Da “SAPERE” – Ulrico Hoepli Editore
Anno VII – Volume XIII – Serie Seconda – n. 31/151
15 aprile 1941 – XIX

 

 

LA SPEDIZIONE DI FERNANDO CORTES
per la conquista del Messico e la curiosa iconografia azteca
di Ernesto Bertarelli

 

 


Mappa dell’itinerario seguito da Cortes nella sua spedizione da Vera Cruz al Messico. (La mappa è tolta dal National Geographic Magazine, settembre 1940. La toponomastica nord-americana diversifica lievemente da quella seguita dai cronisti contemporanei di Cortes).

(click qui per avere la mappa in maggior dimensione)

 

Nessuna conquista militare, forse, uguaglia per sapore romanzesco quella compiuta da Fernando Cortes nel 1519 quando con un pugno coraggioso di uomini questo avventuriero conquistava il Messico rivelando un ardimento che sa di follia.

La storia dell'avventura militare è ben nota. Fernando Cortes di Medellin in Estremadura discendeva da una famiglia della piccola nobiltà castigliana. Era nato nel 1485 e ancora giovanotto aveva dimostrato la sua intolleranza per ogni disciplina, e l'amore per le avventure. Questo suo amore lo aveva portato nel 1504 a S. Domingo, desiderando egli tentare la sorte per la conquista della sua fortuna nelle terre recentemente scoperte: e nel 1511 lo troviamo a Cuba segretario del Governatore don Diego Velasquez.

La esistenza quieta non era fatta per l'ardente castigliano: ed in seguito ad una complicata avventura galante il giovane Cortes dovette provare i ferri e vide in pericolo il suo avvenire. L'avventura finì con un regolare matrimonio, e la buona stella di Cortes volle che il governatore di Cuba, anche per disfarsi di lui, gli affidasse una non facile spedizione verso le terre recentemente scoperte allo Yucatan.

Questa penisola era stata esplorata da Grijalva il quale si era perduto coi suoi uomini in mezzo a tribù ostili. Un luogotenente del Grijalva prima (Alvarado) e il Grijalva poi avevano potuto riportare a Cuba notizie delle nuove regioni delle ricchezze e delle meraviglie che esse nascondevano: appunto in questa occasione il governatore di Cuba decise di inviare una spedizione armata sia per rintracciare gli Spagnoli scomparsi, sia per dare notizie esatte delle terre promettenti intorno alle quali cominciavano ad accumularsi le leggende; ed eventualmente conquistarle. Fernando Cortes fu scelto come capo della spedizione.

La piccola flotta agli ordini di Cortes contava undici caravelle (in gran parte di minuscolo tonnellaggio) a bordo delle quali si raccoglievano 508 soldati spagnoli e 200 indigeni cubani assieme con qualche donna.

Nei primi giorni del febbraio 1519 questo gruppo di ardimentosi si avviava ad una delle più emozionanti conquiste che ricordi la storia militare.

Cortes aveva il dono della parola e sino dagli inizi seppe infondere alla piccola truppa un indicibile entusiasmo nel quale si mescolava lo spirito della conquista al desiderio di convertire gli indigeni. Inoltratisi dapprima per il canale dello Yucatan, visitarono l'isola di Cozumel nella quale si trovavano tracce evidenti di una antica civiltà ancora sconosciuta: e dall'isola la piccola flotta drizzò le vele verso il capo Cartoche.

Presso la costa Cortes trovò uno degli spagnoli perdutisi colla spedizione di Grijalva, un tale Geronimo de Aguilar che era rimasto captivo degli indigeni assieme al pilota Gonzalo Guerrero. Geronimo si era unito ad una india ed aveva assunto tutte le abitudini degli indigeni: comunque l'incontro valse a Cortes come un augurio di fortuna.

Cortes proseguì verso le nuove terre in mezzo alla ostilità delle tribù indie le quali in varia guisa tentarono di sterminare la spedizione; e il 25 marzo una grande battaglia ebbe luogo nella piana di Ceutla tra alcune migliaia di indii e la piccola armata castigliana. Gli indiani sommavano a circa 16.000: ma i cannoni prima, i cavalli ed i cani di Cortes poi, decisero della battaglia. Innanzi alla meraviglia del fuoco misterioso e degli animali non mai veduti, le truppe azteche cedettero. Cortes non abusò della vittoria: rilasciò i prigionieri incaricandoli di messaggi per il loro capo.

Il giorno susseguente la battaglia i Messicani si presentarono con doni e con ostaggi tra i quali erano delle fanciulle. Una di queste, l'indiana Melitzin (che è sempre ricordata col nome spagnolo di Marina) era destinata a Cortes. La fanciulla era estremamente intelligente e tra l'altro conosceva molti dialetti nonché qualche parola spagnola appresa dai naufraghi gettati tra gli Aztechi. Cortes volle essa ricevesse il battesimo dopo di che fece della fanciulla la sua amante, la consigliera e la interprete fida per la ulteriore avanzata.

Malitzin (o Donna Marina che dir si voglia) fu la ninfa Egeria della spedizione ed il suo nome è sopravvissuto come quello di colei alla quale in buona parte gli Spagnoli devono il successo della folle impresa.

Il giovedì santo (20 aprile 1519) la flotta gettava le ancore in vicinanza della località ove sorge oggi Vera Cruz. Il 21 aprile le truppe sbarcavano dalle navi ed il condottiero organizzò subito un campo trincerato mentre avvertiva il capo locale che era suo desiderio vedere e parlare all'imperatore Montezuma la cui fama era arrivata agli Spagnoli. Per terrorizzare gli indigeni fece sparare a salve tutte le artiglierie: e il rumore spaventoso delle armi sconosciute operò assai più di ogni ragionamento. Il cacico locale Teuhtlile accettò l'incarico dell'ambasciata ed anzi volle recare al monarca un casco spagnolo che doveva ritornare a Cortes pieno di polvere d'oro. Nel frattempo a Mextli (Messico) sul grande lago di Tezeuco, Moctehuzoma Xoyocotl (che gli Spagnoli designavano più brevemente col nome di Montezuma) era stato avvertito dell'avanzata spagnola. Da 17 anni Montezuma regnava sopra vari milioni di uomini estendendo la sua autorità dall'uno all'altro oceano. Nel momento dell'arrivo di Cortes il suo potere era all'apogeo e il vasto impero raccoglieva un gruppo numeroso di regni.

I capi messicani chiamati a consiglio dal monarca espressero pareri diversi: taluno come il re Cacamatzin, era di avviso di accogliere amichevolmente gli stranieri; altri consigliava di venire alle armi, tentando di distruggere l'armata spagnola. Montezuma si attenne ad un partito intermedio: interdì l'accesso a Messico, ma inviò nello stesso tempo una ambasceria a Cortes accompagnandola con doni e con parole di pace.

I doni inviati comprendevano tra l'altro un grande sole in oro, lavorato, dei gioielli di grande valore, delle pepiti auree raccolte nel casco prima inviato da Cortes ed una grande quantità di oggetti svariati di fine lavoro.

Dopo qualche incertezza derivante dalle diverse opinioni manifestate dagli ufficiali spagnoli, il pensiero di Cortes prese il sopravvento e la conquista fu decisa. Cortes in questa occasione diede prova di grande spirito diplomatico. Si garantì l'amicizia di alcuni capi ostili all'imperatore; fondò la città di Villa Rica de Vera Cruz (il duplice nome riassumeva la speranza dei conquistatori e l'emozione derivata dai doni inviati da Montezuma) lasciandovi un pugno di Spagnoli a custodia, ed iniziò la sua marcia verso la capitale. I cronisti narrano che per tagliar corto alle minacce di sedizione e per indicare nettamente ai suoi uomini che la salvezza era soltanto nella conquista, Cortes diede fuoco alle navi (di esse una era stata rispedita in Ispagna colla notizia dell'impresa iniziata e coi doni inviati da Montezuma), adducendo la scusa del loro pessimo stato.

Per poco non ne derivò una rivolta; e a questa minaccia si aggiungeva un pericolo nuovo poiché arrivavano a Villa Rica tre navi provenienti dalla Giamaica coll'ordine per Cortes di sospendere la spedizione. Cortes risponde con un atto di audacia: cattura parte dell'equipaggio mentre le navi volgono in fuga, e senza indugio inizia la spedizione con un esercito che a metà agosto 1519 comprendeva 400 fanti, 15 cavalli, 7 cannoni, 1300 armati indii e 1000 portatori, oltre a 40 notabili aztechi. Le restanti forze rimasero di guarnigione a Vera Cruz.

La minuscola armata si avviava per un cammino sconosciuto (Cortes ignorava la distanza di oltre 200 miglia che lo separava dalla capitale) in mezzo a popolazioni ostili, tra la vegetazione quasi magica delle agavi, dei cedri giganti, delle liane aggrovigliate a mo’ di serpenti. Pericoli d’ogni sorta erano tutt'intorno: gli indii minaccianti, la rivolta sempre pronta ad esplodere, l'invidia che a Cuba e alla Giamaica non avrebbe mancato di preparare nuove insidie... Bisognava risalire una catena montuosa erta e scabrosa, trascinare i cannoni per sentieri da capre, procurare l'alimento in un paese nemico e sconosciuto. Ma nessun ostacolo poteva trattenere Cortes. Egli varca l'Antigua, risale sino a Xocotlan, persuade colla parola di Marina il cacico Olinteche e si dirige su Cholula in mezzo alle popolazioni Tlascalteche. A Tlascala l'ostilità degli indii si rende manifesta e la piccola schiera deve sostenere un primo urto. Ma la sorte è decisamente favorevole a Cortes: e alcuni dissidi tra i vari gruppi aztechi impediscono lo schiacciamento del conquistatore spagnolo, il quale continua la sua marcia. A Tlascala Cortes riesce a definire una alleanza col capo della regione, dal quale ottiene uomini e provviste. Il 20 settembre giungono messi di Montezuma con proposte amichevoli e con doni. Cortes accoglie le proposte e il 23 settembre riprende la marcia in avanti verso la capitale. L'esercito di Cortes giungeva finalmente a Cholula poco lontano dal vulcano Popocatepetl che si trovava in periodo di piena attività eruttiva.

Cholula era la città santa degli Aztechi. Ivi sorgeva il tempio del dio Quetzalcoatl al quale erano sacrificate ogni anno migliaia di vittime umane. Gli Spagnoli entrarono nella città santa tra la meraviglia attonita degli indigeni. Donna Marina seppe guadagnarsi la confidenza degli indii e in tal modo conobbe che al di là della città erano imboscati 20.000 armati pronti a gettarsi su Cortes. Questi avvertito dall'amica prese le opportune disposizioni difensive, e al momento voluto iniziò l'attacco che si mutò in una carneficina per i Messicani.

Cholula restò nelle mani di Cortes che ristabilì l'ordine traendo profitto dell'odio antico degli abitanti di Tlascala per i Cholula. Ed in quei giorni un ufficiale di Cortes, Diego de Ordaz, tra lo stupore degli indigeni toccava per primo la sommità del vulcano Popocatepetl alto ben 5400 m. compiendo quella che è indubbiamente la prima grande scalata montana della storia.

La strada era cosi aperta verso Messico. La capitale era assisa su due isole (Teuochtitlan e Tlotelolco) in una posizione che doveva apparire imprendibile. La metropoli comprendeva 300.000 abitanti disposti in 60.000 abitazioni. Attorno al lago sorgevano numerose borgate costituenti una specie di grande cintura difensiva.

Si inizia allora il giuoco diplomatico ed astuto di Cortes il quale comprendeva nettamente come sarebbe stato facile agli Aztechi schiacciare la sua piccola armata. Questa contava 400 Spagnoli e circa 7000 indigeni alleati.

L'8 novembre 1519 l'esercito di Cortes era sulle rive del lago. Montezuma si avanzò per ricevere il condottiero il quale vigilava temendo un inganno. Cortes rese la visita al monarca azteco e alcuni giorni dopo l'esercito del conquistatore entrava nella capitale, accolto con una diffidente cortesia.

L'esercito si portò verso il grande tempio ove sorgevano le statue di Tezcatlipoca e di Huitzlopoctli, cogli altari monolitici sovra dei quali si compievano i sacrifici umani.

Cortes non temette di rimproverare al monarca l'orrore dei riti messicani suscitando la indignazione dello stesso imperatore.

Pochi giorni dopo con un'audacia folle Cortes riusciva ad attirare Montezuma tra gli Spagnoli asserragliati in uno dei palazzi. Montezuma era cosi trasformato in un ostaggio ed in un prigioniero. Il re esterrefatto firmava innanzi al notaio spagnolo la sua sudditanza a Carlo V e abbandonava a Cortes i suoi tesori.

La tragedia finale si iniziava.

Nel frattempo a Vera Cruz giungeva una flotta comandata da Narvaez coll'ordine di arresto per Cortes, il quale si trovava cosi tra due fuochi. Cortes lasciò a Messico un piccolo esercito agli ordini di Pedro de Alvarado e con 70 soldati scelti e ben sicuri riprese la marcia verso il mare, il 15 maggio 1520. Lungo la strada il minuscolo esercito si ingrossò e Cortes giungeva a Vera Cruz con forze sufficienti per affrontare la situazione. A Cempoal l'esercito di Cortes valendosi dell'oscurità della notte prendeva di sorpresa le forze di Narvaez e le annientava. Intanto a Messico le cose volgevano al peggio. Cortes a marce forzate ritornò ai laghi ove sorgeva la capitale, e dove gli errori quasi incredibili di Alvarado avevano reso facile l'attacco agli Spagnoli.

Montezuma era sempre prigioniero ma le forze azteche preparavano un attacco micidiale. Questo si scatenò tumultuoso. Montezuma sospinto da Cortes volle parlare ai sudditi: ma, insultato dai suoi fedeli, accusato di viltà l'infelice monarca fini miseramente, mentre gli Spagnoli subivano una disastrosa sconfitta. Ai primi giorni del luglio 1520 l'esercito spagnolo era quasi distrutto, il tempio di Huitzlopoctli ritornava al suo culto feroce e varii Spagnoli erano immolati sugli altari.

Cortes ferito, assieme con un pugno d'armati si rifugiò presso i Tlascaltechi i quali non ostante la disfatta tennero fede all'alleanza. Nel frattempo a Messico era stato assunto al trono azteco Cuithahuac fratello di Montezuma e nemico giurato degli Spagnoli. Il suo primo atto di governo fu un sacrificio cruento durante il quale furono immolati tutti i prigionieri spagnoli.

La partita pareva perduta per Cortes. Poco dopo moriva Cuithahuac e il potere passava ad un giovane valoroso, Guatimozin, il quale rapidamente organizzava le forze per scacciare definitivamente gli invasori. Ma Cortes pensava alla rivincita. Due navi giunte da Cuba portavano un gruppo d'armati che volenti o nolenti si aggiunsero al manipolo del conquistatore.

In tutto l'autunno del 1520 Cortes con piccole azioni guerresche si assicurò dei territori che portavano al mare, e al termine del dicembre 1520 riprendeva l'avanzata. Questa era difficile e sanguinosa.. A Tezcuco una prima battaglia affermò la forza dominatrice di Cortes, il quale cercava guadagnare tempo trattando con Guatimozin. Nel frattempo il conquistatore con pugno di ferro soffocava i tentativi di rivolta che nascevano nel suo campo e preparava l'attacco finale.

Cortes allestì .una flottiglia di brigantini i quali dovevano permettere l'assedio della città e per ultimo fece tagliare l'acquedotto che portava l'acqua alla capitale. Il 13 agosto 1521 — giorno di S. Ippolito divenuto poi patrono del Messico — l'attacco fu iniziato con grande vigore. I Messicani opposero una accanita resistenza, ma le piccole navi di Cortes compirono miracoli e dopo una carneficina feroce ebbero ragione delle armi azteche. Guatimozin colla famiglia, fuggito in canoa, fu fatto prigioniero, il tesoro reale fu confiscato in pieno, e l'impero azteco ebbe cosi termine.

La vicenda epica di Fernando Cortes fu raccolta prima di tutto da Bernal Diaz del Castillo il quale può essere considerato come lo storiografo della conquista. Nel periodo immediatamente successivo all'impresa apparvero narrazioni varie. Tra queste un significato particolarissimo spetta all'opera del Padre Bernardino Sahagun (terminata nel 1560) il quale conosceva assai bene il Messico ed era in grado di tracciare con conoscenza di causa la « Storia generale degli avvenimenti della nuova Spagna ».

Padre Sahagun volle che artisti aztechi illustrassero il suo lavoro con disegni originali (che furono poi riprodotti in xilografia), interessanti e curiosi, perché tracciati da persone che erano stati in giovinezza testimoni degli avvenimenti epici del grande conquistatore. Il manoscritto del codice di Padre Bernardino Sahagun si trova alla Biblioteca mediceo-laurenziana (Palatino 268-270) ed è stato anche descritto dal Bandini nel suo Cat. mss. qui in Laurentianam translati sunt. (Flor. 1793, Voi. IlI coll. 454-456) e nella Rivista delle Biblioteche e degli Archivi Vol. VII (1896) pag. 173-174. Le illustrazioni non sono separate dal testo (come erroneamente ha pubblicato una rivista straniera) ma intercalate ad esso.

Le illustrazioni azteche nel loro ingenuo semplicismo esecutivo posseggono un significato di reali documenti iconografici, che non può sfuggire agli studiosi di americanismo.

Gli artisti indii non hanno scordato di riprodurre ciò che maggiormente aveva sorpreso la loro immaginazione: le caravelle, i cavalli, i cani, i cannoni, ed in una delle illustrazioni hanno anche indicato alcuni dei tristi doni che gli europei recavano al nuovo grande impero, e cioè il vaiuolo ed il morbillo.

 

 

Illustrazioni azteche tolte dall'opera di Padre Sahagun

 


Montezuma interroga lo specchio collocato sovra il capo dell'uccello magico. Appare prima il firmamento: poscia gruppi dì armati.

 


Montezuma non crede all'oracolo, e, per darne la prova, ingaggia una partita a palla. Ma perde, avendo conferma che l'oracolo non mentiva.

 


Arcieri spagnoli a cavallo.

 


Le caravelle di Cortes approdano a Vera Cruz. Sono fatti scendere cavalli, cani, cannoni. A destra si vede Marina, la ninfa Igeria di Cortes.

 


Cortes si informa dagli indii di Teuochtitlan circa il percorso da seguire. Sul fondo il vulcano Popocatepetl fumante.

 


Montezuma invia a Cortes dei cibi stregati: ma il condottiero spagnolo rifiuta i cibi.

 


Le avanguardie spagnole giungono a Teuochtitlan (Messico) e sono ricevute da Montezuma.

 


Montezuma prigioniero di Cortes è insultato dai suoi sudditi che lo accusano di viltà.

 


Sul lago Texcoco compaiono le navi spagnole fatte costruire da Cortes. I .cannoni sono rivolti verso la città.

 


Un manipolo dì spagnoli si rinchiude nel palazzo di Tlascala ed è assalito dagli Aztechi.

 


Gli Spagnoli aprono il fuoco verso la città.

 


Cortes riceve il successore dì Montezuma, Accanto siede Marina.

 


Un altro episodio della battaglia.

 


Le teste degli spagnoli prigionieri (e quelle dei cavalli) sul muro del tempio di Teuochtitlan. Esse sono offerte agli dei.

 


Il morbillo e il vaiuolo portati dagli Spagnoli colpiscono gli Aztechi.