Da “SAPERE” – Ulrico Hoepli Editore
Anno V - Volume IX - n. 106
31 maggio 1939 - XVII

 

IDEE NUOVE SU UOMINI MOLTO VECCHI
di Egisto Minelli

 

 


Fig. 1. Ecco dove è stato trovato il cranio di Swanscombe, nel punto che è indicato con la lettera F. Lo scavo attraverso il terrazzamento del Tamigi mostra chiaramente la successione dei vari depositi fluvio-glaciali.

 

Il Pithecanthropus erectus, il troppo celebre «anello di congiunzione» di Giava, venne scoperto all'incirca quarant'anni fa. Da allora, larghe ricerche sono state condotte a Giava per veder di trovare altri resti di questo ominide così interessante. Molto materiale importante per altre ragioni è venuto alla luce, ma, sino a tempi recentissimi, non sono stati trovati altri esemplari dello stesso tipo di cranio che era stato portato alla luce nei ritrovamenti originali di Trinil. Pochi mesi addietro, il Koenigswald ha descritto un secondo frammento cranico dello stesso tipo trovato a Bapang. Il volto e la base del cranio si sono perdute; ma i trenta frammenti che si son potuti raccapezzare, fortunatamente si adattano a costituire la massima parte della scatola cranica, eccezion fatta per la metà destra del frontale e per parte dell'occipite destro. Le rassomiglianze con il cranio originale di Trinil sono notevoli: in particolare, la regione sopraorbitale è identica e molto simili sono il profilo appiattito della parte frontale e la bassezza generale del cranio. La lunghezza totale è quasi la medesima, la lunghezza è alquanto maggiore. Di grande importanza è la presenza della regione temporale, che mancava negli esemplari originali. La profondità della fossa mandibolare, carattere che rappresenta una chiara linea di confine tra l'uomo e le scimmie, mostra che il Pithecanthropus deve essere stato un ominide, anche se non tutti gli antropologi accederanno all'opinione del Koenigswald: essere la profondità della fossa mandibolare associata al linguaggio. Un altro punto di particolare interesse è la forma dell'apofisi mastoide, alla quale si inserisce il muscolo sternocleidomastoideo, che ha tanta parte nei movimenti della nostra testa e che conferisce la caratteristica espressione umana al collo. Nell'uomo, e specialmente nel maschio, questo muscolo è potente, così come è molto robusta l'apofisi mastoide, mentre nelle scimmie l'apofisi mastoide è piccola. Anche nel nuovo fossile di Giava essa è piccola, il che potrebbe indicare che esso non aveva ancora raggiunta una completa stazione eretta.

 

L'uomo di Giava, l'uomo di Pechino e altri di 2500 secoli or sono.

Ambo questi fossili di Giava, l'antico e il moderno Pithecanthropus presentano ossa molto spesse, carattere comune all'uomo di Pechino (Sinanthropus) e a tutte le forme più primitive di uomo, così da costituire un carattere più umano che scimmiesco. Se ne potrebbe dedurre che il Pitecantropo è più primitivo del Sinantropo ed è forse l'ominide più primitivo noto sino ad oggi; e questo sarebbe il colpo di grazia a quell'interpretazione già anziana, secondo la quale il pitecantropo non sarebbe stato per nulla un ominide, ma piuttosto un gibbone gigantesco.

Anche sul conto del Sinantropo si son venute a sapere parecchie cose nuove, grazie allo studio delle ramificazioni dell'arteria meningea media (e per essere più esatti delle impronte da essa lasciate sulla parete interna della volta cranica). Da questo punto di vista, il Sinantropo presenta condizioni che ricordano quelle degli antropoidi e specialmente del gorilla; il cranio di Giava si colloca nella medesima categoria, mentre l'uomo di Neandertal si mostra molto più affine alle condizioni dell'uomo attuale; ancor più si avvicina a queste l'uomo di Piltdown, e il frammento di Swanscombe dimostra una distribuzione dei vasi sanguigni del tutto simile a quella moderna, molto analoga a quella degli Eschimesi.

Questi studi di minute condizioni anatomiche possono forse gettare nuova luce sul problema dello sviluppo dell'uomo; due punti almeno sembrano chiari: si può fare una separazione fra quei fossili considerati come ominidi e quelli che sono stati considerati già come uomini; il pitecantropo e il sinantropo apparterrebbero alla prima categoria, gli esemplari di Swanscombe e di Neandertal alla seconda.

Secondo punto: benché la posizione del cranio di Piltdown sia tuttora oggetto di controversie, si tende oggi a ritenere che esso appartenesse a un ominide, non ad un uomo.

 

La grande scoperta di Marston.

Al cranio di Swanscombe spetta, in questo consesso di difficili ossa preistoriche, una posizione di particolare privilegio.

Da moltissimo tempo erano noti ai paletnologi certi manufatti di pietra grezza che, per esser stati ritrovati e studiati la prima volta a Saint-Acheul, diedero il nome a un tipico periodo di civiltà paleolitica: la civiltà acheulana. Manufatti erano stati raccolti, descritti, catalogati, ripartiti in categorie, debitamente interpretati quanto al loro impiego, e avevano permesso di ricostruire, sia pure a grandi linee, il modo di vivere e il tipo di coltura degli uomini che li avevano costruiti e adoperati. Ma questi uomini sembravano non aver lasciato durevole traccia di sé, insieme ai loro prodotti litici; sino al 1935 non si poteva dire di conoscere con sicurezza le ossa di un uomo acheuleano.

Fu a quattro passi - e precisamente a una trentina di chilometri - da Londra, in certi terrazzamenti della valle del Tamigi, che il primo cranio certamente coevo con gli strumenti di pietra grezza che gli stavano dintorno, venne scavato da Alvan T. Marston, nel 1935. Dalla data del ritrovamento a quella della prima pubblicazione ufficialmente dedicata all'uomo di Swanscombe passarono quasi tre anni, che tanti ne furono necessari per ricostruire esattamente la stratigrafia dei depositi fluviali costituenti i terrazzi e per far concordare sul prezioso delitto le opinioni degli antropologi.

John Flett, conservatore del museo geologico di Londra, quando il cranio vi fu messo al sicuro, scrisse: «La scoperta è d'importanza senza pari; per quanto io ne sappia, essa è unica, poi che il fossile venne direttamente raccolto da mani competenti in un livello paleolitico ben noto; essa è unica anche da un secondo punto di vista: è il primo frammento certo di uomo acheuleano trovato nel mondo ».

Si trattava di un osso occipitale, conservatissimo, e presentante ancora illeso il forame occipitale; anche da questo punto di vista esso era il primo cranio umano fossile che fosse stato recuperato mantenendo integre le parti circostanti al foro occipitale: il processo basilare e i condili occipitali.

L'attenzione venne rinfocolata intorno al giacimento, e dopo quasi un anno di ricerche venne ritrovato un altro frammento dello stesso cranio: il parietale sinistro, anch'esso benissimo conservato, benché si trovasse lontano di parecchi metri dall'osso precedente. Un piccolo dato darà idea della laboriosità della ricerca: duemila tonnellate di materiale si son dovute rimuovere e setacciare per ritrovare il secondo osso. S'intende che, durante questo lavoro, venivano accuratamente conservate tutte le ossa animali, tutti i manufatti, tutte le conchiglie di fiume, che dovevano servire a datare con precisione l'epoca in cui l'uomo di Swanscombe era vissuto. La precisione geologica è sempre relativa, ma una cifra attendibile sembra esser quella di duecentocinquantamila anni fa.

 

Un cranio vecchio di duecentocinquantamila anni.

Il cranio è dunque incompleto, e le condizioni delle ossa sembrano indicare trattarsi di un giovane adulto, non si sa se maschio o femmina; certamente le impronte dei muscoli del collo sono molto fortemente segnate, il che potrebbe indurre a congetturare trattarsi di un maschio.

Si tratta di un Homo sapiens o di un uomo di Neandertal? Gli antropologi dicono che, se la fortuna li aiuta, si dovrebbe ritrovare un osso frontale, con le caratteristiche arcate sopracciliari, fortemente accettate che caratterizzano tutti gli autentici tipi di uomini fossili neandertaloidi. Ma l'occipite è appiattito e differisce di molto dalla linea occipitale dell'uomo di Neandertal.

D'altra parte, l'aver potuto così esattamente determinare la cronologia del giacimento in cui il cranio è stato rinvenuto permette di dire che, mentre gli uomini di Neandertal appartengono al terzo interglaciale, quello di Swanscombe è vissuto durante il secondo interglaciale. Egli è quindi molto più antico dell'uomo di Neandertal e il suo cranio rileva diversi caratteri di primitività, che lo rendono inferiore tanto al tipo dell'Homo sapiens quanto a quello dell'uomo di Neandertal. Così il Marston pensa che la semplicità del cranio di Swanscombe debba essere interpretata come un segno di primitività piuttosto che come un segno di alta organizzazione, pur ammettendo che la forma del parietale ricorda bene le condizioni di un fanciullo umano specialmente negli angoli inferiore-anteriore e inferiore-posteriore.

Molte accurate misure e l'impiego di un vocabolario terribilmente tecnico permettono al Marston di giungere alla conclusione che il cranio di Swanscombe possiede certe caratteristiche morfologiche, le quali provano uno scarso sviluppo della massa cerebrale; il cranio dell'uomo attuale presenta, per così dire, certi forzamenti, che sono dovuti all'eccesso di sviluppo degli emisferi cerebrali e che mancano del tutto in quest'uomo primitivo. Per citarne un solo esempio, l'estremità anteriore e posteriore della scissura di Silvio presentano condizioni di sviluppo molto arretrate.

Anche la forma e l'orientamento del foro occipitale (che nell'uomo moderno sono determinate dal portamento eretto e dall'espansione delle parti anteriore e posteriore del cranio in rapporto allo sviluppo del cervello) mostrano una condizione molto primitiva. Nessuno vuole affermare che l'uomo di Swanscombe fosse anch'esso un «anello di congiunzione» fra le scimmie e l'uomo, né si può similmente sostenere che gli uomini si siano evoluti direttamente dalle scimmie antropomorfe; scimmie e uomini debbono aver avuto un antenato comune in tempi remotissimi ed è ragionevole attenderci che questi primitivissimi uomini, di cui conosciamo qualche frammento scheletrico, abbiano conservato qualche carattere della loro primitiva origine scimmiesca.

 

Primi tentativi d'umanità.

Queste considerazioni sul probabile portamento del capo e sulle sue condizioni d'equilibrio rispetto al corpo permettono forse di vedere nell'uomo di Swanscombe, come negli uomini di Neandertal, un tipo d'umanità con il capo portato in avanti e con quel modello massiccio di mandibola che ci è stato reso ben noto già negli uomini di Heidelberg e di Pechino, nessuno dei quali è scimmiesco rispetto al carattere della dentatura.

Gli antropologi attendono che il loro lavoro avvenire li porti a ritrovare le parti mancanti del cranio di Swanscombe: le ossa della faccia e la mandibola, e si aspettano che tali parti giustifichino quell'etichetta di «ominide preneandertaloide», che già è stata data all'uomo di Swanscombe, anzi che l'etichetta di Homo sapiens,

Anche dal punto di vista della civiltà i neandertaloidi erano molto più progrediti degli uomini di Swanscombe; così come solamente un artigiano evoluto, civile, intelligente riesce a creare con esattezza i minuscoli pezzettini meccanici, che entrano a costruire un orologio o un altro meccanismo preciso, mentre un australiano o un daiaco non saprebbe farlo - la razza di Neandertal era capace di trarre dalle selci oggetti molto più svariati e intenzionalmente adattati a! loro impiego di quanto non sapessero fare gli uomini che ci hanno lasciato i loro manufatti litici negli strati di civiltà acheuleano.

 

 


Fig. 2. Il cranio di Swanscombe fotografato in modo che il margine superiore rappresenta la « linea suprema»
Fig. 3. Lo stesso, fotografato in modo che la linea inferiore rappresenta la linea inferiore.
Fig. 4. Vista laterale.

 

 


Fig. 5. Superficie interna del cranio di Swanscombe
Fig. 6. Superficie esterna del parietale sinistro
Fig. 7. Vista di tutto ciò che ci rimane del cranio