Da “SAPERE” – Ulrico Hoepli Editore
Anno VI - Volume XI - n. 3/123
15 febbraio 1940 - XVIII

 

 

INVENTIO CRUCIS
di Amedeo Majuri

 

Dal volume II di imminente pubblicazione delle PASSEGGIATE CAMPANE di Amedeo Majuri, Accademico d'Italia, anticipiamo ai nostri lettori, col cortese consenso dell'Autore e dell'editore Hoepli, il commovente racconto di una scoperta ricca di altissimo contenuto storico-religioso: quella di una Croce in Ercolano: il più antico documento e monumento iconografico della fede cristiana. La scoperta che ha fissato nel tempo (79 d.C.) una base fondamentale per l'archeologia del Cristianesimo, fu fatta dallo stesso Autore, il quale la rievoca con vivi ed efficaci accenti.

 


Ercolano - La stanza della Croce (fotografia presa poco dopo la scoperta)
(fot. Sopraintendenza Antichità • Napoli}

 

Ma la scoperta più inattesa ci è venuta, nel corso di questi due ultimi anni, dalla Casa a cui il 28 ottobre 1938, ricorrendo il secondo centenario del primo inizio degli scavi ercolanesi (ottobre 1738) e compiendosi l'undecimo anno della nuova e conclusiva ripresa dei lavori, si è voluto dare il nome di «Casa del Bicentenario».

 

Si era nei primi mesi del 1938, e lo scavo, dopo aver raggiunto, verso il lato di oriente, il limite massimo consentito dall'alto terrapieno del viale d'ingresso, si era rivolto di bel nuovo verso gli edifici dell'insula V che si affacciano sull'arteria del decumano maggiore della città, nell'intento di esaurire anche da quel lato quel tanto di area disponibile che ci era consentita dalle ormai soprastanti e incombenti povere abitazioni del quartiere più popolare e popoloso di Resina, Si era con lo scavo stratigrafico raggiunto il piano superiore di una casa di cui s'intravvedeva già, dalla cresta affiorante dei muri dell'atrio, la non comune ampiezza e nobiltà d'impianto, ma della quale in mezzo all'intersecazione dei muri delle altre abitazioni contigue, ci sfuggiva ancora la netta e precisa delimitazione. E improvvisamente, nel febbraio di quell'anno, svuotandosi dal banco compatto dell'alluvione fangosa dell'eruzione dell'a. 79 un umile e povero ambiente del piano superiore di quella casa, veniva alla luce e mi veniva subito segnalata, l'apparizione, sulla parete di fondo, di .un pannello d'intonaco a stucco entro i! quale appariva, non già graffita o dipinta da mano maldestra o frettolosa, ma regolarmente intagliata e incassata nello spessore dell'intonaco, in modo nitido e chiaro, un grande segno di Croce.

Apparve fin dal primo momento chiaro che quell'incassatura cruciforme non era destinata a rimanere vuota, ma deliberatamente fatta per contenere una croce lignea come una tarsia entro il quadro di quel pannello. E che ciò fosse realmente avvenuto, ne facevano fede i larghi e profondi fori dei chiodi che mantenevano confitto il legno alla parete e le sbavature e rinzaffature dell'intonaco intorno al cavo cruciforme, segno evidente che si era prima proceduto a fissare la croce di legno sulla bozza a calce della parete, e poi si era eseguito il pannello quadrangolare a stucco più fine, come per incorniciare e racchiudere un sacro segno di culto e serbarlo fisso e inamovibile sulla parete.

Mi apparve inoltre, fin da quei primi momenti. Anche chiaro che il pannello con la croce non doveva essere continuamente esposto alla vista degli inquilini dell'abitazione, ma che esso doveva essere occultato entro una custodia di legno. Due grossi ramponi di ferro, i soli rimasti, ai due lati del pannello e un avanzo di legno ancora aderente al muro, non potevano spiegarsi altrimenti se non con la presenza di due stipiti lignei destinati a sorreggere due battenti i quali racchiudessero il segno della croce come entro un armadiolo a muro. Il raffronto che subito mi sovvenne con esempi analoghi di sacelli della casa pompeiana, custoditi anch'essi da sportelli lignei, rassodò quel mio convincimento.

La croce del tipo immissa o capitata e cioè della cosiddetta forma latina, quale era la comune croce del supplizio, misura m 0,43 nel braccio verticale e m 0,365 nel braccio trasversale: ed era, come appare chiaramente nel cavo che la conteneva e ce ne riproduce fedelmente la forma lignea, sensibilmente rastremata dal basso verso l'alto con le testate ingrossate, quasi apici d'una grande T, alle estremità orizzontali.

La conservazione dell'emblema della croce entro un pannello a stucco, campeggiante come un quadro nel campo della parete lasciata deliberatamente grezza quasi a dare maggior risalto a quell'unico e solo emblema figurato, il dispositivo della custodia entro battenti lignei quasi di un sacello a muro, la esposizione infine del pannello di contro alla porta d'ingresso dell'ambiente, in modo da essere vivamente e direttamente illuminata dalla luce della finestra che si apre nel corridoio e precisamente verso oriente, tutto insomma contribuiva a creare intorno alla singolare apparizione di quella piovigginosa giornata del febbraio del 1938, un'aria di religiosità alla quale la storia delle scoperte pompeiane ed ercolanesi non ci aveva abituato, se non con una rivelazione altrettanto eccezionale, nel campo dell'arte e della religione, con la scoperta cioè delle pitture della Villa dei Misteri.

Toccava dunque ad Ercolano a rivelarci non con il linguaggio dell'arte, ma con l'umile segno ricavato dalla pialla di un faber lignarìus e dalla cazzuola di uno stuccatore, nell'emblema condannato e glorificato della Croce, il primo più antico documento e monumento iconografico della fede cristiana? Ed Ercolano, la Ercolano che finora conoscevamo dalla più sontuosa e ricca villa del mondo antico con il suo Museo di sculture e con la sua biblioteca di papiri, dove tanta parte si rispecchia del pensiero e dell'etica della società filosofante del tempo, avrebbe avuto il privilegio di contrapporre, essa per prima, a tanto fulgore d'arte e a tanta consumata o scettica esperienza di vita, il segno della nuova fede?

E quale avventuroso destino riserbava proprio a me, scavatore e illustratore di monumenti e di documenti scaturenti dal grembo del più trionfante paganesimo e della più occulta religione misterica degli antichi (la Villa dei Misteri e l'Antro oracolare di Cuma), il singolare privilegio di essere involontariamente strumento di una inventio crucis, destinata a costituire una delle basi fondamentali della storia del cristianesimo?

Perdurava ancora in quei tempi l'eco delle discussioni e delle polemiche suscitate dalla scoperta su una delle colonne della grande Palestra di Pompei del cruciverba magico e sulla cristianità o meno di quel segno; si rievocavano dubbie o mal note o male interpretate testimonianze di graffiti e di emblemi cruciformi dei vecchi scavi di Pompei; e quel grande segno di croce che appariva improvvisamente ad Ercolano, nitido e chiaro, sembrava fosse proprio intervenuto a dirimere una troppo lunga e sterile controversia, a portare esso per il primo, un argomento inoppugnabile e decisivo.

 

Ma dov'era la croce incassata entro il pannello a stucco?

E perché contrariamente a quel che dovevamo attenderci da Ercolano dove ogni materia lignea, fino alla più delicata fibra di un tessuto, si conserva allo stato carbonioso, nessuna traccia si rinvenne né della croce lignea, né, all'infuori di un semplice spezzone d'uno degli stipiti, del telaio e dei battenti che racchiudevano il pannello? Era necessario ammettere che quell'emblema dovè essere, prima dell'eruzione del 79, rimosso e asportato. E osservando infatti le slabbrature dell'intonaco intorno al cavo della croce, della caduta di una parte dello stucco al punto di giunzione dei bracci e, sovrattutto, la scomparsa dei chiodi che tenevano conficcata la croce alla parete, si vide chiaramente che tutto ciò dovè avvenire per un atto violento di manomissione, dovuto non certo alla pia mano di un credente, ma alla mano ostile di chi voleva strappare da quel luogo un segno di culto condannato e spregiato.

Al di sotto del pannello della croce, e solo alquanto spostato da uno dei lati, era una specie di rozzo armadio di legno, di una forma singolare e più rispondente alla forma e alle dimensioni degli altari di fabbrica che siamo usi vedere al di sotto dei Larari familiari e dei Larari compitali di Pompei, che non ai comuni armadi in legno di cui sovrattutto i nuovi scavi di Ercolano ci hanno dato una bella serie di esemplari. Come nelle are, così anche nel singolare mobile ercolanese, il ripiano superiore è contornato da un margine rilevato; e come nelle are, ricorre anche qui una specie di gradino o di predella decorata, non senza finezza tecnica, da un intarsio di rombi e che, oltre al suo particolare uso, serviva anche a nascondere il rozzo e povero aspetto che davano a quel mobile i quattro piedritti uscenti dal fasciame dell'armadio. Sul davanti si apre, è vero, uno sportello quadrato, ma contrariamente a quel che si ha nei veri e propri armadi delle case pompeiane ed ercolanesi, chiusi da grandi porte bivalve, in quello sportello basso ed angusto la mano deve annaspare a tentoni per trarne gli oggetti che erano depositati all'interno. Un armadio insomma la cui presenza e il cui uso in quel luogo, non può essere giustificato se non dal culto che si professava in quella stanza: in breve, se un oggetto di culto è da riconoscere nella croce, è forza riconoscere nello strano armadiolo, una vera e propria ara lignea, un'ara, ripeto, che traduce nel legno in sagome più semplici e rozze le tipiche forme dell'ara pagana. Né è da meravigliare se troviamo qui adottato per un culto e per usi liturgici tanto profondamente diversi, le forme dell'ara dei gentili, perché anche nelle raffigurazioni dell'agape eucaristica la forma del triclinio e la forma della mensa circolare tripode, sono .notoriamente le stesse della casa romana.

All'infuori del pannello della Croce e dell'altare ligneo, poche e umili masserizie si rinvennero confusamente rimescolate in mezzo alla colata dell'alluvione fangosa e non era possibile determinare se esse appartenessero a coloro che ebbero cura di apporre la croce sulla parete, o non piuttosto, come pare più probabile, a coloro che subentrarono dopo la violenta avulsione di quel sacro emblema. Quale unica traccia di vita, di offerta o di cibo, si raccolse sul pavimento una pigna semicombusta, con i suoi pignoli in parte svuotati dei pinocchi, in parte ancora intatti. Un buon odore di resina, come d'incenso, pareva che esalasse intorno al segno della Croce.