Da “SAPERE” – Ulrico Hoepli Editore
Anno II – Volume IV – n. 45
15 novembre 1936 - XV

 

LA FORESTA EQUATORIALE
(di Attilio Gatti)

 

 

Con questo ed altri due articoli illustreremo la foresta equatoriale del Congo con notizie e fotografie raccolte dal capitano Attilio Gatti, la cui attività di esploratore, di cacciatore, di giornalista e di scrittore è universalmente nota. Il capitano Gatti, figlio del generale Gatti che ha servito nell'esercito tre Re — combattente, egli stesso, nella Grande Guerra — ha iniziato fin dal 1927 la esplorazione del Continente nero, del quale è forse il più informato conoscitore e descrittore. Condotta a termine la sua ottava spedizione, il capitano Gatti ha accettato appunto l'invito di informare i lettori di SAPERE circa i frutti delle sue più recenti esperienze africane.

 

 

A Nord e a Sud dell'equatore un'immensa regione di foresta, tutta ombra e mistero, copre la metà settentrionale del Congo Belga e gran parte dell'Africa Equatoriale Francese. Salvo qualche interruzione, quell'impenetrabile legione è limitala a N. dai fiumi Ubangi ed Uele, a S dal 4° di latitudine S. Essa dopo aver interamente coperto decine di catene di monti ed aver abbracciato i laghi Kivu, Edoardo ed Alberto si protende verso occidente, incornicia il fiume Kasai ed il fiume Congo, invade una parte del Camerun e del Gabon, raggiunge le rive dell'Atlantico.

Questa è la primordiale Foresta Equatoriale, un mondo paradossale completamente chiuso in se stesso che si erge quasi a barriera insuperabile ad ogni forma d'attività umana, di progresso, di civiltà.

Ogni tanto qualche bianco ostinato e coraggioso si è avventurato in quel mondo strano ed ostile e per giorni e settimane intere ha dovuto, passo a passo, aprirsi la via attraverso quell'infernale, arruffato groviglio che sembra intessuto con ogni sorta di erbe e piante che esistono sulla Terra. Ma la forza del pioniere si è presto esaurita ed egli è stato forzato a scappare via prima che la sua vita venisse compromessa come già era successo ad altri prima di lui. Nessun uomo, sia nero che bianco, la conosce ed assai pochi dei mille segreti che la foresta ancor vergine tiene ancora gelosamente custoditi nel suo cuore misterioso, sono stati rivelati. Ed anche quei pochi che le furono strappati durante gli ultimi cinquant’anni, invece di portar luce, ci hanno solamente rivelato la sua natura in modo contraddittorio e fantastico.

La vegetazione spontanea della foresta equatoriale si manifesta nella forma più esuberante e costituisce il più ricco emporio di piante coloniali, tra le quali primeggiano i palmizi e gli alberi dei legni più preziosi, quali l'ebano ed il mogano.

Da secoli gli indigeni hanno sistematicamente attaccato la periferia dell'immensa foresta col loro metodo abituale di distruttori di legname e, solamente da qualche decennio, per estendervi le loro culture e pascoli. Dalla seconda metà del secolo scorso, ma specialmente in questi ultimi anni, dalle città e dai centri minerari, avanzando verso l'interno, grandi estensioni sono state sconvolte, e strade e sentieri suddividono ora la foresta in numerosi settori,

Nonostante questa prodigalità distruttiva dell'uomo, l'immensa e compatta foresta sembra esser stata appena sfiorata. Spesso basta allontanarsi di poche miglia dal bacino in cui giace una città, od anche scostarsi solo di qualche passo dalla strada, per trovarsi quasi improvvisamente in un altro mondo, che è esistito intatto ed isolato sino dall'alba della vita; un mondo tenebroso di un verde oscuro e di ancor più oscura ombra, fittamente popolato da alberi colossali, le cui alte cime, unendosi e confondendosi, formano una volta fronzuta quasi impenetrabile alla luce.

Sotto questa immensa cupola prospera rigogliosa e prepotente la più svariata vegetazione di alberi, d'arbusti, di piante erbacee e felci, di musacee ed orchidee, di liane, edere, tutta strettamente intessuta a formare una barriera quasi impenetrabile all'uomo, come fosse una custodia dei segreti e dei misteri della grande foresta.

L'enorme stratificazione di foglie, mista ad erbe, ramaglia, muschio e funghi forma sul fondo una specie di massicciata ineguale, viscida, insidiosa. Rovi, spine, ortiche, stracciano, pungono, graffiano, mentre migliaia di insetti, mosche, moscerini, termiti e formiche spietatamente vi assalgono. Ma ciò che maggiormente opprime è il silenzio cupo, quasi minaccioso, poiché ogni rumore, ogni suono, o mormorio d'acque è soffocato e spento dalla verde muraglia compatta, impenetrabile, e senza confini.

La vita per il bianco, che per la prima volta si avventura in quell'inferno verde, in quell'atmosfera di caldo umido, è ardua, miserabile, e appare impossibile. Il respiro febbrile della giungla sembra sussurrargli all'orecchio 1' avvertimento dei pericoli noti e di altri ignorati. Neppure il più leggero soffio di vento alita traverso la spessa cortina del fogliame; il lavoro penoso di ogni passo nell'intricata macchia, l'aria rarefatta, tutto concorre a rendere affannosa la respirazione, ad accelerare i battiti del cuore. Dopo qualche ora di marcia la vista comincia ad annebbiarsi, si sentono gli orecchi ronzare. Nell’interno della foresta non esistono né strade, né sentieri, neppur tenui piste, ma solo una indicibile confusione d'impronte, stampate dagli innumerevoli animali d'ogni specie nel loro incessante deambulare nella foresta. In quel labirinto inestricabile solo i pigmei, dotati di un senso istintivo della direzione, sanno orientarsi e, grazie alla esiguità del corpo minuscolo ed alla loro agilità scimmiesca, guidano il bianco e gli aprono un varco nei punti più intricati ed occulti.

Tuttavia la foresta, nonostante i disagi, le fatiche e i rischi che come ogni cosa materiata di mistero e di pericolo, esercita un fascino irresistibile di attrazione sul bianco che, come esploratore o cacciatore o scienziato, vuole penetrarla per conoscerla da vicino, per studiarla a fondo, scrutarne i segreti. La Spedizione zoologica Gatti, composta di membri tutti animati da spirito sportivo e di avventura, sostenuti dalla ferma volontà di compiere qualcosa di concreto, hanno fatto del loro meglio per raccogliere fotografie, dati, notizie sulla flora, sulla fauna, sulle popolazioni indigene e mirando alla cattura di animali rari.

Ai primi di febbraio del 1934, la spedizione zoologica Gatti (l'ottava da me comandata) è entrata nella foresta dell'Ituri, stabilendo il suo campo-base a 106 km. dal più vicino "posto bianco" incominciò subito il duro lavoro di disboscamento, eseguito da indigeni e da pigmei, per la conquista di un vasto spiazzo sul quale venne eretto il gran capannone e sue dipendenze per l'apertura di una strada indispensabile all'allacciamento colla rotabile Irumu-Beni.

Dal campo-base la spedizione, frazionandosi in pattuglie, iniziava la sua operosità esplorativa e venatoria nella foresta dell'Ituri e dell'Epulu, stabilendo nei punti adatti successivi accampamenti minori. Quest'attività è durata sino al dicembre 1935, interrotta una sola volta per ragioni dovute all'inesorabilità del clima ostile, talvolta fatale al bianco. Mi riprometto di raccogliere i ricordi e risultati delle mie spedizioni e avventure in un libro: LA GRAN MADRE FORESTA.

 


Nel mezzo dello spiazzo aperto nella foresta per l’erezione del campo-base della spedizione (che si trova a 6 ore di marcia e 107 km. di strada dal più vicino “posto” bianco) un orto è stato piantato, per preparare i legumi e la verdura per nutrire i giovani ocuapi, ed abituarli ad un cibo che possa esser loro poi consentito in Europa.

 


Le difficoltà di marciare nella foresta.

 


Nell’interno della foresta, un indigeno scava una buca-trappola per la cattura di ocuapi

 


Il lavoro per aprire la stradella attraverso la foresta.

 


Al lavoro nel cuore della foresta per erigere il campo-base della spedizione.

 


Sultani Salume, il capo dei neri che lavorano per la spedizione, nell’atto di spargere sale, sulle rive d’un fiume nella foresta, nella speranza di attirarvi degli ocuapi, che del sale sono golosissimi.

 


Al campo-base il “Sultani” dei pigmei racconta le fasi delle sue ricerche di ocuapi

 


Al campo-base della spedizione nella foresta equatoriale. La capanna e le palizzate per gli animali catturati.

 


Abbattimento d’alberi nel fitto della foresta per una spianata sulla quale è sorto il campo-base.