prima volta applicato il dispositivo del carrello coniugante la sala anteriore portante spostabile radialmente con la prima sala motrice accoppiata spostabile trasversalmente (vedi figura 18); dispositivo che fu chiamato in seguito nelle altre nazioni « carrello italiano », il quale ha il vantaggio di utilizzare una maggior parte del peso della locomotiva per l'aderenza, quanto vale dire diminuire il peso morto della macchina a parità di peso aderente.

 


Carrello all’italiana

 

Tipi 1-2-0, 0-3-0 e 0-4-0 erano impiegati per treni merci misti e per treni viaggiatori su linee di montagna. Alle linee di pianura o di media pendenza erano invece adibite locomotive 1-3-0, 2-2-0 e 2-3-0. Non esistevano locomotive a cinque sale accoppiate e neppure a vapore surriscaldato; il peso massimo per asse, dati i limiti imposti dall'armamento e dalle opere d'arte, non superava le 15 tonnellate e la massima potenza normale in cavalli effettivi alle ruote motrici sviluppata con continuità non oltrepassava i 1.050 nelle locomotive gruppo gr. 750 della ex rete Mediterranea.

 


Locomotiva a carrello e tre assi accoppiati della rete Mediterranea; vapore saturo, pressione di lavoro 10 kg/cmq, peso in servizio 41 t, distribuzione Gooch, freno Westinghouse

 


Altra locomotiva in servizio sulla rete Mediterranea, a carrello e tre assi accoppiati; vapore saturo, pressione di lavoro 14 kg/cmq, peso in servizio 76 t, distribuzione Walschaert, freni Westinhouse e Henry

 

L'amministrazione delle Ferrovie dello Stato cominciò coll'eseguire prove per circa 400 mila km di percorrenza con una speciale carrozza dinamometrica ereditata dalla Soc. Adriatica che l'aveva costruita nel 1904 e che ancor oggi, rinnovata e molto trasformata e migliorata, rappresenta uno strumento efficacissimo per conferire ai dati di studio il conforto dell'esperienza. In secondo luogo l'Amministrazione procedette alla graduale unificazione dei tipi di armamento, i quali costituiscono uno dei fattori determinanti nel progetto delle locomotive in quanto i carichi massimi previsti per asse isolato dipendono dalla sezione della rotaia, e quindi dal suo peso per ml e dalla stabilità delle opere d'arte; gli altri fattori sono dati, come è facile intendere, dal profilo altimetrico dei percorsi, dallo sviluppo di questi, dall'entità del traffico cui deve essere commisurato il tonnellaggio dei treni, e dalle velocità.

I tipi unificati di armamento furono così stabiliti: da 46,3 kg per ml per le linee principali, aumentati a 50,6 kg per le linee di valico, per carichi massimi su asse isolato di 20 t; da 36 kg rinforzato per le linee di medio traffico, carico massimo per asse isolato 16,5 t.

Questa unificazione e miglioramento dell'armamento consentì la costruzione di locomotive per treni viaggiatori da 15 t per asse su 5 assi accoppiati e aderenza totale (gr. 470, 0-5-0) per il servizio merci sul valico dei Giovi e per gli altri più acclivi; di locomotive da 15,2 t asse tipo Prairie (1-3-1) (gr. 680) per treni diretti pesanti; infine di locomotive da 18 t asse riducibili, con opportuna variazione dei bilancieri, spostando il carico sugli assi portanti a 17 t, tipo Pacific (2-3-1) (gr. 690) le quali così poterono circolare anche su linee non ancora sistemate con armamento pesante.

Ma il ritmo di miglioramento della sede stradale procedeva necessariamente più lento di quello della costruzione di nuove locomotive; e da questo fatto derivarono tipi che potremmo dire di transizione, caratterizzati da un minore aumento dei carichi assiali.

Così nacquero il gr. 685 (1-3-1) per treni diretti, derivato dal 680. destinato a estesi servizi su molte linee della rete, con carico assiale limitato a 15,5 t. successivamente aumentato a 15,9; il gr. 745 tipo Consolidation (1-4-0) per treni derrate e treni diretti pesanti, specialmente destinati al servizio viaggiatori ed al traffico agrumario ed ortofruttifero della linea tirrenica da Reggio a Napoli, dove le numerosissime travate metalliche non permettevano carichi assiali superiori alle 14,4 tonnellate.

Dal 1905 al 1914, cioè fino all'inizio della Grande Guerra, le Ferrovie dello Stato ordinarono circa mille locomotive di vari tipi che troppo lungo sarebbe descrivere e di cui quelli detti rappresentano i più importanti.

In questo stesso periodo fu gradualmente applicato, con vari espedienti tecnici, il surriscaldamento del vapore: nel servizio corrente medio di tutta la rete le locomotive avevano già raggiunto in quel periodo un consumo di carbone di 1,62 kg per cavallo indicato-ora al cerchione (al netto degli accendimenti, stazionamenti e riscaldamento treni) che appariva suscettibile di ulteriori riduzioni perché già alcune locomotive sperimentate avevano raggiunto i kg 1,20.

In quel periodo pure furono affrontati e risolti, in sede sperimentale, i primi problemi della resistenza alla trazione a velocità superiori ai 100 km/ora con treni pesanti su linee di pianura, con locomotive gr. 685: sulla Bologna-Milano si raggiunsero punte ripetute di oltre 125 km/ora.

La Grande Guerra fece interrompere la costruzione di locomotive e le prove dinamometriche, nonché altri studi ed esperienze.

Dopo la guerra le costruzioni furono immediatamente riprese riproducendosi in via di massima i tipi migliori del parco senza aumentare i carichi assiali perché le linee erano uscite dal lungo e logorante periodo bellico in condizioni non troppo soddisfacenti.

Il tipo più interessante delle nuove costruzioni dell'immediato dopoguerra fu quello Mikado (1-4-1) (gr. 746) in cui si conciliarono le esigenze del forte tonnellaggio rimorchiato e della velocità fino a 100 km/ora, senza superare le 18 t di carico assiale.

Col 1923 si inizia un fecondo periodo di rinnovamento per opera del Governo Fascista: vengono costruite locomotive gr. 480 (1-5-0), 744 (1-4-0), 880 (1-3-0). 896 (0-4-0), 940 (1-4-0). 891 (0-3-0) (ad aderenza e dentiera) ed altre di minore importanza.

 


Locomotiva delle Ferrovie dello Stato gr. 480 a vapore surriscaldato, 2 cilindri, semplice espansione, potenza nominale 1500 hp, peso in servizio 84,7 t, velocità massima 70 km/ora; è impiegata per treni merci pesanti su linee accidentate.

 


Sezione longitudinale della locomotiva gr. 480

 


Rodiggio della locomotiva gr. 480

 


Sezioni trasversali della locomotiva gr. 480

 

Qualche dato tecnico consentirà di renderci conto a grandi linee dei perfezionamenti conseguiti nel trascorrere degli anni, con la naturale evoluzione del progresso costruttivo e per opera della tecnica italiana, dalle nostre locomotive.

Il carrello di guida, il « carrello italiano » è esteso a quasi tutte le locomotive del parco ed è rimasto superiore ai vari tipi consimili.

La pressione di lavoro che al principio del secolo non superava i kg 12-14 cmq per le locomotive a semplice espansione ed i 16 per quelle compound è stata aumentata, per i gruppi più importanti, da 12 a 16 kg. Il surriscaldamento del vapore è esteso a tutte le locomotive della rete, o quasi.

Il tipo di distribuzione generalmente adottato è quello Walschaert: ma in molte locomotive, prevalentemente a semplice espansione, recentemente costruite, è stata applicata la distribuzione a valvole sistema italiano Caprotti.

Quanto all'espansione multipla, è da ricordare che essa fu per la prima volta applicata sulla Rete Mediterranea negli anni 1898 e 1900 alle locomotive tipi « Galileo Ferraris » ed « Alessandro Volta » divenute sotto lo Stato gr. 656 e 660, ora demoliti. E' da ricordarsi poi la locomotiva ex Rete Adriatica gr. 500 divenuto poi con le Ferrovie dello Stato gr. 670 la quale venne presentata all'esposizione mondiale di Parigi del 1900 attirando l'attenzione dei tecnici di tutto il mondo; essa fu costruita dalle Officine ferroviarie di Firenze, e crediamo sia ancora in servizio sulla rete. Questa locomotiva, che segnò un passo ardito ed importante nella storia della tecnica costruttiva, aveva la caldaia invertita col focolaio postò sopra il carrello anteriore, per poter ottenere un notevole ingrandimento del forno, e aveva espansione duplice con 2 A.P. a sinistra e 2 B.P. a destra, luci incrociate e manovelle a 180°, con due soli distributori.

 


Locomotiva del gr. 500 ex rete Adriatica divenuto poi gr. 670 con le Ferrovie dello Stato

 

Con l'applicazione del vapore surriscaldato si discusse se poteva convenire la doppia espansione che elimina l'aurea semplicità nella macchina, quando si poteva disporre dei vantaggi del surriscaldamento.

Oggi la doppia espansione, che fu applicata dal 1905 al 1908 a tutte le locomotive per treni diretti e servizi misti mantenendo la espansione semplice alle sole locomotive di manovra e per servizi secondari, è tuttavia diffusa in molti tipi, combinata col surriscaldamento: mediante speciali dispositivi vengono eliminati gli inconvenienti che si verificano all'avviamento di queste macchine.

Un altro importante perfezionamento che è stato introdotto in tempi recenti sulle locomotive italiane è quello del preriscaldamento dell'acqua di alimentazione della caldaia.

Mentre scriviamo, il parco di locomotive delle ferrovie dello Stato assomma a 5970 unità, quasi il doppio di quelle ereditate nel 1905.

Tra i vari gruppi delle locomotive del parco quelli che hanno dato i migliori risultati di servizio corrente sono: per i treni viaggiatori leggeri e di media composizione, gr. 625 e 640; per treni rapidi viaggiatori, pesanti, gr. 685, 690, 691, 744 e 746; per treni viaggiatori su linee secondarie, gr. 880; per treni viaggiatori e merci su linee secondarie e di montagna, gr. 905 e 940; per treni merci, gr. 290, 460, 735, 740 e 940.

 


Locomotiva delle Ferrovie dello Stato gr. 746

 

Un particolare cenno merita la locomotiva gr. 691 derivata dalla fusione dei due tipi 690 e 746, entrata in servizio nel 1929 con le seguenti caratteristiche: 2-3-1 (Pacific) 4 cilindri gemelli, semplice espansione, vapore surriscaldato, pressione 14 kg/cmq, 1800 hp, peso per asse 20 t, peso totale in servizio 96,5 t, peso .totale con il tender 167,5 t, velocità massima 130 km/ora.

È questa la locomotiva di maggiore velocità del parco delle ferrovie dello Stato.

 


Locomotiva delle Ferrovie dello Stato gr. 691; è impiegata per treni molto pesanti a grande velocità su linee di pianura.

 


Sezione longitudinale della locomotiva gr. 691

 


Rodiggio della locomotiva gr. 691

 


Sezioni trasversali della locomotiva gr. 691

 

Ci siamo limitati a dare uno sguardo di volo alla evoluzione italiana della classica primigenia locomotiva di Stephenson. Questa macchina non domina più oggi incontrastata i servizi ferroviari perché il dominio le viene conteso da un lato dal locomotore e dalle automotrici elettrici, dall'altro dalle automotrici a combustibile liquido per servizi rapidi e rapidissimi e per treni leggeri: le così dette « Littorine » i treni articolati elettrici e quelli con motori Diesel che stanno per entrare in servizio regolare su quelle linee di grande comunicazione trasversali della pianura padana (da Torino a Venezia) che non sono ancora servite dalla corrente elettrica.

Ma, pur tenuto in debito conto questi nuovi tipi di macchine per trazione che rispondono alle modificate esigenze del traffico da un lato, ed al superiore e generale vantaggio della elettrificazione dall'altro, in Italia, come all'estero, una gran massa del traffico passeggeri e merci è tutt'ora affidato alla vecchia e gloriosa locomotiva a vapore.

Non è qui il caso di discutere come detta macchina veterana che conta ormai più di un secolo di esperienza e di perfezionamenti si difenda dalle sue giovani concorrenti: non ne è il caso perché le ferrovie italiane si avviano ad una rapida elettrificazione nelle linee più importanti ed a una trasformazione di servizio e di materiali nelle linee di medio e piccolo traffico. Quindi tanti perfezionamenti che possono interessare paesi esteri, come la carenatura aerodinamica, l’applicazione di motori singoli a ciascun asse, l'impiego delle altissime pressioni superiori ai 100 kg/cmq, la applicazione delle turbine, ecc. non hanno che scarso interesse nelle condizioni nostre ed in vista dei programmi che il Fascismo, con lungimirante larghezza di vedute, ha largamente tracciato e va rapidamente eseguendo.

Interessa qui invece di concludere che dalla tradizionale locomotiva di Giorgio Stephenson ad oggi, la locomotiva italiana non ha tralasciato alcuno dei perfezionamenti recati dalla tecnica, molti dei quali sono stati per essa arditamente preconizzati ed applicati. E sono questi: disposizione più razionale delle griglie in modo da facilitare l'accesso dell'aria per la combustione; doppia espansione; vapore ad alto surriscaldamento; iniettori perfezionati utilizzanti in parte il vapore di scarico; preriscaldamento dell'acqua di alimentazione; passaggio dalla vecchia distribuzione a cassetto piano a quella con distributori cilindrici; impiego di distribuzioni perfezionate ed a valvole; aumento della pressione di lavoro nelle caldaie. Altrettante tappe sul vittorioso cammino verso la conquista di rendimenti sempre più elevati, che conferiscono alle locomotive italiane un incontrastato primato, in rapporto alle condizioni di servizio che sono chiamate a prestare, rispetto alle ferrovie di tutto il mondo.

Ciò è bene sappiano gli Italiani, mentre si avvicina il giorno in cui sarà compiuto un secolo da quando la prima « vaporiera » morse con le ancor deboli ruote le verghe della prima « strada di ferro ».