Da “SAPERE” – Ulrico Hoepli Editore
Anno VI - Volume XI - n. 3/123
15 febbraio 1940 - XVIII

 

 

COME SI FORMÒ VENEZIA
di Giuseppe Marzemin

 

L'articolo che qui pubblichiamo tocca un argomenta quanto mai interessante da moltissimi punti di vista: storico, geologico, tecnico, urbanistico. Su problemi di vasta e varia portata sono quasi sempre discordi le opinioni, fervidi i dibattiti: e così è di questo, che implica la conservazione di Venezia storica e artistica, l'avvenire di Venezia moderna.
L'autore, cui spetta incontestabilmente il merito di aver gettato luce sulle origini romane della città, espone qui alcune sue idee, sviluppate più ampiamente in un libro (1); e Sapere ospita imparzialmente il bell'articolo che reca un contribuito di notevole importanza agli studi speciali ed alla cultura generale.

(1) GIUSEPPE MARZEMIN: Le origini romane di Venezia. - Fantoni & C., Venezia 1937.

 

 

Nell'ordine dei fenomeni geofisici e nell'alterna lotta tra fiumi e mare nei periodi geologici, è certo che nell'odierno perimetro della Laguna una sconfitta del mare si era protratta fino alle soglie dell'età storica. La vittoria era rimasta al continente in forza delle deiezioni dei fiumi alpini, i quali in età preromana e romana sfociavano in Adriatico da un basso litorale molto più proteso in mare di quello d'oggidì. Tutto il territorio dell'Estuario odierno era emerso, coperto da boschi, interrotto da acquitrini di acque dolci e da ondulazioni di brevi dossi: dossum durum (Dorso duro), dossum oliveti (Olivolo, Castello). La Laguna ancora non era. Venezia, non nacque su cento isolette galleggianti nel mare, composte da fangosi detriti. Il fondo della Laguna nel suo volto trasfigurato sotto le acque e la città nel suo sottosuolo, serbano la storia della trasformazione da uno stato continentale a quello insulare. Il tortuoso andamento del Canal Grande è ancora quello originario del fiumicello di acqua dolce, il rivus altus, donde Rialto, lungo le cui rive fino dalla preistoria c'erano abitazioni, e cosi pure nel territorio lagunare di Torcello. Nel Bacino di S. Marco si estese già una salina il cui vaso salante, in battuto di laterizi romani, si trovò nel secolo scorso a metri 3,13 sotto il livello della comune marea. La rete di canali interni da Ravenna ad Altino segnata nella Tabula Peutingeriana (fig. 2), intersecava il vasto litorale attraversato dai rami del Po, dell'Adige, dei Medoaci, dal Musone, dal Sile-Piave, ecc. Alle foci fiorivano porticcioli, i quali originarono i porti lagunari oggi superstiti, di S. Nicolò di Lido, Malamocco, Chioggia.

Il primo centro cittadino, che fu anzitutto un arsenale militare e castello, è stato fondato 1934 anni or sono sull'antico litorale dell'agro municipale di Patavium, lungo- un canale navigabile di quella rete, tra Altino e Matamauco (fig. 1), città entrambe continentali. La statio ad Portum identifica quel Castello che divenne toponimo e le cui poderose muraglie di cinta si trovarono (fig. 3); e di recente furono ritrovate (fig. 4) sprofondale presso e sotto il muro di cinta dell'Arsenale. Nella Cittadina di Rivoalto fondata all'alba del secolo quinto dal patriziato patavino ad occidente del Porto-Castello, erano cloache (fig. 5) del tipo e con la funzione di quella Massima di Roma. I fondamenti della prima torre di S. Marco furono gettati in epoca preveneziana e a molta

profondità nel sottosuolo cittadino e lagunare fu estratto, durante i secoli, copioso materiale epigrafico romano-patavino, che documenta la nobiltà della stirpe veneziana.

L'attività del bradisismo discendente, che persevera nel Quaternario, dovuto a costipamento, nella misura pressoché uniforme di millimetri 1,3 all'anno, provoca visibilmente sulla città e sui luoghi emersi un secolare e progressivo alzamento del livello marino; ed inoltre l'azione delle maree eroditrici con dislivelli da m 1,40 a 1,80; la corrente litoranea, i venti, costituiscono quel complesso di dinamismi i quali, nel corso dei due ultimi millenni e in conseguenza della artificiale estromissione dei fiumi alpini, valsero a mutare singolarmente la natura dell'Estuario stesso da continentale nella presente condizione lagunare marina. Sovvertimento di leggi di natura e trasformazioni graduali sono ben controllabili nei luoghi e nella storia. Nelle acque si vanno gradatamente sprofondando i superstiti frammenti dell'antico e storico continente, in uno dei quali fu costruita la città. Nel sec. IX, i Veneziani cacciati dalla terraferma da Carlomagno, respinti dall'invadenza del mare dalla loro capitale Matamauco, troppo soggetta alle maree, con sovrumano ardimento innalzarono la loro nuova capitale nella zona degli attuali sestieri, la quale si trovava allora in una condizione di emersione pressoché intermedia tra quella del primo secolo e l'odierna. I fondatori si fecero a interrare e a sistemare piscine e laghetti aprendo scoli, costruendo ripari, colmando bassure, bonificando. Il rivus altus, oggi Canal Grande, che lungo tutta la Riva degli Schiavoni (oggi dell'Impero) finiva nel Canale di Castello, divenne arteria acquea principale e fu integrata da una rete di canali interni tutti scavati a mano, necessari al traffico divenuto esclusivamente acqueo.

Sulle rive o spiagge naturali di questi canali come descrisse Cassiodoro e può vedersi a Torcello, erano gli accessi alle abitazioni, vi si svolgeva il piccolo commercio, v'erano approdi e cantieri. Ancor oggi ne sono superstiti alcuni tratti, detti «squeri» (fig. 7) pittoreschi resti del primitivo volto della città (fig. 6). Le acque delle alte maree non arrivavano agli edifici, perché fondati su terreno sodo ed elevato e ancora nel sec. XV i palazzi del Canal Grande erano immuni dal tòcco delle acque. Il progressivo alzamento del livello marino e la violenza eroditrice delle correnti, consigliarono i Veneziani a rassodare le rive dei canali interni ed esterni mediante palizzate di uno o due ordini di pali riempite di sassi e in seguito a cedimenti, le sostituirono con moli di pietra istriana, innalzando il piano praticabile. Si costruirono cosi le «fondamenta», che a Venezia sono strade e nel tempo stesso fondamenta di edifici (fig. 8). Anche i ponti di legno furono sostituiti con quelli in pietra e nei rifacimenti si tennero più alti. L'addensamento demografico sospinse poi i costruttori a fondare case e palazzi lungo una o entrambe le rive dei canali interni (fig. 9), rassodandone spesso il fondo con palificate e restringendone in tal modo l'ampiezza fino all'angustia nei nostri romantici rii (fig. 18).

Questo non si verificò sul Canale di Rialto che rimase e fu detto Grande per il fatto che le sue ampie spiagge fino a tutto il Quattrocento ingombre di «peneli», di pontili, di «squeri», di «cavane», di pali, di bottegucce pensili, continuarono a servire al più vasto scalo marittimo in un meraviglioso scenario di vele e di barche variopinte, al cospetto di sempre nuovi e perfino dorati o affrescati palazzi. Lungo queste rive e soltanto per alcuni tratti (fig. 10), ebbe luogo la sostituzione delle fondamenta di legname con quelle di pietra; ma in altre parti le spiagge andarono gradatamente scomparendo per effetto del dinamismo geofisico discendente e delle correnti e per le inconsulte artificiali asportazioni che si protrassero fino a tutto il Settecento. Oggi la sempre crescente e formidabile fiumana, con due piene giornaliere esercita la sua deleteria azione eroditrice, aggravata dal moto ondoso di scafi e battelli, direttamente sulle fondamenta (fig. 11), sulle basi (fig. 12) e negli atrii dei palazzi. Ne sono noti i disastrosi effetti.

Nell'età romana i Marittimi ebbero varietà di mattoni dalle cave esistenti nel loro emerso Estuario, abbondanza di materiale lapideo dall'Istria e da Monselice; ottima calce dalla Dalmazia.

Dal secolo sesto cominciarono ad arrivare dall'Oriente marmi lavorati e dopo le distruzioni dei barbari e le sommersioni del mare, nobili materiali si trasportarono come sacre reliquie dai luoghi diruti o abbandonati di Equilio, Aquileia, Matamauco. Dal sec. XII l'Istria ritornò ad essere la grande fornitrice di pietra. Fino al tardo medioevo si estrasse legname forte dai vicini boschi, più tardi il Cadore offerse i suoi. Afflussi di ceti operai e incendi provocarono sovente penuria di materiale laterizio, lapideo e di tegole onde si ricorse provvisoriamente al legname. Tutto questo smentisce che le prime dimore e chiese dei Veneziani fossero di legname; coi boschi dell'Estuario i Veneziani costruirono invece le loro prime flotte.

Vaste zone di terreno dette le «sacche», i Veneziani ricuperarono come p. e. lungo il Lido, mediante scarichi di materiale proveniente da demolizioni o scavi di canali, mentre alla necessità di qualche area edificabile urbana provvidero con lo strappare all'onda marina irrompente altre zone dette le «barene» che un tempo erano terre emerse; indi con l'andar dei secoli abbassatesi fino alle giornaliere sommersioni dalle alte maree, le rassodarono con palificate e innalzarono con pietra istriana. Così si operò p. e. per la fondazione del tempio della Salute che si erge su un battuto di 20.000 pali.

Ben visibili .sono nell'Estuario e nella città gli effetti dell'abbassamento bradisismico (fig. 13). Se la città nel passato rappresentò la vittoria dell'uomo sul mare, oggi rappresenta la vittoria del mare sull'uomo (fig. 14). La Laguna di Venezia sotto l'aspetto geofisico, consiste nella sommersione, verificatasi nel corso dei due ultimi millenni, di 54.000 ettari di territorio già molto produttivo (vedasi il Codex Pubblicorum) ed oggi soltanto il 7,4% dell'antica estensione non va sommerso nelle comuni maree. Nel lembo emerso dove si ridusse la città, nel corso dei secoli, furono rialzati varie volte piani comminabili, la piazza di S. Marco, piani di edifici e di chiese ma ora sovraelevazioni generali non sono più possibili, sì che le indomate acque predominano e tale dominio si manifesta con le frequenti (figg. 15 e 19) e sempre più estese invasioni delle maree nei pianterreni, nel cuore della città (fig. 16) e non per un solo mese all'anno. Istruttive sarebbero, se pubblicate, le statistiche comparative delle maree dal 1872 ad oggi.

Sfuggito lo spazio sotto le acque, un veneziano di genio lasciato il porto della città al servizio dei passeggeri e di merci ricche, comprese che un moderno e ben attrezzato porto industriale e per le merci povere, adeguate ai bisogni della capitale dei Veneti esigeva, non paesaggi di barene e di acque bensì un nodo di strade terrestri e ampio spazio di terraferma e perciò troncati gli indugi, lo volle fondato sul continente a Marghera, sul margine lagunare. È stato cosi assicurato al retroterra Veneto, valpadano e oltremontano il più possente centro di attrazione ai traffici transmarini e transalpini, integrato da preziose produzioni manifatturiere. La città rimase isolata. Superba natante tra vasti specchi salmastri, si chiuse nella sua incontaminata bellezza antica, esaltandosi in una sognante sopravvivenza di sé stessa. Lo spirito statico di molta parte della sua popolazione, priva di un proprio territorio suburbano, si trova avulso da quello agricolo, commerciale e industriale proprio del continente, da una dozzina di chilometri di cui quasi quattro di laguna sormontati da duplice ponte ferroviario e auto-pedonale, il quale però arresta il traffico rotabile al Piazzale Roma, al limitare della città.

Altri capilinea di arterie stradali di importanza anche internazionale si arrestano a Punta Sabbioni (S. Nicolo di Lido} e a Chioggia, ma è assurdo voler innalzare strade camionabili di raccordo sopra i porti. Il traffico urbano interno e quello periferico lagunare rimane affidato esclusivamente ai natanti ai quali, se a propulsione meccanica, nell'ambito della città, per ragioni statiche, sono interdette velocità elevate.

Recenti provvidenze mirano a risanare abitazioni malsane e tentano di scongiurare oramai troppo estese minacce del mare alla veneranda edilizia (fig. 17 e 20). Ma i problemi più vasti e più gravi non troveranno soluzione fino a tanto che una mistica ripudierà il retaggio dello stato continentale dell'Estuario e soffocherà l'istinto salvatore di un ritorno all'antica condizione, per irrigidirsi nella difesa di una totalitaria insularità marina in piena balia dei dinamismi del suolo e delle acque, e nella adorazione di un miracolo urbanistico unico, troppo unico al mondo. La concezione storico‑scientifica della Laguna non si è ancora imposta, persiste l'antitesi tra il realismo delle leggi di natura e la nostalgia di un aristocratico rifugio denso di suggestioni e insieme fonte di contraddizioni e di pericoli; non essendo ai più noto l'essenziale, cioè per quale estensione e profondità la Laguna possa essere conservata per la salvezza e per l'utilità di Venezia. Problemi ardui, ma non insolubili.

Ne sono postulati essenziali: la difesa statica per noi e per i secoli futuri di tutta l'edilizia artistica di Venezia che è patrimonio mondiale di bellezza; la conservazione razionale del carattere anfibio della città; la preservazione completa dalle inondazioni periodiche; l'utilizzazione agricolo‑peschereccia di vasti tratti periferici lagunari; l'incremento demografico della città e la tutela del sacro patrimonio delle gloriose tradizioni, sempre all'ombra del suo S. Marco; espansione edilizia-industriale in più vaste zone di ricuperabile territorio suburbano e in esso raccordi di una rete stradale, giacché il moto della civiltà non può prescindere, anche per Venezia, dalla ruota.

Miracoli di idraulica nel paese di Leonardo furono compiuti per salvare terre e città. La ducale Venezia gettò i «murazzi» per opporsi alla rabbia del mare. Un sano realismo impone ora il dominio anche sulle insidie delle acque interne lagunari. A salvaguardare da inondazioni e da erosioni 1a più originale e stupenda creazione urbana uscita dal genio di una nobilissima stirpe e a dare alla popolazione espansione nel suo spazio vitale, e completa coscienza della sua missione, già patrizi veneziani del Cinquecento avevano pensato e scritto. Questi postulati essi propugnarono, perché essi volevano soltanto fiumi‑canali ben navigabili per andare al mare, ma non pensarono mai di trasportare il mare entro l'Estuario ed entro la città, come avviene oggidì. Sarà ineluttabile riprendere di quei maestri la virtù e il pensiero, in aderenza ai moniti già rivolti da Mazzini: «Venezia o deve tornare ad essere grande o non dev'essere» e da Mussolini: «Venezia deve ritrovare le strade dei suoi traffici, le strade che le diedero la potenza e la gloria».

 

 


1. In alto a destra Castella e Canale di S. Pietro di Castello. Le due freccie indicano i luoghi del Castello romano e arsenale di cui la fondazione e la muraglia scoperte a poca distanza una dall'altra. In basso: Lido. Il segno M a sinistra indica il luogo di Matamauco poi Malamocco Vecchio (II sec. a. C.) che è il Maio Meduaco della «Peutingeriana» già presso alla foce del nume Medoaco (Brenta). Capitale del ducato (742-818) andò sommersa lentissimamente per effetto concomitante di bradisismo e furie del mare; scomparve nel sec. XII.

 


2. Fac simile della Tabula Peutingeriana. La statio ad Portum corrisponde a Venezia, la statio Maio Meduaco a miglia tre (km 4 1/2) corrisponde a Malamocco Vecchio, sepolto in mare.

 


3. Tratto di fondazione della muraglia di cinta del Castello e arsenale romano del 44 a. C., scoperta nel 1822, nell'Arsenale di Venezia sul Canal di S. Pietre di Castello. P piano camminabile nel 1822. C.M. livello del comune marino del 1822. A sito della sottofondazione del 1541 al vecchio muro demolito nel 1822, B grossezza di cm 90 della muraglia di mattoni romani. C.M.A. presunti livelli del c. m. all'epoca della fondazione del manufatto. C grossezza del manufatto di m. 1,40 in corrispondenza al presunto antico c. m. D sassaia a fondo perduto rivestita di grossissimi massi di pietra d'Istria. Opera fondata fino dall'origine sul fondo del canale e senza palafitte.

 


4. Altra muraglia del Castello romano scoperta nell'Arsenale, febbraio 1939. In pietra d'Istria fortemente cementata, fondata in origine su terreno asciutto, senza palafitte e sprofondatesi per oltre due metri. La superficie larga m. 1,10, base di una scomparsa muraglia di mattoni, sta a m. 1,25 sotto l'odierno piano stradale, alla base larghezza m 1,35; altezza m 2.10. Media della comune a. m. a m 0,27 sotto la superficie e a m 1,55 sopra la soglia del cunicolo di scarico, alto un metro, che indizia l'antico suolo camminabile interno del Castello. Entro e sotto la bocca del cunicolo furono rinvenuti rifiuti vari fra cui colli e manichi di anfore romane e frammenti di ceramica a vernice nera preveneziana.

 


5. Cloaca romana del quinto secolo scoperta nel 1886 da G. Boni a Venezia Calle Casselleria. Apertura alla base m 1,95; altezza m 2,15; platea sottostante m 8,67 al piano stradale e m 2,51 al c. m.

 


6. Venezia antica. Riva di canale senza fondamenta e a «squero» (di S. Trovaso).

 


7. Angolo di Venezia antica. Resto di «squero» e ponte di legno (Rio della Senza).

 


8. Canale con le «fondamenta» laterali. (Rio di S. Barnaba}.

 


9. Rio all'asciutto in bassa marea con i resti delle rive del primitivo più ampio canale.

 


10. Canal Grande con le ampie e protettrici «fondamenta».

 


11. Palazzo dei Camerlenghi. Fondazioni di pietra d'Istria sul Canal Grande corrose dalle  acque malgrado la protezione della stretta «fondamenta» (prima dei recenti restauri).

 


12. Minaccioso Canal Grande senza «fondamenta». I palazzi con le  funzioni di argini.

 


13. Profondamento bradisismico. Sottoportici del Palazzo Falier ai Santi Apostoli. Alzamento stradale di m 0,70 sopra le basi delle colonne.

 


14. La Laguna marina all'assalto della città.

 


15. Piazza S. Marco inondata.

 


16. Campo S. Moisè inondato da alta marea.

 


17. Rio del Rimedio. Cedimento di fondazioni per effetto delle acque. (In corso di restauro).

 


18. Romantico rio. Già ampio canale reso angusto dalle costruzioni sulle rive. (rio Albrizzi).

 


19. Le Mercerie inondate da alta marea.

 


20. Recente palificata sul fondo di un rio per rassodare le fondazioni dei fabbricati. Alla «salvaguardia del carattere lagunare e monumentale di Venezia» si propone di provvedere in dieci anni il Decreto‑legge del 1937 mediante l'escavazione e la cementarione del fondo di rii e delle basi degli edifizi prospicienti, il restauro di quelli governativi e il risanamento igienico edilizio.