Da “SAPERE” – Ulrico Hoepli Editore
Anno II – Volume V – n. 57
15 maggio 1937 - XV

 

GRATTACIELI D'ARABIA
dell’arch. Fausto Franco

 


Palazzo del Sultano a Sejun

 

Riportiamo dal I fascicolo della rivista hoepliana PALLADIO questa interessantissima recensione: «Il baluardo di rocce infocate che strapiomba nel golfo di Aden, racchiude un mondo quasi ignoto alla storia. Quella terra leggendaria, in cui fiorirono metropoli paragonabili a Babilonia e ad Atene, è ora sede di sultanati arabi indipendenti, che Hans Hellfritz ha esplorato a quattro riprese tra il 1931 e il 1935. L'esito delle sue interessanti scoperte è pubblicato in un recente volume (Grasset, Parigi, 1936), in cui l’Autore riassume sotto l'unico titolo AU ROYAUME DE SABA tre precedenti sue opere, edite in Germania. I titoli di queste: IL MISTERO DI SCIOBUA, IL PAESE SENZ'OMBRA, e CHICAGO NEL DESERTO formano le tre parti del libro attuale, delineando così senz'altro, come centri di gravita della pubblicazione, l'archeologia preistorica, il paesaggio tropicale, e la più recente attività edilizia della regione.

L'Hadramaut e lo Yemen d'oggi comprendono una parte dell'Arabia Felix, il paese degli antichi Minei e Sabei, abitato già intorno al primo millennio avanti Cristo da popolazioni sedentarie: questo fatto spiega come il regno di Saba abbia visto sorgere, fin da tempi antichissimi, una prospera civiltà edilizia.

II luogo della sua capitale rimane ancora sconosciuto. Lo Hellfritz, senza pretendere di aver detto l'ultima parola sulla questione, propone di identificare la favolosa metropoli nelle rovine da lui scoperte su tre colli dell'attuale villaggio di Sciobua; tanto più che l'assonanza di questo nome con quello medievale di Shabwah e quello antichissimo di Saba sembra decisiva in un paese di proverbiale staticità.

L'autore narra di aver osservato, nel corso delle sue esplorazioni, importanti disegni rupestri, iscrizioni, bassorilievi e fondazioni di misteriosi edifici, a forma di croce allungata; ma la sua attenzione non si limita all'indagine archeologica, poiché egli crea dei primi piani di singolare interesse illustrando le fantastiche città di grattacieli che sorgono, inaspettate e bianche, innanzi al suo sguardo: Makalla (1625) e Scekr (1867), sul mare; Terirn, Sejun e Scibam, allineate nel grandioso cañon dello Uadi Hadramaut, là ove sostano stanche, sul margine dei palmeti, le mobili onde delle sabbie desertiche.

Non è agevole datare questi interessanti edifici, - che talvolta oltrepassano i dieci piani - poiché la tradizione architettonica, influssi esterni, ha qui perpetuato da trenta secoli un’arte da costruire che riproduce, quasi inalterati, gli antichi complessi urbanistici di case-torri e di mura merlate assirobabilonesi. Sino dal tempo dei re Sabei è ricordato a Sana, capitale dello Yemen, il grattacielo "Ghamdan" le cui facciate opposte erano, alternativamente, di pietra rossa e nera, per un'altezza di venti piani, coronati da un'alta loggia ricoperta d'alabastro.

Gli edifici della regione sono in mattoni d'argilla, impastati con paglia ed essiccati al sole; materiale d'obbligo in tutto l'Oriente, che nel clima tropicale acquista una durezza a prova di secoli. Talvolta, nello Yemen, la zona basamentale nelle case più alte è in pietra: granito o basalto verde. Gli impalcati sono in tronchi di palma, che spesso, lisci o scolpiti, hanno impiego anche come sostegni isolati; particolare interessante, la costruzione degli edifici procede essenzialmente dall'interno.

Le finestre sono in genere architravate, talvolta ad arco con pronunciato piedritto: riunite a trifore o a bifore presentano interessanti esempi del perpetuarsi di quell'architettura, a cui attinse largamente, nel Medio Evo, Venezia, e di cui sono ormai scarsi gli esempi nelle regioni arabe della costa mediterranea.

Sconosciuti i vetri in luogo dei quali si trovano le tipiche griglie in legno finemente intagliato; più di rado, nelle case dei notabili yemeniti, si osservano lastre di alabastro. Molto sobria è l’ornamentazione, limitata a striscie orizzontali tra i piani, e a riquadri a calce di porte e finestre; i serramenti esterni delle case più ricche sono decorati a bassorilievi.

Necessità difensive non sono estranee alla scelta delle case-torri come abitazione tipica: per millenaria tradizione, ogni edificio è un baluardo, ogni città una fortezza, contro l’intermittente guerriglia.

 


Un grattacielo dell’Hadramaut

 

Ma la configurazione altissima degli edifici ha soprattutto il fine di proteggere gli abitanti dal torrido clima; fine raggiunto anche, come nelle antiche costruzioni dell’Egitto tolemaico, sopprimendo totalmente le finestre dei piani prossimi a terra. Nei piani superiori, ampie e ventilate stanze di ricevimento, riccamente adorne, disimpegnano quelle minori di soggiorno.

Nella sistemazione urbanistica di alcuni centri dell’Impero italiano, utili suggerimenti si potranno forse trarre da questo tipo di costruzioni, per la loro stretta aderenza ai fini pratici, ottenuta con impiego di materiali del luogo. Gli altissimi e puri profili di tali edifici giustificano il raffronto, proposto dall'autore, con quelli delle metropoli americane; ma la loro sana razionalità non rinuncia ad accordi di linee e di volumi, che sembrano discendere dal senso musicale più segreto del popolo arabo, che qui raggiunge la forza e l'unità di uno stile. »