Da “SAPERE” – Ulrico Hoepli Editore
Anno III – Volume VI – n. 69
15 novembre 1937 - XVI

 

LA MONETA DI PIETRA DELL’ISOLA DI YAP
di Willard Price

 


Un’enorme moneta di pietra che si dice valga parecchi villaggi

 

NEL PACIFICO occidentale, in un piccolo, solitario gruppo d'isole, conosciuto sotto il nome di Yap, si trova la più originale e vasta zecca del mondo.

Nelle nostre moderne città europee desterebbe senza dubbio grande sorpresa il vedere un uomo venir giù per una strada spingendo dinnanzi a sé, a guisa di ruota, una moneta più alta di lui. A Yap invece è cosa comunissima e vi sono anche monete due volte più grandi tanto che, quando sono messe in posizione verticale, per raggiungere l'orlo superiore ci vogliono due uomini di alta statura, ritti l'uno sull'altro. Ciascuna ha nei centro un foro rotondo che, in quelle rappresentanti un valore maggiore, è abbastanza grande da permettere ad un uomo di passarvi attraverso. Ogni volta che la moneta deve essere data in pagamento, si introduce un tronco d'albero nel foro ed occorrono parecchi uomini, un po' sollevandola, un po' trascinandola sui selci del vecchio sentiero tracciato nella giungla, per trasportarla alla dimora del creditore. Nella città del porto è in corso la moneta giapponese poiché Yap, che fa parte della Micronesia, è dalla fine della guerra mondiate sotto mandato del Giappone e si trova perciò sotto il controllo di questo; ma nella giungla dell'isola principale, come nelle distanti isole di Map e Rumung, il denaro giapponese non circola che assai raramente e l'antica moneta di pietra è tuttora in corso.

Mi ero recata in un villaggio della giungla per studiare i costumi degli indigeni e durante il tempo che dimorai nella capanna di stoppia del Re, mi divertivo ad osservare in qual modo la moneta di pietra servisse agli scopi commerciali. Quando, ad esempio, la Regina desiderava recarsi dai negozianti, invece di portare con sé il portafoglio, scendeva per il sentiero ombreggiato da palmizi, lungo il mare, seguita da un rozzo schiavo che sudava sotto il peso di un disco di pietra di un metro di diametro, portato a spalla a mezzo di una canna di bambù. Il commerciante del villaggio accetta di buon grado questa moneta ma, naturalmente, non può fornire in cambio mercanzie straniere, giacché nessuna banca di Tokyo o di Londra accetterebbe in pagamento questo masso roccioso, e da invece agli indigeni noci di cocco.

 


Chi va a far spese deve portar con sé la moneta di pietra. Osservate il pettine di legno di mangrova che l’uomo ha nei capelli. Quello di un personaggio di posizione sociale elevata può essere lungo da 50 a 60 cm all’incirca

 

Una volta un Capo, preso da ammirazione per uno dei miei cappelli, mi chiese se poteva averlo, pagandolo: «Prendetelo pure, gli dissi, ve ne faccio dono.» Ma il Capo non volle sentir parlare di ciò; pagò... e pagò generosamente poiché vidi giungere nel nostro atrio nientemeno che quattro schiavi i quali brontolando e ansimando trasportavano una moneta alta più di un metro e del peso di circa un quintale!

Mi chiedevo, sbalordita, che cosa dovessi farne, ma il mio imbarazzo fu di breve durata; il giorno seguente il Capo si riprese la moneta e mi rese il cappello. Quell'acconciatura straniera gli aveva attirato le beffe degli amici; a Yap infatti i cappelli, come molti altri oggetti di vestiario, sono affatto sconosciuti.

Per qual motivo gli abitanti dì Yap scelsero un sistema monetario così poco maneggevole? I "Kanakas " (operai) dì Yap, sono illetterati, e perciò non si hanno dati storici; ma, secondo una tradizione indigena, parecchi secoli or sono ad un dio saltò in mente di seminare la discordia fra uomini che, non avendo alcun motivo di farsi guerra, stavano in pace tra loro. Volle che avessero qualche cosa che li spingesse a combattersi: il denaro.

Confidò dunque a un re di Tomil (una regione della principale isola di Yap) un piano assicurandolo che sarebbe divenuto grande e potente. Il Re, ubbidiente all'ordine della celeste visione, fece vela verso il sud e, dopo aver attraversato mari sconosciuti, raggiunse le isole del gruppo di Palau, a Sud Ovest di Yap. Là trovò una specie di roccia luccicante (calcite) che fece tagliare secondo l'ingiunzione divina, dai suoi uomini, con le loro ascie, in dischi piatti come la sfera del sole o la luna piena; lì caricò poi sul suo canotto e, non senza molti pericoli, li trasportò a Yap. Il dio stregò allora il popolo dell'isola e non vi fu abitante che non fosse preso ad un tratto dal desiderio imperioso di possedere una di quelle pietre inviate dal cielo. Per ottenerle dettero al re di Tomil noci di cocco, canotti, case; ciò che costituiva una ricchezza enorme; e fu così che questo disco o ruota (come viene comunemente chiamata) divenne il mezzo di scambio per l'acquisto delle mercanzie.

Coloro, che raccontano la leggenda, dicono che da quel giorno Yap non conobbe più pace e il pomo d'oro (o per meglio dire dì pietra) della discordia tolse alle isole la loro fama di Paradiso. Prima dì allora la cupidigia era quasi sconosciuta essendovi ben poco da desiderare. Nessuno agognava le noci di cocco del vicino, perché aveva le proprie. Il cibo bastava per tutti, e non si sapeva che cosa fosse il bisogno di vestiario; ma quando questa forma di denaro fu introdotta, nacque l'avidità ed i bisticci fra parenti per disputarsi l’eredità dell'ormai famosa ruota di pietra. I litigi si estesero poi tra vicini, la guerra scoppiò tra i villaggi e così gli anziani di Yap i quali ignoravano che l’amore per il denaro è la  radice di ogni male, impararono a conoscere questa verità, facendone l'amara esperienza.

«Nove volte su dieci le liti hanno per causa l’interesse» - mi diceva appunto uno di essi. «Davvero, il dio deve essersi ben divertito alte nostre spalle!»

La quantità di questa pietra, accettata come moneta, era sul principio piuttosto scarsa ma fu più che sufficiente per generare la tentazione dì procurarne maggior copia. A tal scopo si organizzarono spedizioni, e i cercatori, non contenti dì recarsi a Palau, si spinsero fino a Guam (a Nord Est di Yap, nelle isole Marianne), dove la qualità è assai più bella. Ma Guam dista quattrocento miglia di mare sempre tempestoso. Molti canotti, ritornando con il loro pericoloso carico, si perdevano e non era raro il caso che su venti imbarcazioni partite per Guam, soltanto una rientrasse in porto.

Il valore della pietra era mantenuto elevato non solo dai pericoli che s'incontravano e dalle difficoltà che si dovevano superate, ma anche dall'impossibilità di qualsiasi contraffazione poiché a Yap non si trova la voluta specie di roccia, di cui la particolarità consiste nel deposito di calcite o carbonato di calce cristallizzato che, infiltrandosi nei crepacci delle pietre calcari o in quelle di altre rocce, vi forma delle venature. Non vi è dunque nulla di intrinsecamente prezioso nella pietra di Palau: essa ha valore per gli indigeni di Yap perché è difficile a trovarsi e perché viene accettata come valuta di scambio.

Questo strano modo di commerciare attirò, una volta, anche l'attenzione di un certo O’ Keefe, un pirata irlandese che aveva gettato l'ancora nel porto di Yap quando questa si trovava sotto il controllo della Spagna.

O' Keefe incominciò ad osservare attentamente gli indigeni con lo scopo di scoprire tutto ciò che era possibile ottenere da loro e non tardò a capire che, pur di avere monete di pietra, essi avrebbero dato in cambio copra (seme di cocco essiccato), pesce, ed ogni altra cosa che possedessero. Benissimo - pensò l'Irlandese - Vogliono le monete di pietra; ebbene le avranno.

Si trovava in condizione di poter soddisfare i desideri degli abitanti che, a quanto aveva inteso dire, richiedevano soprattutto "ruote dì pietra" di grandi dimensioni, poiché il suo schooner poteva trasportare massi molto più grossi di quelli che venivano imbarcati sui canotti degli indigeni.

Questa storia mi fu raccontata da un vecchio marinaio di Yap che aveva un occhio losco e sul braccio sinistro un tatuaggio rappresentante un trifoglio ed era stato per molti anni sulla nave del capitano O' Keefe.

«Fece vela per Palau» mi disse «e quando vi fu giunto, si recò dal Re e gli espose la sua richiesta: Aveva bisogno di molti uomini che lo aiutassero a scavare la moneta di pietra.»

«Che cosa mi darete?» domandò il Re.

Il capitano dette corda, colori per dipingere i corpi dei morti, tinture per le lava-lava (sorta di cintura) e alcuni fucili, promettendo di aggiungerne altri quando il lavoro fosse finito.

Gli uomini di Palau scavarono per mesi ed anni; non ci voleva molto tempo per tirar fuori i massi di piccole dimensioni ma per i grandi blocchi sferici occorrevano per lo meno due anni. Il Capitano intanto si occupava di far trasportare a Yap le "ruote di pietra" che vendeva agli indigeni in cambio di copra, ma non pagava gli uomini di Palau e si mostrava crudele con loro.

Questo stato di cose irritò i Capi che decisero di cercare un'occasione per punirlo.

Quest'occasione non tardò a presentarsi; una volta lo schooner naufragò su una delle isole che fanno parte del gruppo di Palau, Babelthuap ad Alklung. Gli indigeni non solo si impadronirono di tutte le mercanzie ma giudicarono tale punizione insufficiente.

«Ciò che ci avete dato vi sarà reso» esclamarono e dopo avere legato ad un albero O' Keefe, afferrato uno staffile a nove correggie che avevano trovato nel bastimento naufragato, lo flagellarono di santa ragione.

Non appena rilasciato, il Capitano si affrettò a sporgere querela al Tribunale dì Hong-Kong. Una nave da guerra fu mandata a Palau con l'incarico di chiedere al villaggio di Alklung, i cui abitanti erano gli offensori, una forte indennità di copra e di bèche-de-mer (specie di lumaca marina). Siccome gli indigeni non pagarono l'indennità due altre navi da guerra raggiunsero la prima; i marinai sbarcarono e incendiarono il villaggio distruggendolo completamente.

Dopo una lunga serie di gesta piratesche, barbare e avventurose il capitano O' Keefe rifornì a Yap il suo schooner come per un lungo viaggio, si congedò dalle sue due mogli, partì e non ritornò mai più.

Alcuni dissero che si era recato in un'altra isola nota a lui solo poiché era un ottimo navigatore e ben pochi conoscevano i mari del Sud come lui; altri invece supposero che si fosse perduto in mare. Comunque sia lasciò dietro dì sé monumenti che eterneranno la sua memoria per migliaia di anni.

La più grande delle monete di pietra che portasse la sua impronta e che vidi io stessa, misurava quattro metri di diametro e, a quanto si diceva, pesava circa due tonnellate. Una monetina da gettarsi sul banco dì un negozio!

Sembra tuttavia che la più grande di tutte giaccia in fondo al porto di Yap; nel trasportarla dal ponte dello schooner sulla zattera scivolò e cadde in mare; qualcuno dei vecchi dell'isola che riuscì a vederla giura che aveva una dimensione di circa sette metri... ma forse si trattava di una misura presa ad occhio e croce!

 


Fig. 1 Una filza di conchiglie (anch’esse usate come monete) che sta per essere data in cambio di una bottiglia di petrolio portata dal commerciante. Una moneta di pietra è appoggiata contro il muro della casa, dietro la donna che porta una gonna fatta di erba. Questo genere di indumento è molto pesante. Vi sono gonne che possono pesare fino a 30 libbre.

 


Fig. 2 Questo ragazzo non ha che una bicicletta e una collana, e transita per una strada della città del porto di Yap; tanto nella giungla come nelle isole vicine non esistono biciclette.

 

Una moneta monolitica cosi ingombrante non può essere adoperata per il piccolo commercio ed in sua vece è in vigore il baratto e cioè lo scambio di mercanzie. Ve ne sono di quelle accettate e riconosciute come valore stabilizzato. Due noci di cocco, ad esempio, valgono una miccia; dieci, un filone di pane o un pacco di sigarette Golden bat (pipistrello d'oro).

Chi ha fatto molta strada per portare le sue noci può chiedere due sigarette di più, che gli vengono sempre accordate. Con dieci foglie di tabacco si possono acquistare venticinque noci. Dieci di queste ultime rappresentano il valore di una bottiglia di sidro piena di petrolio, ma ce ne vogliono ben quaranta per riempire di questo liquido una bottiglia da birra. Polli, uova, maiali sono venduti dagli indigeni in cambio di petrolio, fonografi, fisarmoniche; a nessun costo accetterebbero di esser pagati con monete d'argento o di rame, di cui non capiscono il valore e che appaiono loro piccole ed insignificanti al paragone delle maestose ruote di pietra cui sono abituati.

Il nostro sistema monetario richiede troppa matematica e il calcolo non entra nelle teste degli abitanti dell'isola di Yap. Oltre a ciò, non sanno quanto tempo possa durare il corso di una moneta straniera. Prima era in circolazione il denaro spagnuolo; poi venne quello tedesco che lo svalutò; fu quindi la volta del denaro giapponese ed anche la moneta tedesca perde il suo valore... la "ruota" di Yap, invece, è sempre buona ed è sempre in corso.

 


Fig. 3 Un’altra grande moneta di pietra

 

La pietra non è la sola forma del sistema monetario di Yap. Hanno corso anche i gusci delle ostriche perlifere legati insieme, quelli del copra e le belle lava lava, fabbricate dagli abili artigiani della vicina isola di Mokomok. Nel villaggio dove abitavo ve ne era un scco che si conservava nella Casa Comunale (luogo ove si riunisce il Consiglio) come uno dei principali tesori. Nessuno avrebbe osato aprirlo per prenderne le lava lava e indossarle. Doveva essere serbato intatto e quando se ne faceva uso qualche volta, era per pagare il prezzo di un canotto fornitola un villaggio vicino.

Ma tanto il baratto, che i gusci e le lava lava sono usati a guisa di moneta soltanto per il piccolo commercio. Quando si tratta di affari importanti è la ruota di pietra che viene in ballo. Lo straniero che la considerasse come cosa di poco valore si accorcerebbe subito del suo errore se gli venisse in mente di acquistarne una, A Palau il suo prezzo non è molto elevato. Mentre a Yap. per avere una ruota di Guam di un piede di diametro (15 cm circa) bisogna dare in cambio merci per un valore di 75 dollari, un esemplare mediocre che raggiunge la cintola di un uomo vale a Palau 4000 noci di cocco e cioè quasi 20 dollari. Una ruota dell'altezza di un uomo si paga con parecchi villaggi e piantagioni; se poi è alta il doppio, non ha più prezzo.


Fig. 4 Gli indigeni della primitiva Yap usano ancora la moneta di pietra. Il diametro di queste moneta va da 6 cm a 4 metri all’incirca; quelle piccole sono tenute inc asa, ma le grandi si tengono esposte fuori per destare l’ammirazione dei passanti. Nonostante tutti gli sforzi fatti dai Giapponesi per indurre gli indigeni a vestirsi di stoffe di cotone fabbricate ad Osaha, questi fanno ancora sfoggio d’indumenti che gli uomini e le donne eleganti di Yap non vogliono più portare.

 


Fig. 5 Una tomba di Kanaka; sebbene di vecchio stile, ha la croce cristiana, ciò che testimonia l’influenza esercitata dalle missioni spagnole.

 


Fig. 6 La moneta di pietra è alle spalle di quest’uomo che ha poi dinnanzi a sé una balla di fibra di noce di cocco contenente alcune dozzine di “lava lava”, il bel prodotto fabbricato a Mokomok. Questa “lava lava” ha tanto valore che la balla che è tenuta in serbo nella Casa Comunale rappresenta parte del patrimonio del villaggio.

 

Naturalmente queste grandi ruote non sono di proprietà degli individui ma della Comunità e possono essere viste dinnanzi agli edifici che portano il nome indigeno di febai (casa del denaro o Banca). Le case private sono fiancheggiate da monete di pietra di minor dimensione, che vanno dai due ai cinque piedi (da 60 a 150 cm) di altezza. Questa esposizione della propria ricchezza è certo per noi cosa tanto strana quanto sarebbe invece per un residente di Yap il tenerla rinchiusa.

«Come si può sapere se avete denaro - vi direbbero - se lo nascondete ?»

Bisogna convenire, ad onor del vero, che avere in casa una moneta di simili dimensioni sarebbe piuttosto imbarazzante e lo spazio riservato alla famiglia diverrebbe assai limitato. Generalmente quelle che hanno un diametro di sei pollici o poco più (15 cm) non si lasciano fuori; non soltanto perché si potrebbero portar via agevolmente, ma anche perché la famiglia ha vergogna di metterla in mostra. Sarebbe lo stesso che mostrare a tutti la propria povertà, come se uno di noi non potesse tirar fuori dalla tasca che una manciata di soldini. Appunto perciò, vi è molta richiesta delle monete di grandi dimensioni e qualsiasi creditore, piuttosto che accettare in pagamento le piccole, preferisce far aumentare il conto finché non possa essere saldato con una bella "ruota" abbastanza grande per attirare l'attenzione di chi, passando davanti alla casa, la veda appoggiata contro il muro o sulla piattaforma di pietra che le serve di base.

E assai raro che le "ruote" vengano rubate; non è facile impresa svignarsela trascinandosi appresso un blocco di roccia di mezza tonnellata. Si potrebbe, è vero, tentare il colpo, approfittando dell'assenza dei membri della famiglia; ma dove portare il bottino? Trasportarlo in qualche isola che non appartenga al gruppo di quelle di Yap sarebbe inutile perché la ruota di pietra non è in corso altrove; e se poi si volesse nascondere in Yap stessa, verrebbe immediatamente rintracciata. Sebbene non abbia alcuna iscrizione che possa identificarla, ciascun proprietario conosce benissimo i dettagli, le irregolarità, le dimensioni della sua moneta e saprebbe ritrovarla dovunque. Inoltre ogni grande ruota è individuata da un nome, noto, al pari del suo aspetto e dei suoi segni, a tutti gli abitanti delle isole anche più forse delle persone stesse, giacché mentre queste vanno, vengono, nascono, muoiono, il volto famigliare della moneta non cambia e passa da una generazione all'altra.

Ognuna di queste ruote ha la sua storia, quasi sempre storia di sangue per disputarsene il possesso : sono lotte tra villaggi, dissidi tra famiglie, sforzi compiuti per rubarla, proprietari uccisi chi col veleno chi a colpi di lancia.

 


Canotto indigeno il cui albero maestro ha la vela di foglie di pandano.

 

La maggior parte dei torbidi e delle scene di terrore che funestarono Yap furono causate da questi antichi massi di roccia cui gli abitanti si attaccano come il muschio. Si sa per certo che nell'affannosa ricerca di tale tesoro metà almeno della popolazione dell'isola è stata uccisa.

Oggi, la zecca è oziosa, le monete di pietra non si coniano più; ciò è dovuto, oltre alla concorrenza del denaro giapponese, ad un'altra ragione; e cioè che, se il numero degli indigeni diminuisce, il quantitativo di pietra rappresentante il valore monetario è rimasto lo stesso e la circolazione è più che sufficiente. In altre parole, a Yap vi è inflazione di denaro.

Inoltre il prezzo della mano d'opera è talmente aumentato che non vale la pena di andare a Palau per scavare altre pietre. L'uso delle ruote sembra dunque alquanto in decadenza; tuttavia l'istinto di tesaurizzare, proprio a tutti gli abitanti di Yap, impedirà ancora per molto tempo, la loro completa svalutazione. Ogni volta, infatti, che una famiglia si estingue, non manca mai chi venga a reclamare con prepotenza il possesso della ruota; ciò che, naturalmente, genera aspre contese con gran piacere del maligno dio che, dall'alto, contempla l'opera sua.

Il risultato di tante guerre, di tanti dissensi e dei disagi che ne conseguono è che la razza va spegnendosi, mentre le ruote di pietra, a mano a mano che vengono tolte dalle case abbandonate, si ammassano intorno alle abitazioni dei sopravvissuti e rimangono a guisa di strani monumenti, a testimonianza di tutto il male che può causare l'avidità del denaro.

 


Il nostro ospite, uno dei dodici re di Yap. Il pettine è indizio della sua alta posizione sociale. Questi pettini di mangrova bianca hanno talvolta una lunghezza di 65 cm all’incirca.