Da “SAPERE” – Ed. Ulrico Hoepli
Anno III – Volume V – n. 58
31 maggio 1937 - XV

 

SANTI E BRIGANTI NEL TIBET IGNOTO
di Enrico Caprile

 

Fra le imprese di carattere scientifico condotte da scienziati italiani in lontane e poco note contrade, i viaggi compiuti in questi ultimi anni da Giuseppe Tucci nel Tibet occidentale sono certo fra i più importanti sotto ogni punto di vista. I risultati di questi viaggi contribuiscono infatti, non solo a portare notevole luce sulle caratteristiche di un paese e la vita di un popolo fra i meno noti della terra, ma a dare apporti di prim'ordine ad uno dei rami più interessanti degli studi orientali: gli studi tibetani. Tanto più notevole per noi questo lavoro, in quanto condotto su un campo che non era stato battuto prima d'ora dagli Italiani.

Si comprenderà dunque l'importanza dell'opera di Giuseppe Tucci. Dei cinque suoi viaggi, attraverso infinite difficoltà nel Tibet, quello ch'egli ha compiuto nell'estate del 1935 — sotto gli auspicii della Reale Accademia d'Italia — è stato uno dei più degni di rilievo per i suoi risultati. La cronaca di questa impresa è ora alla portata li tutti sotto forma di un attraentissimo diario [SANTI E BRIGANTI DEL TIBET IGNOTO, 190 pagg., 268 ill., Hoepli, Milano 1937] del quale vogliamo dare ai nostri lettori un rapido ma esatto resoconto seguendone i punti essenziali

Il diario incomincia ad Almora sulle falde boscose dell'Himalaya, luogo amenissimo, soggiorno gradito a molti asceti. Dal 24 maggio al 6 giugno 1935 si organizza la spedizione. Estate torrida in cui infuriano le epidemie; fortunatamente il Tibet è vicino e ben presto si troveranno arie fresche e pure. Kelil, il capo carovaniere della spedizione precedente (1933), raccoglie i servi kashmiri che dovranno portare i bagagli. Tutto il materiale portato dall' Italia viene messo in casse. I fascini di Almora, bel sito a 1600 metri sul livello del mare, con la sua vita pittoresca, il suo incrociarsi di razze, il continuo passaggio di pellegrini diretti al Tibet, non trattengono più del necessario; il 6 giugno, fatti i calcoli con la posizione della luna, a causa dei superstiziosi portatori, si parte.

 


Il lago ed il monastero di Tashigang

 

Si viaggia lentamente, faticosamente a cagione del caldo; 41 uomini di fatica trasportano a spalla tutto il bagaglio, dividendosi 35 chili a testa. A mano a mano che ci si avvicina al Tibet, i luoghi sacri diventano sempre più frequenti. Nel villaggio di Susu c'è un bosco sacro, sì che i viaggiatori per non profanarlo col loro contatto debbono piantare le tende al sole. Primo incontro con un tibetano e primo incontro con il clima del Tibet; una forte nevicata infatti costringe ad indossare le pellicce. Il caldo dei giorni precedenti non è più che un ricordo. Anche qui, grande andirivieni di pellegrini. Qualche altro piccolo villaggio, assembramento di povere case che danno ospitalità a poverissima gente e poi Garbyang importante centro commerciale (21 giugno), dove s'incontrano i primi nevai ed i primi accampamenti tibetani. Buona .accoglienza da parte dei Tibetani e dei Buthia che popolano il paese ed ottima da parte di Nandaram, il più ricco ed influente mercante della regione, che invita ad un piccolo festino con zibibbo, birra d'orzo, mandorle ed altre leccornie locali. L'ospite parla mischiando il tibetano all'hindi, con qualche parola di storpiatissimo inglese. Racconta di avere accompagnato tutti i più celebri esploratori dell' Himalaya: Landor, Sven, Hedin, Rutledge. La sua preziosa collaborazione è accaparrata ed egli s'impegna di accompagnare la carovana fino a Davazong.

 


Donna tibetana acconciata a festa

 

Dopo tre giorni di sosta si procede con il carico portato da bestie da soma appositamente comperate. Incomincia così la serie dei campi. A Sangchum «tre paesi si toccano con le immani muraglie delle loro catene inviolate; India, Nepal e Tibet». Il paesaggio è mutato: montagne ciclopiche, gole spaventose, cime sublimi, cieli di tempesta. Molti pellegrini restano scossi da questo spettacolo di una natura solenne e selvaggia: «la grandezza e l'orrore delle rupi immani li spaventano; già sentono aleggiare lo spirito dei loro dèi terrifici ed inesorabili». Però molti proseguono da soli, con pochi stracci indosso ad affrontare «i geli delle notti tibetane e le insidie dei deserti». Trionfo dello spirito sulla carne: per questi asceti infatti il corpo è docile strumento dell'anima.

Il primo passo è quello di Lipulekh; non molto difficile ma freddo e nevoso. I portatori proseguono faticosamente; alcuni hanno il mal di montagna. In lontananza si vedono appollaiati su rocce, che sembrano inaccessibili, gli eremi di asceti che vivono nella più assoluta e terrificante solitudine.

 


Soldati tibetani del Prefetto di Polizia del Tibet occidentale

 

Ancora un poco di cammino, un immenso pianoro a 4000 metri poi Purang (detta anche Taklakot), capitale dell’omonima prefettura, la prima delle quattro in cui si divide il Tibet occidentale. Su questa provincia comanda una donna. «II Prefetto è restato a Lhasa ad attendere ad altri negozi.. Seguendo il costume ormai tradizionale ha mandato in vece sua la moglie; del resto la "zomponessa" come tutte le donne tibetane è esperta negli affari quanto e più degli uomini». È molto economa anche, a quanto pare, perché agli ospiti offre solo tè tibetano (una nauseabonda miscela di tè, burro, soda e sale) ed una tazza di birra d'orzo, ma non ricambia i regali con la tradizionale sciarpa di garza. Nessuno si fa meraviglia di questo stato di cose, però: «per sua natura il tibetano è mercante». E se non è mercante è mistico. Dopo le autorità civili quelle religiose. Visita quindi al convento ed al Campò, giovane dottore in teologia nato in Mongolia, che ne è il capo. Il convento non è molto antico e non è di particolare interesse, ma i visitatori hanno la fortuna di capitare in un giorno di festa e di potere assistere alla celebrazione della "messa" buddhistica. È una cerimonia lunga e suggestiva con una «liturgia molto complessa: imposizione della mistica tiara a cinque punte e quindi, su quella, una benda consacrata, complicati gesti rituali ed esoterici delle mani, ora libere ed ora provviste del varja e del campanello, simboli rispettivamente della coscienza cosmica da cui tutto nasce e della norma di vita che conduce alla consustanziazione con quella». Tucci riesce ad assistere a tutta la funzione che descrive minuziosamente nel diario, ed il compagno prende delle fotografie che certo sono uniche nel loro genere.

Ma anche la sosta all'ospitale Taklakot volge al termine. Si devono raccogliere per proseguire il viaggio degli "yak", i villosi buoi tibetani che possono sfidare fatiche e rigori del clima tranquillamente dove i muli non sarebbero più utilizzabili. Nella attesa una punta verso un nuovo monastero a Khojarnath, il 1° luglio, per una breve visita. Il monastero è retto da Giampalghìazò il quale ha ereditato l'alta carica ed è uscito da poco dalla sua angusta cella dove ha passato tre anni, tre mesi e tre giorni in solitudine assoluta. Tanto spirito ascetico però non gli impedisce di aver moglie, perché nel Tibet delle volte i monaci si ammogliano forse per attenuare i rigori della vita monastica. Anche qui una splendida cerimonia religiosa, in un tempio vicino, un rito «solenne e complesso nel quale uno dei momenti essenziali consiste in una cerimonia che ricorda da vicino l'elevazione della Chiesa Cattolica; il simbolo della gnosi espresso da uno specchio di cristallo di rocca viene sollevato da uno dei monaci, mentre intorno risuonano i canti e le mormorazioni dei convenuti».

Ritornato sui propri passi a Taklakot, breve escursione a Shidekhar il 4 luglio, poi partenza definitiva con la carovana di "yak" ai comandi di Nandaram e dei suoi uomini.

Il pellegrinaggio riprende; località sacre, nomi che ricordano antichissime leggende, tombe di santi, castelli diruti, monasteri celebri e soprattutto spettacoli naturali di una bellezza senza pari. C'è il lago Rakas Tal con in fondo il picco adamantino del colossale Kailasa, che strappa parole di ammirazione sconfinata ai viaggiatori e «fa piegare le ginocchia ed inchinare la fronte».

 


Il picco del Kailasa, montagna sacra a tre religioni

 

Poco dopo il bellissimo e celebre Manasarovar, il lago di Brahma, uno dei più elevati del mondo, a 4500 metri circa. Nelle acque terse e cristalline, nelle quali si specchia uno dei più bei cieli che sia dato vedere ad essere umano, si tuffano con grande frequenza i pellegrini dell'India e del Tibet: «questo bagno, si dice, fa rinascere nel paradiso di Brahma». Nelle vicinanze dell'immenso specchio d'acqua purissima si rende opportuna una sosta, il 10 luglio. Da qui si parte per un giro d'esplorazione intorno al lago: nuovi luoghi e nuovi incontri. Asceti pellegrini, mercanti, un monaco "incarnato" celebre nella contrada per le sue qualità taumaturgiche. Viene intanto segnalata la presenza di briganti nella regione, che hanno predato e gettato lo spavento un poco ovunque. A Trugo il 17 luglio avviene l'incontro: appena avvistati, il capitano Ghersi punta la macchina da presa per filmare la scena ed i banditi — ignorantissimi e superstiziosissimi — immaginando di poter cader vittime di chi sa quali diavolerie si danno a fuga precipitosa come un branco di pecore!

 


L’incarnato del monastero di Kojarnath

 

In dieci giorni il periplo del lago sacro è compiuto, coprendo un percorso totale di circa 100 chilometri, a causa delle deviazioni necessarie per visitare i luoghi interessanti. Il perimetro effettivo è di 70 chilometri, «una lunghezza cioè che certi asceti tibetani, detti Lunpà, i quali corrono in stato di trance, compiono in un giorno solo».

Un incontro interessante a Barkha il 20 luglio: una immensa carovana di "yak". «È lo Yudsòn che arriva. Costui è un mercante che traffica, per conto dello Stato: vende specialmente tè cinese che nel Tibet è monopolio statale. Egli gode dei privilegi degli alti funzionari e, nei distretti dove passa, la gente non solo è costretta a comperare da lui ai prezzi suoi, ma deve altresì fornirlo di tutti i mezzi di trasporto necessari.»

Il giorno dopo si è a Darchin, punto di partenza dei pellegrinaggi intorno al Kailasa, montagna sacra a tre religioni: l'Hidù, la Buddhista e la Bonpo; quest'ultima, antichissima fede dei Tibetani — prima dell'introduzione del Buddhismo — di cui esistono ancora dei seguaci. Qui pellegrini a colonne giungono da ogni parte dell'Asia, insensibili alle fatiche ed ai rigori del clima, guidati spesso da un "sadhu" di grandi virtù e di vasta fama. La prima tappa del giro è Ghiantràg, monastero celebre a cui si giunge dopo una ascesa faticosa compiuta sotto la sferza della tormenta. Il monastero è noto per aver ospitato durante un certo tempo Ananda Singh, uomo di particolare santità, che si cibava come Milarepa di erbe ed ortiche selvatiche, nonché un altro monaco il quale «visse per un anno in una buca ai piedi del convento completamente nudo praticando quello yoga che si chiama "tummò" e per il quale il dominio dello spirito sul corpo si sperimenta vincendo, anche nei climi più gelidi ogni sensazione di freddo». Meravigliosa pratica questa del "tummò" che serve «per sviluppare un calore interno, una iperpiresi volontaria facilmente sperimentabile: basterà infatti porre un panno bagnato sulle carni degli asceti che praticano questo speciale yoga, per vederlo asciugare in poco tempo». Così si narra di chi, postosi in mezzo alla neve, nudo, ne abbia, fatto sciogliere una notevole quantità intorno al suo corpo con il suo intenso calore. E questo non è che uno dei molti poteri che si sviluppano a chi pratica lo yoga.

 


La grotta dove ha meditato Milarepa, con l’altare votivo

 

Seguono le tappe intorno alla montagna sacra; ovunque conventi, sacelli e segni della devozione che per secoli hanno portato in turbe infinite i pellegrini di tutta l'Asia a questa terra di sogno. Al passo dì Dolma (5700 metri) il vento gelato rende assai penoso il cammino, ma non per questo i pellegrini rinunciano alle loro preghiere e genuflessioni. C'è chi spezza il ghiaccio di un laghetto e si tuffa per le abluzioni nell'acqua gelata; un pellegrino precede compiendo "l'ottuplice inchino", «le palme delle mani sono protette da due tavolette di legno tenute ferme con un laccio: solleva le mani congiungendole all'altezza della fronte, poi le abbassa sulla bocca, sul cuore, sul ventre, cioè sui varii centri della vita psichica, quindi si getta supino per terra con le braccia protese in avanti, e si risolleva di scatto per rincominciare l'inchino e così di seguito senza posa, dalla mattina alla sera, per settimane, spesso per mesi interi!»

 


Il convento di Dunkhar

 

Ancora molta strada faticosa fra l'inclemenza del tempo e molti monasteri ad ognuno dei quali è legata una storia, tradizioni, leggende. Alcuni contengono opere d'arte — statue, pitture, oggetti di culto — pregevolissime ed il cui valore è raramente apprezzato dagli attuali detentori. A Palkye il 30 luglio incontro fortunato e gradito con il Gran Lama Gigmèdorgè già conosciuto nella spedizione del 1933. Egli è un uomo celebre, «una delle persone più dotte che vivano nel Tibet, un medico ed un astrologo, a cui si attribuiscono cure e profezie miracolose, ma è anche da tutti venerato come uno degli stregoni più potenti dell'altipiano dell'Himalaya. Al suo cenno ubbidisce un disordinato mondo di forze incognite, ora benefiche, ora malvagie, che si agita nell'animo dell'uomo o tumulta nel cosmo». Il sapiente orientale e lo scienziato occidentale rinnovano la loro amicizia, con un abbraccio fraterno ed una lunga e cordiale conversazione.

 


Gigmèdorgè, famoso Gran Lama della Setta Rossa nell’atto di compiere cerimonie liturgiche.

 

A Nabra il 9 agosto s'incontra finalmente un po' di gente e di vita che non sia di genere religioso: un centinaio di tende ed un piccolo mercato che è onorato dalla presenza del prefetto di Navazong, che fa i suoi affari come un cittadino qualunque. Curiosa gente questi Tibetani che quando non sono religiosi di professione sono mercanti abilissimi e spesso non ritengono spregevole fare ambedue le cose. «Le ore della giornata le passano in lunghi conversari ed in contratti di compra e vendita che non finiscono più: prima di mettersi d'accordo sul prezzo di una merce passano giorni interi a discutere, a contendere ed a prendere consiglio. I compari, per mettersi d'accordo sul prezzo da chiedere o da proporre, non parlano: protendono la mano destra che scompare entro le maniche capaci del compagno e con tocchi convenzionali delle dita fanno proposte e controproposte: toccare un dito solo vuoi dire 10, toccarne due 20, toccare l'indice dicendo la parola meme (nonno) vuol dire 100.»

A Davazong, capitale d'una delle quattro prefetture del Tibet occidentale, c'è un convento interessante che viene minutamente visitato. Seguono giorni e giorni dedicati alla esplorazione di antichi resti di località, castelli, monasteri, grotte affrescate e zeppe di antichissimi e spesso preziosi manoscritti, luoghi che un giorno ospitarono la gente del famoso regno di Guge. Oggi non resta che un lontano ricordo e qualche testimonianza che può parlare solo agli occhi di uno scienziato come il Tucci. Pagine bellissime descrivono questa esplorazione che costituisce uno dei risultati più interessanti del viaggio.

A Toling già sede d’una delle più celebri università dell'Asia c'è un altro vecchio amico, l'abate del convento, «gemma tra i maestri, oceano di sapienza, supremo signore», il quale di notte viene furtivo nella tenda a fare una visita ed a portare una sciarpa di garza ed una tazza di giada in regalo. L'amministratore con il quale è in perpetuo conflitto non deve sospettare della scappata fatta per dare l'addio ad un amico.

 


Una gola sulla strada di Toling

 

A Gartok, capitale del Tibet occidentale a 4500 metri sul mare, il 1° settembre. Giunge da Lhasa il nuovo governatore, mercante arricchito, e si fanno feste con gran consumo di burro e di incenso per i bracieri. Tutti ammirano la ricchezza dei costumi del nuovo padrone e del suo seguito. Subito l'amicizia è fatta ed anche un affare con l'acquisto di pony, che debbono sostituire gli "yak” troppo provati dal lungo cammino. Oramai bisogna pensare al ritorno; l'impresa volge al termine e la stagione si fa inclemente. Nel lungo andare verso il Ladakh ed il Kashmir il freddo si fa sentire. Dopo giorni di marce «lunghe, uguali e monotone lungo le rive dell' Indo» si passa l'ultimo villaggio tibetano e si rientra nel Ladakh: «nessun posto di guardia, nessuna barriera, nessun segno» marca il confine. Ancora molta strada che sembra interminabile e poi finalmente Lhe «confluenza di carovaniere che popolano i suoi bazar di mercanti turcomanni, scesi dall'Asia centrale, tibetani e kashmiri; un affaccendarsi di genti dalle molte favelle e dai costumi insoliti, sotto un cielo di trasparenze cristalline». Dopo tanta solitudine un paese con un ufficio postale, un telegrafo e dei missionari europei, dà la sensazione di essere alle porte della civiltà. Il «nuovo pellegrinaggio nel paese dei deserti silenziosi e degli asceti meditanti» è finito.

 


L’arrivo del Governatore del Tibet occidentale a Gartok

 

Così si conclude una delle più notevoli imprese scientifiche effettuate in questi ultimi tempi da Italiani. Essa non sarà l'ultima; l’inesausta attività del nostro giovane orientalista, l'illimitato e sempre fresco entusiasmo per i suoi studi, lo portano a non fermarsi sui successi ottenuti. Egli è ora reduce da un lungo viaggio in Giappone, dove ha brillantemente assolto una importantissima missione, e già si accinge a prepararsi per un nuovo cimento nel paese delle nevi eterne, il Tibet, che sta svelando ad uno ad uno i suoi segreti avvolti da secoli nel più profondo mistero.