Da “LA LETTURA” – Corriere della Sera Editore
Anno XXV - n. 10
1 ottobre 1925

 

I CODICI MINIATI DI PIENZA
di G. B. Mannucci

 

 

La storia della miniatura senese è ancora da farsi. Molti eruditi hanno studiato con amore la vita e le opere dei vecchi artefici senesi, ma nessuno finora ha saputo mostrare l'importanza dell' opera nella vera storia dell'arte.

Ora siccome allo studioso accade spesso di osservare che la provincia di Siena è singolarmente ricca di pitture, e non solo, come generalmente si crede, di quadri di devozione, cioè di Madonne in trono o di polittici ricchi di figure isolate, viventi una vita bellissima, ma puramente interiore; ma bensì anche di pitture narrative, cioè di quella serie di miniature, il cui vanto si vuole dare intiero alla scuola francese e fiamminga. Infatti un centinaio di pittori, di miniatori e di scultori dei secoli XV, XVI e XVII hanno avuto la pretesa, specialmente in Francia, di far proprie le geniali finzioni del Petrarca, facendo proprie le immagini più squisite, piene di freschezza e di grazia. La nostra Toscana è ricchissima di lavori in minio, tanto che il Vasari di alcuni libri corali del Beato Angelico, che oggi sembrano perduti, ci dice che «erano tanto belli che non si può dir di più». Co-simo il Vecchio ordinava a Fra Benedetto di Mugello, fratello del Beato Angelico, di scrivere e miniare corali per la chiesa di S. Marco in Firenze. Parimente il Vasari rammenta don Jacopo Monaco che fu «il migliore scrittore di lettere grosse che fosse prima o sia stato poi non solo in Toscana, ma in tutta Europa»: e sono celebri le miniature di don Lorenzo Moco alcune delle quali si conservano nella pinacoteca della Collegiata di Empoli. In gran numero poi sono i libri rimasti miniati nel XIV e XV secolo dai Domenicani, dai Camaldolesi del monastero di Santa Maria degli Angeli in Firenze, dai monaci e laici pel monastero di Monteoliveto Maggiore, conservati oggi nella Cattedrale di Chiusi.

A partire poi dalla metà del secolo XV i fiorentini si fanno come una specialità dell'illustrazione dei Trionfi. Conosciamo almeno una ventina di manoscritti provenienti dalle loro officine. I più antichi fra essi non brillano però né per vigore, né per limpidezza d'inventiva, né per la finitezza di esecuzione: nulla di più povero di questa messa in azione, nulla di più tozzo della loro caratteristica. Il più antico manoscritto miniato nella Biblioteca Laurenziana è un codice delle rime e dei trionfi del Petrarca, opera di Gherardo discepolo di fra Bartolomeo della Gatta, abate di S. Clemente in Arezzo, pittore, architetto e musico, che si conserva nella stessa Biblioteca Laurenziana. Anche il miniatore Altavante o Vante illustrò Silio Italico: lavoro che secondo il Ranelli fu «vero miracolo d'arte». Anche nella Pinacoteca della collegiata di Empoli si conservano alcuni corali miniati dallo stesso autore.

Poi mano mano si notano lusinghieri progressi nell'interpretazione delle idee petrarchesche, e il manoscritto della Biblioteca Nazionale di Parigi compiuto nel 1475-1476, da A. Sinibaldi è abbellito da superbe miniature. Le composizioni sono di una finezza incredibile. In seguito i miniatori si dettero a qualche bicchiere smaltato e ad alcune majoliche: i bicchieri del museo di Vienna e del British Museum, le majoliche del Souh Kensingthon Museum e delle collezioni Francis Crok sono i più notevoli.

Ma a noi preme oggi in questo spunto di critica accennare alle miniature del secolo XV, nelle quali non troviamo soltanto ingenue intenzioni, ma bensì molte di quelle caratteristiche di verità e di vita che fanno la gloria dei miniatori italiani del quattrocento. In uno scritto che deve essere per necessità breve, noi non possiamo passare in rassegna e molto meno fare un confronto storico ed artistico di tutte le miniature che si trovano nelle nostre chiese, nei nostri conventi, nei nostri musei. Ripeteremmo, sia pure dirizzandole ad un fine diverso, cose già dette da altri. Ma vi è in una cittadina, che nel riguardo dell'arte dipende dalla scuola senese e anche un po' dalla fiorentina, una collezione ricchissima di miniature del 1462, nonostante che mani sacrileghe nel 1904 ne asportassero dal luogo ove prima si tenevano non abbastanza custodite 113 fogli: collezione fino ad oggi poca studiata e quasi sconosciuta alla critica moderna; parlo delle miniature del museo di Pienza. Orbene questa collezione per la storia dell'arte della miniatura è una delle più interessanti e fino ad ora non ha goduto la fama che le sarebbe dovuta. Persino il ben noto critico d'arte Eugenio Müntz, così avido e diligente nel cercare opere e pittori che lo aiutino a dimostrare tutte le varie caratteristiche e tutte le manifestazioni dell'arte italiana, non è di eccessiva tenerezza per la miniatura senese. Ora la necessità del commento figurato è viepiù chiara ed indispensabile, quando si tratti di miniature poco note o ignote affatto, perché il lettore potrebbe troppo agevolmente dubitare della buona fede o del gusto del critico, se le figure non ne venissero a corredare e compiere le affermazioni.

Le miniature in esame e che riproduciamo sono quelle attribuite a Sano di Pietro e a Pellegrino di Mariano, pittori senesi che nel 1462 hanno lavorato nei corali di Pienza per ordine di Pio II, come apparisce dai libri di pagamenti fatti per conto del papa da Nicolò di Piccoluomo Piccogliuomini. Esse rappresentano: la Natività; il battesimo di Gesù; l'Annunciazione; San Martino che offre il mantello al viandante; San Lorenzo; San Pio I; un santo profeta e Pio II. Secondo il Müntz ed il Fabre, Pio II ebbe come miniatori anche Clemente da Urbino, Giacomo da Fabriano, Andrea da Firenze e prete Nicolò da Genova: non è perciò improbabile che anche questi artisti abbiano lavorato nei corali pientini. Noi però ci soffermiamo ad esaminare brevemente soltanto le miniature che qui riproduciamo e che sono attribuite ai due pittori senesi Sano di Pietro e Pellegrino di Mariano, perché per quel naturalismo che le ravviva e per l'armonia della composizione sono quelle che meglio giovano a dimostrare la loro importanza ed il loro valore. Anche tutte le altre non sono per questo rispetto meno importanti, ma presentano un carattere diverso ed una esecuzione meno accurata. In tutte, ma specialmente in quelle attribuite ai due citati miniatori, che sono la maggior parte, i personaggi sono veri, giusti, espressivi, vestiti come i popolani del tempo, senza gli ornamenti e le bende tradizionali. Nella miniatura raffigurante l'Annunciazione della Vergine e la Natività del Salvatore nessuna novità di motivi e di concezione, ma un aspetto così venerabile e antico che si può dire la tradizione, la verità e la semplicità abbiano superato l'ispirazione. La Madonna poi deliziosa, piena di grazia e di soavità: in queste due scene si trova veramente quel non so che di mistico e di soave che appartiene proprio ai pittori senesi e proprio a loro: quel misticismo terreno che pur essendo inferiore a quello divino e celeste dell’Angelico, non è men ricco di grazia e di dolcezza da far pensare alle più squisite concezioni del Gentile. Nella miniatura riproducente San Lorenzo martire, la veste scende ampia e con eleganza: bellissima la figura del pellegrino che col suo bordone e col suo piccolo sacco e con le mani giunte ascolta la parola del santo: nei tre personaggi non abbiamo i soliti ascoltatori di prediche, viventi ognuno per conto loro, animati da una commozione generale, ma puramente particolare: tutti e tre invece mostrano una uguale compiacenza ed attenzione: è una bella scena viva e armoniosa, scevra di quegli episodi veristi, che piacciono si per la loro ingenuità e per quella tendenza alla ricerca e allo studio del vero, ma che però non accrescono nobiltà alle sacre rappresentazioni e ai fatti della storia religiosa. In tutte le altre raffigurazioni, benché ornate e vestite dei soliti manti liturgici e condotte secondo le vecchie norme iconografiche del medioevo, vi è unità di sentimento, di espressione e di vita, che è veramente ammirabile. Né manca il particolare realista nel battesimo di Gesù e nel San Martino che monta un bel cavallo bardato nell'atto che con la spada taglia il proprio mantello per coprire il nudo viandante: si ha in esse l'illusione del moto che aumenta la grazia delle caratteristiche ed armoniose figurazioni. In tutte le miniature del museo di Pienza più o meno manca una perfetta anatomia, ma vi sono però mosse e scorci bene imitati, fisionomie espressive che sono veri ritratti, come quelle che riproduciamo, bene tratteggiate, ammirabili in pittori al principio del Rinascimento. Nei corali pientini si trova pure raffigurata l'immagine di Pio II nascosta in un fregio della prima pagina del graduale I. Questo ritratto interessantissimo di Enea Silvio Piccolomini è certamente sfuggito a quanti critici e storici si sono interessati della vita e delle opere del pontefice umanista. In questa piccola miniatura, che riproduciamo quasi al naturale, ci sembra che la testa sia piuttosto grande, come ce la descrive il Campano e ce la raffigura il Guazzalotto, sorretta da un collo corto come si conviene ad un uomo di statura mediocre: i lineamenti netti e ben determinati, malgrado l'adipe un po' floscia che ingrossa la gola, rende cascanti le guancie e conferisce alla figura un'espressione singolare di deperimento. La fronte alquanto corrugata, lo sguardo, le labbra strette, ma ben pronunziate, par che rianimino quel volto avvizzito; par quasi che l'anima voglia reagire contro l'infiacchimento della materia non senza che una certa bonarietà temperi l'atteggia mento severo, il cipiglio della fisionomia! Se poi si pensa che i corali di Pienza furono fatti miniare da Pio II nel 1462 e proprio due anni avanti la sua morte, si può affermare con tutta franchezza che questo suo nuovo ritratto, che oggi apparisce in una miniatura sconosciuta di un suo contemporaneo e vivente lo stesso pontefice, sia da ritenersi come la pietra di paragone, alla quale si debbano saggiare le altre immagini di Pio II contemporanee o di poco posteriori, per stabilire se e quali si possono considerare come veri suoi ritratti. In questo breve spunto di critica sulle miniature dei corali del papa Piccolomini conservate nel museo di Pienza noi abbiamo voluto soprattutto dimostrare che la profondità del sentimento religioso o come oggi i più preferiscono dire, il misticismo della figurazione è del tutto indipendente dalla maggiore eccellenza della forma: che il loro misticismo è ingenuo e ricco, come accade nell'età di fede ardente e sincera, che in-somma vi è un realismo diverso da quello della scuola fiorentina e specialmente della scuola francese e fiamminga: realismo che non per questo cessa di avere la sua importanza, ma che anzi ha il pregio dell'originalità per quanti comprendono tutta la storia dell'arte e della pittura senese ai primi albori del Rinascimento.

 

 

(miniature di Sano di Pietro – Secolo XV)

 


La vocazione di Sant’Andrea

 


L’Annunciazione

 


Battesimo di Gesù

 


Un drago

 


Gesù orante nell’orto

 


San Giovanni Evangelista

 


San Lorenzo

 


San Martino che offre il mantello al viandante

 


La nascita di Gesù

 


La natività di N. S. G. C.

 


San Nicolò

 


Ritratto di Pio II

 


Un Santo Profeta