Da “SAPERE” – Ulrico Hoepli Editore
Anno II – Volume IV – n. 43
15 OTTOBRE 1936 - XIV

 

 

LA “SELCIATA” DI PIAZZA SAN PIETRO IN ROMA
(di g.d.f.)

 

La notizia del rifacimento della pavimentazione di piazza S. Pietro in Roma ha suscitato grande interesse per l'importanza del lavoro, non semplice dal punto di vista tecnico, accentuata dall'ambiente storico artistico e politico nel quale esso viene eseguito; la fotografia riprodotta in copertina coglie appunto un moderno compressore stradale che prepara il letto del nuovo pavimento.

L'area della piazza appartiene alla Città del Vaticano; per ciò sono corse trattative preliminari fra questa e il Governatorato della Città di Roma, in seguito alle quali sono state affidate all'attrezzatissimo Ufficio Strade del Governatorato la redazione del progetto e la direzione delle opere.

La superficie compresa fra le branche del colonnato berniniano è di circa 30000 m2, cui debbono aggiungersi altri 3000 m2 dell'area circoscritta con colonnine intorno all'obelisco; in totale, dunque, circa 33000 m2. La pavimentazione vecchia era costituita di circa 28000 m2 di selciato comune e 2000 m2 di bordure di travertino. Il selciato, o "selciata" (termine oggi disusato ma più bello) era formato con blocchetti a forma di piramide tronca a base quadra, infissi di punta su letto di malta.

Il materiale di questi blocchetti, detti “selci” è una selce o silice amorfa grigia compatta, dura e resistentissima, abbondante nelle vicine cave della campagna romana. Il sistema romano della selciata o selciatura su letto di malta e anche di sabbia si è dimostrato eccellente ed ha acquistato meritata rinomanza fino all'avvento dei veicoli pesanti; molti lettori ricorderanno i "selciaroli" o battitori di selci, abilissimi nel disporre i filari e tenere i livelli, e il lento ritmo cadenzato e alternato delle "coppie al lavoro". La nuova pavimentazione sarà nel materiale e nell'aspetto esterno simile all'antica; i blocchetti di selce saranno però parallelepipedi retti, poggiati nelle zone di traffico (circa 18000 m2) su platea di calcestruzzo armata con tondini di ferro da 10 mm. a maglia di 20 centimetri, di cui si metteranno in opera 145000 chilogrammi, e nelle zone di stazionamento (circa 10000 m2) su imbrecciata cilindrata.

La quantità di questi blocchetti sarà dì circa 2 milioni; essi saranno "tessuti" a grandi archi concentrici al colonnato, e sigillati accuratamente nei giunti con bitume.

Le bordure di travertino ripeteranno quelle precedenti, saranno della sezione di 80 X 20 perfettamente adagiate su massicciata di calcestruzzo.

Anche il sottosuolo della piazza sarà sistemato con gallerie praticabili, per uno sviluppo di circa 350 m., che accoglieranno le canalizzazioni di acqua e i conduttori elettrici per illuminazione, energia motrice, collegamento di apparecchi radiofonici.

La rete di fognatura esistente è risultata di grande capacità e in buone condizioni di stabilità e di manutenzione.

I lavori saranno ultimati entro il 15 novembre XV e importeranno una spesa di 2.50O.OOO lire. La pavimentazione della piazza S. Pietro ha una storia interessante, di cui Ceccarius. noto e colto studioso di cose romane ha informato i lettori de LA TRIBUNA in alcuni briosi e garbati articoli. A lui dobbiamo le note seguenti.

Al principio del 700, le vie di Roma erano ancora sterrate; si dovè alla tenacia del patrizio senese monsignor Lodovico Segardi (prefetto ed economo della Fabbrica di San Pietro, meglio noto sotto lo pseudonimo di Quinto Settano col quale scriveva audaci e sferzanti satire), se si fece, papa Innocenzo III, la "selciata" della piazza, nonché l'ornamento e guarnitura dell'obelisco o "guglia" (così esso era allora chiamato), con sedici colonnette a protezione; ossia, come scrive egli stesso con «possenti rocchi di granito appartenenti a grandi colonne che avevano un passato tacito e glorioso avendo ornato, sino al pontificato di Innocenzo X, l'interno della Basilica Vaticana».

Il progetto della selciata sollevò un coro di dubbi per la difficoltà di tenere i livelli in così vasto spazio e di provvedere allo scolo delle acque. A due secoli di distanza si è constatato che la selciatura ha avuto lunga e onorata esistenza, e che la fognatura concepita ottimamente, è ancora in perfetta efficienza.

Ma soprattutto l'interesse del pubblico era vivamente eccitato: «Ogni giorno, verso le ore ventidue, va gran gente a San Pietro per la curiosità di veder lavorare», scriveva ancora il Sergardi il 15 settembre del 1725.

Né mancarono asperrime critiche per l'ornato a base della "guglia": abbondarono le "pasquinate" in prosa e in versi, cui il mordace monsignore rispose da par suo. Si continuò a lungo, dicendo che la guglia era stata posta in un cesto, invocando l'ombra sdegnata di Sisto V: anche su ciò bisogna dire che i rocchi sono rimasti e nessuno oggi si sente offeso nel vederli, e hanno servito a preservare l'ornato centrale.

Da ultimo, monsignor Segardi, che aveva preso anche notevoli iniziative urbanistiche e altre ne vagheggiava grandiose — fra cui la chiusura della Piazza con un grandioso colonnato secondo il progetto berniniano —, si stancò e si disgustò. Nel 1726 si ritirò a Spoleto dove morì il 7 novembre, continuando a dire e a scrivere agli amici il suo risentimento e i rimbrotti per la sconoscenza della Roma di allora.