Da “SAPERE” – Ulrico Hoepli Editore
Anno V - Volume X - n. 118
30 novembre 1939 - XVIII

 

LA PALESTRA DI POMPEI
di Amedeo Maiuri

 

 


1. Il prospetto principale della Palestra

 

Dopo più di un cinquantennio di scavi di sole case, officine e botteghe nei vari quartieri della città, quando sembrava che l'edilizia pubblica, dopo la scoperta delle incompiute Terme Centrali e delle informi rovine del cosiddetto Tempio di Venere, non avesse più alcun altro edificio pubblico, sacro o civile, da rivelarci, ecco apparire nell'estremo settore nord-orientale della città, accanto all'Anfiteatro, un altro grandioso monumento, unito all'Anfiteatro dalla stessa grande piazza., dalle stesse numerose vie che vi sfociavano dai quartieri densi dell'abitato e dalla vicina grande arteria della Via dell'Abbondanza. È la Palestra, la vera grande Palestra romana di Pompei, il campo sportivo per l'educazione fisica della juventus riorganizzata da Augusto: e palestra e anfiteatro uniti e collegati razionalmente fra loro, quasi a segnare il naturale epilogo di un programma logicamente concepito ed attuato di impianto urbanistico. Edificio grandioso, da superare ogni previsione per una città non grande di provincia: un quadrilatero di 140 metri su 110 di lato; un'area ,di più di un ettaro e mezzo di superficie, sufficiente allo spazio delle case di un intero quartiere.

 


2. Le colonne del portico

 

Vi si lavora attorno da 4 anni a sbancare il terreno; se ne è data una prima notizia due anni or sono; occorrerà ancora qualche anno prima che lo scavo possa dirsi completo, ma l'edificio è ormai chiaro nel suo carattere, nel suo funzionamento, nelle sue strutture. Architettura semplice e soda, fatta di elementi essenziali. All'esterno, mura di recinto alte e lisce, interrotte dai salienti delle porte - ampie quanto i fornici di una cavea - e terminanti lungo il prospetto principale, con un coronamento di pilastrini cuspidati sì da far pensare alle mura di un castro e alla merlatura di una cinta murale (fig. 1). All'interno, da tre lati, tre lunghe fila di portici, una gran parata di 133 colonne su di un podio sopraelevato, intorno a un gran campo erboso, ombreggiato un tempo, come mostrano i cavi e le impronte delle radici, da un doppio filare di piante: al centro del portico, un'edicola sacra al Nume tutelare della palestra o ad uno dei personaggi imperiali nella sua funzione di prìnceps juventutis; al centro del campo, una grande piscina da nuoto; da uno dei lati, infine, i servizi igienici; una grandiosa fórica che lo scarico della vasca da nuoto, regolato dall'impianto di una saracinesca, doveva alimentare di acqua corrente, impianto che la eruzione dell'anno 79 lasciò, peraltro, incompiuto.

 


3. Come sorgono le colonne dallo scavo

 

Danneggiato dal grave terremoto dell'a. 63 d. C., sorpreso mentre vi si compievano radicali opere di restauro, dalla tremenda eruzione del 79, è tuttavia uno dei monumenti meglio conservati di Pompei, grazie soprattutto alla prodigiosa conservazione di tutto il gran colonnato del portico, solo in minima parte danneggiato e integralmente ricomponibile con tutti gli elementi rimasti sul terreno (fig. 2 e 2 bis). Ma il nembo dell'eruzione dovè abbattersi su queste mura e su quest'area scoperta con una violenza inaudita. Ne è prova il lungo muro del lato settentrionale abbattuto, schiantato di colpo per più di 100 metri, come se la forza immensa di cento catapulte l'avessero contemporaneamente spinto e rovesciato al suolo: e fu invece l'enorme pressione del banco dei lapilli che spinto dalla direzione normale del vento contro quel muro, e non controbilanciato dalla pressione del terreno all'interno, provocò l'immane crollo (fig. 3).

Edificio grandioso atto a ricevere a traverso gli ampi sbocchi delle strade e delle sue porte, le turmae dei giovani iscritti nella juventus, ad accogliere in occasione dei ludi annuali folle di spettatori e di ammiratori, uno insomma dei più istruttivi a farci intendere la vita di una città di provincia a traverso le organizzazioni giovanili di allora.

Complemento essenziale della Palestra era la sua decorazione arborea, e cavi di grandi radici di alberi annosi sono apparsi nell'area del campo da giuoco, fra il portico e la vasca da nuoto, disposti a intervalli regolari (a m 7,50 l'uno dall'altro) e a doppio filare, in modo da creare tutt'intorno una gran piazza alberata.

L'ingegnoso espediente della colatura del gesso nei forami della terra, ci ha riplasmato anche qui, come dallo stampo d'una matrice, la forma del tronco e delle radici e ci aiuta meglio d'ogni grafico e plastico disegno ricostruttivo, a ricomporre dinanzi ai nostri occhi il mirabile quadro d'assieme che dovevano offrire alberi e colonne intorno al grande specchio vivido dell'acqua della vasca.

 


4. Il muro abbattuto; in fondo, l'anfiteatro

 

Erano piante di platano, la pianta cara agli atleti fin da quando alla sua ombra giovani ignudi erano usi riposarsi prima di tuffarsi nelle libere acque dei fiumi a Olimpia o a Sparta; e a giudicare dalla grossezza dei tronchi e dallo sviluppo delle radici fuoruscenti come mostruosi tentacoli di polpi intorno al rilevato del terreno, dovevano essere piante poco meno che centenarie (fig. 4).

E così accanto alla minuscola, spesso anche troppo preziosa, architettura dei giardini, Pompei ci da per la prima volta in tutto il mondo antico, una vera e propria testimonianza monumentale di architettura arborea a servizio di un edificio pubblico di vasto respiro quale è questo della Palestra.

 


5. Lo scavo al fondo della vasca da nuoto

 

Centro della vasta area, è la vasca da nuoto, la natatio, in piena aria, ampia quanto una delle nostre piscine del Littorio: di m 34 su di un lato per m 22 su di un altro (fig. 5); e come nelle piscine di oggi il fondo, ad imitazione del lido del mare, è gradatamente discendente, da un minimo di un metro di profondità al massimo di m 2,60; non ce n'era abbastanza per i tuffi e per le moderne elegantissime acrobazie del salto in acqua - come ebbe ad erudirmi una giovanissima campionessa di nuoto in un'ora di viaggio fra Siena e Orvieto - ma, in compenso, in luogo delle gelide architetture in vetro-cemento che mettono, nelle grige giornate, intorno ai corpi degli atleti, un'atmosfera d'acquario, c'era il cielo e l'azzurro e in luogo degli stalli e camerini per doccia e spogliatoio, c'era un po' di prato e bei tronchi di platano e fusti lucidi di colonne da appenderci i vestiti e riposarsi beatamente nelle pause delle gare.

Poco male se il còrtice degli alberi e il còrtice a stucco delle colonne, fossero usati liberamente come tabula scriptoria e se le colonne, disseminate di graffiti e di impertinenti caricature e bucherellate da chiodi e ramponi per appoggi di fortuna, ci abbiano conservato le tracce di questa allegra e baldanzosa presa di possesso da parte dei giovani palestrini pompeiani.

E si debba o no attribuire alle nuove correnti di igiene sanitaria portate dal medico Musa nella casa imperiale di Augusto, l'idroterapia col bagno freddo, certo è che esso ha, in mancanza di altri monumenti della stessa epoca a Roma e nelle provincie, la sua prima ufficiale applicazione nella natatio della Palestra a Pompei, in un edificio cioè esclusivamente destinato all'educazione fisica dei giovani, e a tutti gli esercizi di lotta, di corsa, di nuoto da farsi in pien'aria.

E quando gli architetti delle Terme imperiali aggregheranno al classico impianto del bagno romano, l'impianto della palestra e la frigida lavatio diventerà una più immensa, piscina da nuoto rivestita di marmi, si perderà per sempre, fra gigantesche architetture e colossali sculture, questa pura e aurea semplicità di una vasca affondata nel verde, ombreggiata da platani, avvolta da semplici colonne a stucco, in cui par di cogliere ancora l'ultima eco della vita delle palestre di Olimpia, di Atene o di Sparta lungo le rive dell'Alfeo, dell'Eurota o dell'Ilisso.

 


6. Cavallo e conducente

 

Grande il numero delle vittime in cui si siamo imbattuti nello scavo della palestra, disseminate a gruppi o isolate qua e là entro e fuori il recinto; erano fuggiaschi sospinti dalla bufera infernale fuori dell'angustia dei vicoli e delle case squassate dai boati della terra (adulti, adolescenti, donne, bambini, un cavallo da fatica con accanto il suo conducente) e in pochi luoghi come questo è possibile rivivere l'angoscioso dramma degli ultimi istanti di Pompei. Non molto copiose e preziose le suppellettili raccolte intorno ai corpi di quegli sventurati, che l'ansia nella fuga tolse ai più ogni possibilità di previdente scelta, ma la scarsità è pur compensata dalla singolarità delle scoperte.

Una di queste resterà sopra le altre memorande.

 


7. Gruppo di vittime tra cui era il cerusico

 

Fra un gruppo di fuggiaschi che il tragico groviglio dei corpi fa supporre stretti da vincoli familiari, si scoprirono, sotto uno scheletro di adulto caduto bocconi sul terreno in mezzo a un informe strato di concrezione di lapilli e di ossidazioni ferrose, gli avanzi purtroppo assai miseri, di una cassetta lignea contenente una serie di strumenti chirurgici in bronzo, in pinze dentate e piane, uncini, aghi e bisturi della caratteristica forma a manico di presa corto e robusto e a lama col tagliente a sezione ricurva: una theca vulneraria, una busta chirurgica insomma. Aderivano alla cassettina e facevano parte di un più prezioso strumentario, alcuni astucci metallici dei quali i minori contenevano residui di sostanze certo medicamentose, e il maggiore sei strumenti in metallo lucido in spatole, stili e aghi, di tanta sottile perfetta ed elegante esecuzione da far pensare - a un egregio oculista che ebbe ad esaminarli - che in uno di quegli aghi si potesse riconoscere il tipico ago per cataratta.

 

 

Era evidentemente un cerusico che non ebbe altro pensiero in quei tragici momenti, all'infuori di quello di portare in salvo con sé gli strumenti dell'arte sua. Forse egli sperò di poter essere utile ai suoi compagni di sciagura e di poter, passato che fosse quel disumano flagello, risanare o alleviare qualche dolore. Se questa speranza ebbe, il martirologio dei medici ha in questo pompeiano un suo ignoto precursore.