Da “SAPERE” – Ulrico Hoepli Editore
Anno III – Volume V - n. 60
30 giugno 1937 - XV

 

 

PROGRESSI DELLA BICICLETTA
(di Enrico Caporali)

 

NON SONO CERTO molti gli strumenti della vita moderna che, pur essendo semplici e diffusi come la bicicletta, restano al pari di essa sconosciuti nelle loro caratteristiche costitutive.

L’umile ma provvidenziale cavallo d’acciaio, detto un tempo “la piccola regina della strada”, è diventato talmente di uso comune che non desta più neppure quella elementare curiosità che basta a invogliare a conoscere il suo modesto complesso di soluzioni tecniche e costruttive.

Del pari è pochissimo noto il progresso notevole (anche se apparentemente assai poco rivoluzionario o innovatore) che la bicicletta ha raggiunto in questi ultimi anni. Si sa, del resto, che i mezzi eminentemente pratici e largamente diffusi devono subire, per ragioni soprattutto commerciali, una lenta evoluzione. Le “mutazioni improvvise” (ci si consenta di usare qui l’espressione con cui il De Vries contraddistinse la sua teoria sulla evoluzione delle “specie”), anche se pratiche, non sarebbero subito ben accolte dalla massa. Per ciò i costruttori non fanno, generalmente, più di mezzo passo alla volta, rimanendo fin troppo schiavi di questo circolo vizioso. Essendo questo progresso lento, si ha l’impressione di segnare il passo e poco lo si nota. Vediamo dunque di passarne in rassegna gli elementi principali.

 


Fig. 1 - Un tipo di bicicletta per uso normale, molto razionale per la presenza del cambio di velocità, dei freni ai bordi del cerchio e soprattutto delle gomme “semiballon” di 45 mm di sezione.

 

La bicicletta odierna si differenzia in maniera sensibile da quella di alcuni anni or sono principalmente sotto questi due aspetti: l’impiego ormai diffusissimo delle gomme a larga sezione sulle biciclette per uso normale, e il cambio di velocità su quelle da corsa.

Il caso delle gomme “ballon” è un esempio istruttivo per dimostrare che i costruttori, volendo, possono modificare i gusti del pubblico. Essi infatti troppo spesso affermano che in certi casi non è possibile far progredire maggiormente il loro veicolo, a causa delle contrarietà che certi perfezionamenti, anche razionalissimi, provocherebbero nei consumatori. La gomma a larga sezione si è imposta, e sia riconosciuto il giusto merito a chi ha sostenuto gli sforzi non indifferenti per introdurla, contro la vera ostilità del pubblico. Ben si sa, infatti, come sia stato, e lo sia del resto ancora, radicato il pregiudizio della minore scorrevolezza della gomma a larga sezione. Anche a voler ammettere che essa sia un po’ meno scorrevole della sezione stretta normale (vedremo più avanti che invece è piuttosto vero il contrario), il ciclista intelligente dovrebbe sempre fare questo ragionamento: « La gomma “ballon”, ammesso che, per la sua larga sezione d’appoggio, sia di maggiore attrito, non potrà tuttavia perdere che una percentuale di scorrevolezza molto lieve, mentre la comodità che essa offre è enormemente superiore; a tener conto poi che attualmente le strade asfaltate rendono più scorrevole anche la gomma a larga sezione (mentre le dette strade non sono, in sé, troppo confortevoli per il ciclista perché presentano, specialmente d’estate quando il caldo rende molle l’asfalto, delle notevoli ondulazioni), si trova una ragione di più per adottarla. Essa sollecita meno il telaio e offre una aderenza che migliora considerevolmente la tenuta di strada.

Si crede poi comunemente che, a giudizio dell’apparenza esterna, una gomma a larga sezione pesi molto di più di una normale. Le differenze invece sono minime. Mentre il complesso copertura e camera d’aria pesa (considerando i tipi più leggeri, che sono i meno diffusi) circa 750 gr, lo stesso complesso pesa 800 gr per il “semiballon” (sezione 45 mm) e 880 per il “ballon” (50 millimetri).

La copertura “ballon” (sezione di 50 millimetri), quella che è stata inizialmente di maggior impiego, è quasi abbandonata. Forse potrà essere ripresa in seguito. Attualmente si è invece diffuso larghissimamente il “semiballon” (45 mm), meglio accolto dal pubblico per il fatto che si presenta di dimensioni esterne più gradevoli all’occhio. In realtà bisogna riconoscere che l’esperienza insegna come il “semiballon” offra una comodità superiore a quella della copertura normale di 35 mm di diametro, mentre è di poco inferiore a quella della “ballon”. Il “semiballon” sarebbe ancor più diffuso se venisse montato anche sulle biciclette di minor prezzo. Mentre infatti la grande maggioranza delle macchine medie e di lusso viene equipaggiata con detta gomma, su quelle economiche si monta la copertura normale per risparmiare le poche lire di differenza che, unitamente ad analoghi risparmi su tutte le altre parti, consentono prezzi minimi. Infatti, nonostante l’attuale aumento di quasi tutte le parti che costituiscono la bicicletta, aumento che ha fatto rincarare di una percentuale assai forte il prezzo medio del popolare veicolo, è ancora oggi possibile acquistare una bicicletta nuova per poco più di 200 lire. S’intende che per i tipi di lusso si arriva anche a prezzi quattro volte superiori.

Ma torniamo alle gomme confortevoli, argomento sul quale ci intratteniamo perché rappresenta la più importante materia dell’attuale progresso ciclistico.

Nella fig. 2 sono indicate, nella stessa scala, la sezione della copertura normale da 35 e del “semiballon” da 45. La sezione da 40 mm, rappresentata fra le due, è un tipo che da quest’anno si è avviato verso un largo impiego, in sostituzione della sezione normale; esso offre una riprova del continuo guadagnare di posizione della gomma di misura confortevole. Il fatto per il quale non si compia il salto, ma ci si limiti alla sezione intermedia, consiste in ciò, che questa sezione è montabile sullo stesso cerchio e contenibile nello stesso telaio della normale (le due hanno il diametro di 700 mm). Il “semiballon” ha invece il diametro di 650 mm, e perciò esige un diverso telaio, anche con forcelle leggermente più larghe.

 

Fig. 2 - Si vedono, in scala, le diverse sezioni di gomme, tre le quali si è oggi giustamente diffusa la “semiballon” di 45 mm. Una prova di scorrevolezza ha dato i risultati che si leggono sotto; il pregiudizio del maggiore attrito della larga sezione è dunque privo di fondamento.

 

E veniamo alla scorrevolezza. Una prova pratica comparativa, eseguita prima con coperture “semiballon”, poi con altre di sezione normale (con biciclette di caratteristiche eguali montate dallo stesso ciclista), lasciandosi andare a scatto libero lungo una lieve discesa, ha dato i risultati che si leggono nella fig. 2, in basso. È da notare che la “semiballon” è stata mantenuta alla pressione giusta (assai bassa). La maggior strada percorsa starebbe dunque a indicare una superiorità circa la scorrevolezza della gomma larga. Il fatto si può spiegare tenendo presente che, nel lasciarsi andare lungo la non rapida discesa, con le gomme “semiballon” si effettua una svelta e agevole partenza, mentre colle normali si stenta a prendere l’avvio. La sezione stretta poggia sul terreno, supponiamo, con un cm; quella larga per due. Supponendo il peso che grava sulla ruota, ad es., di 50 kg, nel primo caso abbiano una pressione di 50 kg per cm2, nel secondo di 25. Bisogna convenire che fino ad una certa pressione (fino, ad es. ai 25 del secondo caso) la gomma non si aggancia, non addenta il terreno, per così dire: perciò può staccarsene (col girare della ruota) con maggiore facilità. Di conseguenza 2 cm2 di appoggio che non addentano, risulterebbero più scorrevoli di uno solo che addenti. Una conferma di questa teoria si avrebbe anche nel fatto che la copertura con battistrada in para (che essendo assai tenera si uniforma alle asperità del terreno senza alcuna tendenza a incidere) è più scorrevole di quella normale di gomma vulcanizzata.

La comodità che la gomma “semiballon” è in grado di offrire giustificherebbe dunque pienamente la sua attuale diffusione. Ma, come abbiamo visto, essa presenta anche il pregio della migliore scorrevolezza. Lo scrivente può assicurare che il suo rendimento su strada è più che ottimo: egli ha potuto compiere viaggi cicloturistici superando i trecento chilometri consecutivi di tappa (su strade variatissime di fondo e di profilo), arrivando freschissimo, mentre con gomme di sezione normale erano sempre bastate distanze assai minori per fargli risentire le asperità stradali.

 

Il secondo aspetto dell’attuale progresso ciclistico ci è offerto, come dicemmo, dalla diffusione del cambio sulle biciclette del cosiddetto “tipo corsa”.

Il problema del cambio, sorto si può dire da quando la bicicletta è entrata nella sua fase pratica, è stato variamente risolto; ma in pratica un solo tipo si era affermato al punto da godere di una discreta diffusione (prevalentemente in Inghilterra): quello a ingranaggi nel mozzo. Da noi però, fino a qualche anno fa, il cambio era quasi totalmente assente. Ma le necessità sportive hanno richiamato su di esso l’attenzione e si è pensato di studiarne un tipo adatto ai corridori, onde permettere loro un migliore impiego delle energie sviluppate in corsa. E infatti si è visto salire considerevolmente la media di tutte le corse; anche se tale aumento non dipenda esclusivamente dall’impiego del cambio (il miglioramento stradale ha la sua parte in causa), tuttavia è considerevole il beneficio apportato dal cambio stesso. Tra i varii tipi di cambi da corsa, uno solo ha raggiunto una forma di perfezione affatto soddisfacente, arrivando a una diffusione grandissima in Italia, ove è stato creato, e per di più affermandosi ovunque anche all’estero, giovando al buon nome della genialità e dell’operosità italiana. Questo tipo di cambio è, come anche tutti i meno riusciti prodotti del genere, a tendicatena. Si tratta di una leva di primo genere che si sposta, con una estremità, lungo un settore a tacche; all’altra estremità porta un rullino montato su sfere che scorre sulla catena. L’apparecchio è integrato da una ruota libera a più corone (normalmente tre); la catena è di lunghezza tale che può esser fatta salire a piacere, allentando il tendicatena, su una delle tre corone. Per fare eseguire il salto di catena, il cambio porta anche il “deragliatore”, consistente in due palettine disposte a forchetta, tra le quali, presso la ruota libera, passa il tratto superiore della catena. Le due palettine sono azionate, mediante flessibile, dalla manettina del cambio. Allentato il tendicatena spostando in avanti lungo il settore a tacche la manetta del cambio, si gira quest’ultima nel senso voluto, dando in pari tempo un giro di pedale all’indietro. La paletta azionata sposta la catena, che così sale sulla corona voluta. Si sono fatte ruote libere speciali (fino a quattro corone), alleggerite e con denti di profilo apposito onde la catena non sfugga anche se non sia molto tesa, e possa salire agevolmente nel momento del cambio.

Nella fig. 4 si vede un altro cambio a tendicatena, piuttosto turistico, assai diffuso all’estero. Il tendicatena è mantenuto teso da una molla, e perciò sottopone la catena a un certo attrito (ovviamente insignificante, ma che basterebbe a non far accettare al nostro pubblico, sempre molto esigente, questo tipo). Il pignoncino superiore è spostabile per far salire la catena sulla corona voluta; quello inferiore fa da tendicatena. L’apparecchio è assai pratico perché in luogo di tre manovre (allentare il tendicatena, azionare il deragliatore e retropedalare) ne richiede una sola, assai comoda: basta azionare la levetta fissata al tubo superiore del telaio.

La rinascita del cambio sulle biciclette da corsa ha spinto a maggiori ricerche per tentare di realizzare un apparecchio semplice e pratico nelle biciclette, molto più numerose, d’impiego normale. Molto recentemente è comparso l’apparecchio illustrato nella fig. 3, assai geniale. Nato da poco, ancora non ha potuto diffondersi; ma è da prevedere probabile che sarà notevole il numero delle biciclette che se ne verrà via via equipaggiando. La caratteristica principale di questo cambio, di ideazione e produzione totalmente italiane, è nella sua assoluta automaticità, essendo comandato dalla forza centrifuga. Senza perciò che il ciclista se ne preoccupi, l’apparecchio stesso pensa a dargli il rapporto adatto alle diverse esigerle (basso in partenza, ripresa, velocità limitata, salita, vento contrario, ecc, e alto per velocità forte, pianura, vento favorevole, discesa, ecc.). Le velocità sono due e offrono sviluppi differenti di circa un metro.

 


Fig. 3 - Vista d’insieme e dei particolari del cambio Martelli completamente automatico (comandato dalla forza centrifuga) descritto nel testo; questo cambio è a due velocità e si monta al posto della normale ruota libera, anche entro copricatena chiuso.

 

L’apparecchio si compone di due ruote libere, una di 17 denti (A), l’altra di 20 denti (E). La ruota libera B è montata eccentrica rispetto all’altra (mediante apposito supporto su sfere L che si ferma nel forcellino), in modo che nella parte posteriore D esse sono tangenti. In questa parte i denti delle due corone (essendo essi di spessore laterale metà del normale) vengono a formare un solo dente H; la catena normale abbraccia perciò entrambe le corone E. La ruota libera di diametro minore A porta un solo cricchetto interno, solidale colla linguetta esterna F. La linguetta è tenuta abbassata -dal comando G, consistente in una massa premuta da una molla antagonista, massa che porta avvitata un’asticciuola che preme la linguetta. In partenza (essendo abbassata la linguetta e perciò il cricchetto interno) la ruota libera A è folle. La ruota è dunque azionata dall’altra ruota libera che, essendo più grande di diametro, dà il rapporto basso. Raggiunta una certa velocità (preventivamente regolabile a piacere) la forza centrifuga, vincendo la molla antagonista, sposta la massa e la relativa asticciuola, e libera il cricchetto. Entra così in funzione la ruota libera di diametro minore (rapporto alto), che aziona la ruota dato che l’altra ruota libera, per effetto differenziale, non agisce più. Naturalmente, per trasmettere il moto dalla ruota libera maggiore (che è eccentrica) alla ruota (cioè quando vi è il rapporto basso), vi è un organo intermedio: si tratta del giunto a croce C (noto in meccanica sotto il nome di “giunto d’Oldham”), che compie un movimento di mezzo centimetro lungo i relativi scorrevoli. Quando il ciclista rallenta la marcia (per esempio per effetto di una salita) sospendendo di calcare sui pedali l’apparecchio torna automaticamente al rapporto basso.

 

Un altro fattore assai importante nel progresso odierno è l’impiego del duralluminio. Questo materiale riunisce i due grandi pregi della leggerezza, e dell’inalterabilità. In via pratica, il secondo ha forse un’importanza superiore a quella del primo. Il duralluminio è usato nella costruzione dei cerchi (da tubolari e da smontabili), dei mozzi, dei manubri e relativi supporti, dei parafanghi, dei sostegni per quest’ultimi, dei fusti per sella e dei reggisella, dei dadi a galletto, dei pedali, degli ingranaggi, delle ruote libere, delle pompe, ecc. Materiale usato prevalentemente per le biciclette da corsa che, mediante queste parti leggere, hanno subito una vantaggiosa diminuzione di peso. All’ultima Esposizione del Ciclo (a Milano nel gennaio scorso) era esposta una bicicletta da pista del peso di poco più di quattro chili e mezzo. È da notare però che alcune parti di duralluminio non offrono una robustezza pari a quella delle stesse parti d’acciaio. Perciò in certi casi il suo impiego (come ad esempio per i freni) non è esente da qualche pericolo. Esso è molto vantaggioso per i cerchi, perché, alleggerendo le masse rotanti, diminuisce il momento d’inerzia. Incidentalmente notiamo come, circa l’alleggerimento di queste masse, vi sia un costante progresso nella costruzione dei tubolari per corsa e pista. Si è arrivato a realizzare un tubolare di soli 90 grammi, mentre con meno di 300 si comincia a trovare tubolari per strada di tipo “imperforabile”, cioè con tele speciali a orditura fitta che diminuiscono la possibilità di bucature a causa di chiodi.

 


Fig. 4 - Una bicicletta per sport e cicloturismo, con gomme della sezione di 40 mm, adattissime a tali impieghi. I cerchi (le gomme sono smontabili: cioè copertura e camera d’aria) sono di duralluminio.

 

Tornando al duralluminio citeremo due prodotti interessanti: i cerchi da corsa con rinforzo interno di legno, e i mozzi leggerissimi ottenuti con canottino d’acciaio a calotta incorporata e flange di duralluminio riportate a pressione. Sono due esempi di costruzione mista che hanno dato brillantissimi risultati e sono oggi largamente impiegati nelle costruzioni da corsa. Anche questi sono prodotti italiani che si sono notevolmente affermati pure all’estero.

Sulle biciclette di alta classe sono oggi impiegate tubazioni di acciaio speciale, a spessore conificato (1 mm alle estremità e 7/10 in mezzo), e tubi posteriori di piccolo diametro.

Le biciclette normali odierne si sonò evolute nella finitura e soprattutto nella comodità. In questo senso è significativa la generalizzazione delle selle di tipo flessibile, cioè con mollette sotto la copertina.

Mentre all’estero vi sono vere e proprie industrie ciclistiche che vendono la bicicletta di produzione interamente propria (la prima fabbrica del mondo produce annualmente 750.000 biciclette, quante se ne sono vendute da noi in questo ultimo anno, floridissimo per la bicicletta), in Italia la grande maggioranza è fornita dai rivenditori locali, i quali montano parti staccate che si trovano in commercio già pronte.

 

Notevole è anche il perfezionamento dell’accessorio. Piccole esigenze finora ignorate hanno trovato oggi il modo di essere soddisfatte. Tra gli accessori minimi, ma proporzionatamente alla loro entità di utilità notevolissima, è un “paramanubrio appoggiacicli” appena comparso sul nostro mercato. Si tratta di un anello di gomma con una sporgenza esterna, ben sagomata ed assai elegante, che si infila sul manubrio. Il primo risultato che esso raggiunge è quello di evitare che il manubrio si sfregi; esso permette perciò (cosa finora inevitabile) di non sfregiare i manubri nuovi. Da poi modo di coprire le vecchie sfregiature. Il secondo vantaggio, forse superiore al primo, consiste nella facilità di appoggiare la bicicletta senza che scivoli (appoggiando la gomma anteriore e il paramanubrio, tenendo scostata la sella che così evita di deteriorarsi), impedisce di danneggiare i muri e consente l’appoggio anche alle vetrine, senza pericolo. Abbiamo citato questo esempio per mostrare come, anche nelle piccole cose, vi sia sempre campo per nuovi perfezionamenti pratici.

 

A chiusura di queste note crediamo interessante dire due parole su una questione attuale: quella della possibilità d’aumentare il rendimento ciclistico, questione risollevata dalla recentissima comparsa di una bicicletta a pedalaggio rettilineo (figura 5), che ha già destato curiosità nel mondo sportivo.

 


Fig. 5 - Due posizioni del pedale nel movimento speciale, a pedalata rettilinea, della bicicletta sistema Dalcò, l’ultima fra le tante studiate al fine di aumentare il rendimento ciclistico.

 

La particolarità di questa bicicletta consiste in una speciale pedivella snodata. La prima pedivella è fissata al normale perno. La seconda, (che porta il pedale) è articolata sulla prima e ha fissato (all’interno) un ingranaggio. Un altro ingranaggio (di numero di denti doppio) è solidale alla scatola del movimento, e perciò sta fermo; i due ingranaggi sono collegati da una catena. Dato il diametro doppio del secondo ingranaggio, a un certo spostamento angolare della prima pedivella corrisponde uno spostamento angolare doppio della seconda (esse sono di lunghezza eguale) ; il punto morto è perciò presto superato. Il pedale compie un percorso esattamente rettilineo, press’a poco nella direzione del tubo reggisella.

È tuttavia da tener presente che la bicicletta attuale ha un rendimento ottimo: pensare di poterlo aumentare significa ammettere che la bicicletta odierna produca uno spreco di energia (ricuperabile in tutto o in parte con altri sistemi di propulsione). Una ragionata analisi prova invece che pochissimo ci sarebbe da guadagnare. La pedalata rettilinea abbrevia il percorso del piede; ma abbrevia quella parte compiuta a vuoto e perciò a scapito di una spesa irrisoria di forze. Non occorre poi dare una leva utile per tutta la fase di discesa del pedale, perché il ciclista ha una limitatissima riserva di energia; riserva che gli consente di dare una “calcata” breve e rapida per ogni giro di pedale. Senza contare poi che il movimento attuale del pedaliere è una razionalissima combinazione del moto rettilineo con quello circolare (uniforme e continuo).

Non è da escludere che le attuali velocità ciclistiche possano venire aumentate; ma sarà possibile forse farlo solo per entità minime, praticamente di poco conto, anche se pur sempre significative in campo sportivo.

La piccola “regina della strada” di un tempo, oggi più che mai diffusa nonostante l’avvento dell’autoveicolo, è forse insostituibile nella sua forma, come lo è sotto l’aspetto di veicolo economico, semplice ed utilitario al sommo grado.

 

 

Cento anni di bicicletta

1. La “Draisina” del 1816 così chiamata dal suo inventore Drais: “macchina da cavalcare” in cui il movimento è dato a spinte dai piedi.
2. Si applica la “pedivella” nel primo “biciclo”, inventato da Michaux nel 1855 ma diffusosi intorno al 1870; poiché Sargent non ha pensato ancora alla trasmissione a catena, il movimento è applicato direttamente alla ruota motrice, ciò che impone il grande diametro di essa, con conseguente posizione acrobatica ed equilibrio instabile del ciclista, esposto ai capitomboli in avanti.
3. La bicicletta 1884.
4. Ed ecco la bicicletta “Giro d’Italia”.
5. Si osservi la differenza, fra la bicicletta 3 e la 4, dei profili frontali anteriori e delle superfici esposte alla resistenza dell’aria: cosa molto importante più che per la velocità assoluta del ciclista, per la velocità relativa quando tira vento contrario.
6. Ma ecco la “Aerodine” di Berthet: involucro di forme aerodinamiche, il quale ha consentito aumenti di velocità, ma appare praticamente più interessante come... parapioggia.
7. Variazioni sul motivo classico: la bicicletta “ a sdraio “ di Francesco Faure; il triciclo analogo, di invenzione italiana, è descritto nel fasc. 24 di “SAPERE”.
8. Infine, la bicicletta J., che diremmo “a poltrona” con pedali a leva, inventata dall’ingegnere Paolo Jaray nel 1920.