Da “LA LETTURA” – Corriere della Sera Editore
Anno XXV - n. 9
1 settembre 1925

 

IL MUSEO DELLA MARINA
di Vincenzo Sechi

 


L’ingresso del Museo

 

Da pochi mesi è stato solennemente inaugurato a Spezia, nella ridente cittadina che si stende sul golfo incantevole, il Museo della R. Marina che è stato chiamato Museo tecnico navale per distinguerlo dal Museo storico esistente a Venezia già da molto tempo e testé ampliato e riordinato.

Ma il Museo di Spezia che ha la sua sede in parecchie sale di uno tra i numerosi fabbricati del grandioso Arsenale è interessante non solo per le collezioni di armi di ogni genere e di ogni epoca, strumenti nautici, modelli di navi e di bacini, ma anche per una raccolta di innumerevoli libri e giornali di bordo del periodo delle guerre del Risorgimento che contengono dati, notizie e autografi rari di eccezionale importanza per gli storici, gli eruditi ed i curiosi.

E forse più che per i congegni di guerra, per questa raccolta di carte e volumi il Museo della Marina merita di esser visitato e conosciuto non solo nel breve ambito della città marinara che lo accoglie, ma in tutta l'Italia, potendo fornire vasto e ricco materiale, sino ad ora sconosciuto, agli studiosi di uno dei più interessanti periodi della nostra storia ed epopea nazionale.

Sulle pareti della scalea d'accesso alle sale, tra i fregi in bronzo e in metallo dorato che ornavano i barcarizzi dei bastimenti da guerra d'una volta, quadri d'autore e bandiere, spicca l'iscrizione in marmo dettata dall'Ammiraglio Conz che ebbe dal Ministro Sechi l'incarico di organizzare il Museo e che seppe raccogliere da ogni parte materiali, carte ed oggetti con pazienza e tenacia tra mille difficoltà d'ogni genere.

«A voi, vecchi arnesi di guerra questo Museo. Protettori un tempo dall'offesa nemica siate qui ora i protetti dall'ingiuria del tempo e dell'oblio.»

Guidati dal direttore del museo, il Comandante Grana, valorosa figura d'ufficiale che è innamorato della sua missione, coadiuvato nel suo compito da fedeli collaboratori, sottufficiali, marinai ed operai che hanno saputo eseguire con cura ed abilità infinita tutti i lavori di attrezzatura e rifinitura dei modelli dei bastimenti a vela e delle navi da guerra, percorriamo le varie sale che si arricchiranno ancora di nuovo materiale sempre più interessante e variato.

Nel grande salone, lungo ben settanta metri, dove si tengono le riunioni e le conferenze di storia e cultura agli ufficiali di Spezia, sono raccolti parecchi cofani delle bandiere di combattimento di vecchie navi ora scomparse dai ruoli del naviglio della nostra Marina. E leggiamo i nomi scolpiti che ci fanno rievocare pagine di storia e di gloria: ecco i cofani della Palestro e del Re d'Italia, le navi di Cappelletti e di Faà di Bruno, il cofano dell'Aretusa e dell'Etruria; cofani che sono un capolavoro d'intarsio in legni pregevoli e in bronzo, di ogni formato, da quelli grandiosi delle corazzate a quelli piccoli e cesellati come scrigni preziosi delle unità minori a quelli semplici, buste di cuoio o tubi con il solo nome della nave e lo stemma, che ricordano nella loro semplicità l'anima del marinaio rude e modesto d'una modestia spesso esagerata che ha valso alla nostra marina, durante la guerra, il meritato appellativo de «la grande silenziosa».

E tutta l'opera mirabile ed il lavoro della «grande silenziosa» si può ben comprendere ed ammirare nelle sale dove son riunite le vaste collezioni d'armi di ogni specie, i resti di siluri e di proiettili nemici scontorti e squarciati, mentre una bella serie di fotografie illustra episodi e momenti della guerra in Adriatico contro i sommergibili austriaci.

 


Sala “Artiglierie”

 

Dalle piccole colubrine d'un tempo ai modelli dei primi mortai ad avancarica che costituivano la principale difesa delle piazzeforti di Spezia e de La Maddalena, dai primi tipi di siluri alle spolette ed alle torpedini di massima precisione ed ai modelli dei cannoni moderni da 431 e 450 e degli obici i cui enormi proiettili sezionati mostrano le cariche autentiche che impressionano per la loro terribile potenza. Alcune mitragliatrici cinesi dalle canne istoriate e cesellate, prese dai nostri marinai nella guerra contro i boxers, armi turche e ricordi della guerra di Libia, proiettili di ogni genere e dimensione, mine e bombe contro i sommergibili ad alta potenza, strumenti nautici e di precisione, bussole di ogni tipo dalle più antiche alle più precise e perfezionate.

 


La sala delle “armi subacquee” (siluri e torpedini)

 

E' tutta una raccolta di armi, materiali ed oggetti disposti sui lunghi tavoli e negli scaffali che si alternano lungo le pareti con panoplie e trofei di guerra.

In una saletta è l'apparecchio originale che servì all'ingegner Rossetti per compiere tutte le lunghe esperienze e gli allenamenti prima di tentare, insieme a Paolucci, l'ardua e magnifica impresa di Pola. Un minuscolo battellino a forma di siluro, lungo appena tre metri; si direbbe un innocuo sandolino od una canoa da diporto e invece fu il mezzo col quale i due intrepidi marinai seppero violare la più potente base navale e affondare la più grande e moderna corazzata nemica.

 


L’apparecchio del comandante Rossetti

 

Una sosta davanti ad un'altra minuscola imbarcazione, l'unico resto della torpediniera 05 S che, nella tragica notte del 7 ottobre 1890 sparì, con l'intero equipaggio, traversando il canale di Piombino colta da una furiosa tempesta. Una corona di ferro, pietoso e commovente omaggio dei marinai ai fratelli vittime del dovere, spicca tra due remi spezzati ed un salvagente logorato, sul banco della piccola barca.

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La sala più vasta del museo, lunga circa settanta metri, è dedicata all'architettura navale con una raccolta interessante e varia di modelli di navi e bastimenti della marina da guerra d'una volta, di scali di costruzione, bacini di carenaggio riprodotti in ogni più minimo particolare, argani, draghe, torri corazzate, fiancate e parti di navi di ogni tipo ed epoca.

Nel fondo del salone è una grande barca a venti remi sulla cui prora spicca l'aquila Sabauda, coperta da un ricco baldacchino guarnito in velluto; è l'antica autentica lancia reale adibita, sino ad alcuni anni fa, prima degli odierni motoscafi, a trasportare i Sovrani a bordo delle navi da guerra. Alle pareti sirene intagliate e dorate, draghi marini, stelle e nodi di Savoia, i fregi che ornavano le navi a vela della Marina da guerra sarda e napoletana si alternano con stampe e quadri rappresentanti marine e battaglie navali.

 


L’antica lancia reale

 

Altra imbarcazione originale e storica è la lancia che servì al trasporto di Giuseppe Garibaldi, dopo la ferita d'Aspromonte, da Spezia alla storica fortezza del Varignano.

Tra i numerosi modelli di navi esposti nel salone assai interessanti sono quelli che riproducono i due più grandi bastimenti della marina italiana durante il Risorgimento.

Uno è la riproduzione del vascello a vela e a vapore «Monarca» la più grande unità della marina da guerra del Regno Napoletano e che, catturata da Garibaldi dopo il suo ingresso in Napoli, cambiò il nome in quello di Re Galantuomo; l'altro è la riproduzione del vascello La Vittoria, della marina sarda costruito per poter combattere il Monarca, con vantaggio per armamento e velocità.

I due modelli con le attrezzature complete delle vele e le armature sono stati eseguiti e rifiniti in ogni minimo particolare con fedeltà e infinita abilità da un vecchio nocchiero della Marina, già istruttore all’Accademia Navale di Livorno e che, coadiuvato da altri pazienti ed appassionati artefici, ha costruito tutti i modelli di navi per il Museo della Marina di Spezia.

Il suo capolavoro è la riproduzione perfetta e fedele della «cala» del nocchiere, il deposito del nocchiere capo che, sui bastimenti a vela dell'antica Marina, dopo il comandante, era e rappresentava la persona più pratica e più competente che regolava e dirigeva la quotidiana vita di bordo nei lunghi periodi di navigazione. Nella sua «cala», ricostruita in una stanzetta dove si penetra dal basso sportello, è un deposito vario e multiforme di tutto quello che può occorrere a bordo, un vero e proprio bazar dove, appesi alle pareti e alle grosse travi del soffitto, nelle nicchie o allineati lungo le fiancate, si alternano gli utensili e gli oggetti più strani e differenti.

 


La «cala» del vecchio nocchiere

 

Rotoli di gomene di ogni dimensione, mazzetti di cordicelle, lenze per la pesca, aghi ed ami, l'ascia d'abbordaggio e i coltelli da cucina, il girarrosto ed il tamburlano per tostare il caffè, pentole, secchi di legno e mastelli, vele e pezze di tela. In un angolo la panca a schiena d'asino sulla quale venivano legati, anzi per dirla proprio nel gergo del nocchiere «imbracciati» i marinai puniti, per mezzo di speciali ferri, scope e fretazzi per il lavaggio del ponte, mentre presso la lampada ad olio penzola dal soffitto il caratteristico «cazzotto» di tabacco, una specie di salame di tabacco pressato che veniva distribuito a pezzi ai marinai nei giorni festivi.

Ricordi di tempi passati e ormai lontani che rievocano figure e profili d'un tempo, mentre l'acre e caratteristico odore del catrame diffuso nel piccolo ambiente, dà al visitatore la perfetta illusione di essere a bordo e di poter scorgere il mare, affacciandosi all’houblot incorniciato nella parete della «cala» del vecchio nocchiere.

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La parte storica del Museo che, come ho detto, è quella che può maggiormente interessare gli studiosi e gli appassionati è riunita nell'Archivio del Museo non ancora completata e riordinata definitivamente perché devono essere ancora esaminati molti libri e giornali di bordo che possono celare tra le loro pagine ingiallite e spesso rosicchiate dai topi documenti originali di sommo interesse e valore.

Esaminiamo sui lunghi tavoli e negli scaffali le carte ed i libri che possono documentarci in modo certo molti periodi del nostro Risorgimento e lumeggiare aneddoti ed episodi poco noti. Ecco una pagina di bordo della fregata a vela Des Genejs il comandante in capo della piccola flotta Sarda, ammiraglio e Governatore, al tempo stesso, della città di Genova, che ci ricorda un avvenimento che doveva produrre conseguenze di non lieve importanza per la storia d'Italia.

Il giorno 3 febbraio 1834 l'ufficiale di guardia scrive nel libro di bordo che «due marinai di terza classe trovandosi a terra (a Genova), sotto pretesto di malattia, furon sospetti di cospirazione contro il Governo e, a tal effetto, uno fu imprigionato, l'altro chiamato Cleombroto, se ne riuscì a fuggire». Ora immagina mai il lettore chi fosse il marinaio di terza classe, cosi si chiamavano allora le reclute, a cui era stato imposto il nome di un antico re Spartano?

Altra usanza questa di dare un nome di guerra, tratto dalle antiche storie, alle reclute, sostituito poi dal numero di matricola. Era Giuseppe Garibaldi che riuscito a fuggire all'estero fu condannato a morte per diserzione dal Tribunale Militare, in contumacia per fortuna sua, e più ancora degli italiani.

In un quadro alla parete è il primo ruolo nominativo degli ufficiali della R. Marina da guerra sarda del 27 ottobre 1815, un vero cimelio, elenco che comprende 25 ufficiali in tutto, tra i quali figura Giorgio Mameli, padre di Goffredo.

Venticinque ufficiali e quattro navi da guerra era la forza della Marina Sarda; quanto cammino percorso in un solo secolo di vita!

Spigoliamo ancora tra i vecchi libri di bordo: ecco la storia di una spedizione di due fregate contro il Bej di Tunisi, compiuta nel 1825, il quale, accusando a pretesto il mancato pagamento di una tassa di quattromila piastre da parte del Console sardo, aveva dichiarato guerra al Re Carlo Felice e preso in ostaggio dei bastimenti genovesi. Spedizione che costò solo pochi colpi di cannone ed uno scambio interminabile di lettere e note diplomatiche essendosi immischiata nell'affare anche la Francia.

La tragica ed infausta giornata di Lissa è ampiamente illustrata e documentata attraverso lettere e i libri di alcune navi che rievocano le varie fasi del bombardamento del Re di Portogallo e dell'affondamento della Palestro, insieme a rapporti autografi di Persano e dei comandanti S. Bon, Albini e Lercari.

Un altro ricordo garibaldino nel giornale del brigantino Colombo a bordo del quale il generale, dopo la sua fuga da Roma, partì per l'esilio sbarcando il 24 ottobre 1859 a Gibilterra. Tra un pacco di documenti e carte ingiallite una lettera che raccomanda al Ministro della Marina del 1825 un «nuovissimo naviglio subacqueo» chiamato dal suo inventore «Nereo Cervellera» uno dei primi antenati dei moderni sommergibili; autografi di Lamarmora, Carlo Alberto, Cavour durante la sua breve permanenza al ministero della Marina e di altri uomini illustri del Risorgimento. Alle pareti, interessantissima la raccolta dei disegni fatti eseguire dal colonnello Chiodo per la trasformazione del golfo di Spezia nell'odierno, munito e potente porto militare, e in un cofanetto a vetri un frammento del feretro del generale Lamarmora morto di colera a Sebastopoli nel 1855.

Le ore sono trascorse celermente e il fischio rauco delle sirene nel porto e il colpo di cannone meridiano ci sorprende ancora in ammirazione di altri cimeli e ricordi nelle sale del Museo che merita di essere visitato e conosciuto da tutti gli italiani perché imparino a conoscere e ad apprezzare sempre più nel loro giusto valore le grandi e superbe doti della nostra magnifica marina di guerra, della austera e tenace «silenziosa» sempre pronta in pace e in guerra per la gloria e la grandezza d'Italia.