Da “SAPERE” – Ulrico Hoepli Editore
Anno V - Volume IX - n. 97
15 gennaio 1939 - XVII

 

MONETE CHE PARLANO
La plastica numismatica degli antichi rivelata dalla fotografia dei moderni
di Giacomo Prampolini

 

Nell'età nostra gli annunci di teorie, metodi, ritrovati capaci di rivoluzionare lo stato attuale delle cognizioni sono così frequenti, che talvolta, nella prima accoglienza, predomina lo scetticismo: il pubblico, deluso da anteriori esperienze, si mette in guardia - e non si può dargli torto. Nel caso specifico della nuova tecnica fotografica escogitata e applicata da Kurt Lange alla riproduzione di monete elleniche e romane, di cui diamo qui una interessante documentazione, ogni diffidenza cade; di fronte a risultati così persuasivi, nasce il più legittimo entusiasmo.

Sinora la moneta, nel patrimonio di opere culturali ed artistiche giuntoci dalle età antiche, era rimasta un po' la Cenerentola: oggetto di sguardi rapidi e distratti per i visitatori dei musei, anche se in segreto vezzeggiata da quei solitari e gelosi amatori che sono i numismatici. Tutti ricordiamo certe salette certe bacheche votate alla polvere e al silenzio come ossari privi di vita; tutti ricordiamo talune vignette, minuscole, sbiadite, inespressive, che si rifiutavano di stimolare l'ammirazione, per quanto grandi fossero l'effigiato e l'artista. E la colpa non era nostra: come apprezzare, ciò che si nascondeva; come rintracciare nel piccolo tondo metallico, sovente logoro o coperto da una spessa patina, il tratto eloquente, la scintilla per un sincero interesse spirituale ed estetico ?

La rivelazione è venuta: precisa, luminosa, mercé i grandi progressi della moderna tecnica fotografica, Ha recato un nuovo, efficacissimo sussidio alla storia e alla comprensione dell'arte. Sul procedimento da lui ideato ad attuato, Kurt Lange non fornisce particolari; ne spiega però le due caratteristiche precipue: riproduzione basata sull'originale, non già sul calco in gesso; uso accorto del tanto discusso ingrandimento. Grazie alla combinazione dei due mezzi (ai quali certo bisogna aggiungere il possesso e l'esercizio di un fine e vigile senso artistico) monete che hanno per lo più un piccolo diametro, appaiono ai nostri occhi trasformate, "trasfigurate" - ma senza il menomo danno per la forma e lo stile plastici - in altrettanti superbi medaglioni, degni di gareggiare coi migliori saggi di quell'arte tipica del nostro Rinascimento che del resto ha lo sue premesse appunto nella monetazione dell'antichità classica.

È facile prevedere che una tecnica fotografica tanto progredita potrà rendere altri inestimabili servizi, a qualunque campo dell'arte si rivolga, permettendo di creare tutta una iconografia - esatta e suggestiva - dei piccoli oggetti e dei particolari che sfuggono, quale è nei voti di ogni studioso. E, con una simile iconografia a propria disposizione, la storia dell'arte, nonché della cultura in genere, si arricchirà certo di nuove prospettive, offrirà inattesi piaceri.

Di questi ci dona una primizia il citato volume del Lange, che raccoglie i magistrali ingrandimenti di una sessantina di monete antiche, dall'epoca di Alessandro Magno circa alla fine dell'Impero romano d'Occidente. Di pagina in pagina si segue a grandi linee l'evoluzione della plastica monetaria, arte schiettamente ellenica, e insieme si "scoprono", è la parola, i volti di grandi personaggi dell'antichità. Senonchè, nel mondo greco od ellenizzato prevalse sempre l'idealizzazione; furono i Romani, imprimendo come al solito il loro suggello su quanto assimilavano, i primi a perseguire la somiglianza nelle effigi coniate: la moneta doveva servire alla realtà nel modo più completo, e quella realtà non tardò ad essere imperiale, compendio di tutto il mondo civile. Nella galleria di ritratti radunata dal Lange noi abbiamo scelto una breve serie di grandi o singolari figure, interpretando - sulle sue orme - i singoli volti con notizie desunte da fonti storiche. Ai competenti spetta precisare in quale misura queste immagini di monete-medaglie integrino le già note di teste e busti marmorei; a noi qui basta tentare una specie di modesta fisiognomica, indicando corrispondenze tra le effigi e le personalità.

 

KURT LANGE
Herrscherköpfe des Altertums in Münzbildnissen ihrer Zeit
Atlantis-Verlag, Berlin-Zürich, 1938.

 

 

 

Nel titolo: AUGUSTO, il fondatore dell'Impero romano. «Fu di grande bellezza in ogni età della sua vita; parlasse o tacesse, il suo volto era profondamente tranquillo e sereno. Chiari aveva gli occhi e splendenti, e gli piaceva che ad essi fosse riconosciuta una forza divina; anche godeva se qualcuno, da lui fissato, abbassava lo sguardo come davanti al fulgore del sole... » (Svetonio).

 

ALESSANDRO III il Grande: l'uomo il cui nome segna la fine di un'epoca storica e l'avvento di un nuovo assetto del mondo. Alessandro il Grande pose fine alle guerre bisecolari degli Elleni e concluse la prima grande lotta dell'oriente contro l'occidente di cui la storia abbia conoscenza, annientando l'impero persiano con la conquista fino alla costa africana e con la espansione del dominio greco e la introduzione dell'ellenismo presso popoli di civiltà già affermatesi da lunghi secoli.
Questo ritratto di Alessandro il Grande risulta fedelissimo dal confronto con altre due monete, modellate da diversi artisti, non riprodotte qui, e prese anch'esse in esame da Kurt Lange.

 

Chi non conosce la bella leggenda della «chioma di BERENICE»? Essa si riconnette a questa figura di regina, figlia di Magas re di Cirene, che offri i suoi capelli al tempio di Arsinore, in segno di ringraziamento per la vittoria del marito combattente in Asia. E quando il giorno successivo al sacrificio la chioma della regina era scomparsa, l'astronomo Conone di Samo spiegò come essa fosse stata rapita dagli Dei e trasportata in cielo a formare la costellazione che da allora porta il suo nome.
Fra le numerose monete di regine tolemaiche questa, che riporta fino a noi l'effigie di Berenice II, eccelle per la finezza ed il calore artistico della esecuzione.

 

GERONE di Siracusa, per il quale è unanime la lode degli antichi, deve la sua fortunata carriera all'ingegno non meno che all'intuito politico. Distintosi dapprima come ufficiale siracusano al servizio di Pirro contro i Cartaginesi, proseguì velocemente la ascesa nei gradi militari finché l'esercito lo nominò comandante e re. Dopo alcune vittorie iniziali, vinse i Mamertini a Longanus e si alleò ai Cartaginesi contro i Romani nell'assedio di Messana; ma successivamente ottenne la pace da Roma mercé la rinuncia ad una importante parte del suo regno, e in seguito fu alleato di Roma contro Cartagine.

 

La naturalezza e la efficacia di questa effigie di MITRIDATE IV, re del Ponto, fa rimpiangere che la letteratura non ci abbia lasciato nessuna traccia personale del carattere di questo dominatore, È notevole peraltro che egli non abbia, evidentemente, influito sull'artista, perché questi abbellisse i suoi lineamenti di negro barbarico: lineamenti che non mancano, del resto, di una certa spiritualità.

 

La reazione della religione e dei costumi locali contro l'ellenismo e degli Dei ellenici dette origine in Oriente, ad un movimento di cui i fautori furono i Partiti, che su di essa fondarono la potenza del loro dominio. Il sesto Arsace, Mitridate I, fu il vero fondatore di questo dominio: l'impero battriano, indebolito dalle guerriglie con i cavalieri sciti del Turan e dello stato dell'Indo, fu da lui sottomesso: e questo cambiamento nella situazione politica dei popoli dell'Asia interna, costituisce una svolta decisiva nella storia antica.
Il nuovo arsacide MITRIDATE II detto il Grande, di cui la moneta ci dà la immagine, sconfisse definitivamente gli Sciti e spinse fino alla Siria e all'Armenia i confini dello stato.
Verso la fine della sua vita, però, disordini e rivolte paralizzarono le forze del suo esercito e i suoi dignitari, e lo stesso suo fratello, gli si ribellarono; infine il fratello lo uccise.

 

TITO QUINZIO FLAMININO vincitore a Cinocefale, appena trentenne, di Filippo IV il Macedone, dotato di vivo ingegno, apparteneva alla giovane generazione romana che pur mantenendo il culto delle tradizioni patrie, si rivolgeva verso il mondo ellenico non senza far larga parte ad una nobile ambizione personale. Abile comandante ma ancor più abile diplomatico, seppe ottimamente regolare le difficili condizioni della Grecia di quel tempo a pro' della egemonia di Roma.

 

Dopo Canne, popolo e senato romano si rivolsero, con sicuro istinto, verso MARCO CLAUDIO MARCELLO conferendogli il supremo comando. Già cinquantenne, era ancora pieno dì impeto guerriero: pochi anni prima, primo ed unico console romano a compiere una simile gesta, aveva sfidato singolarmente, percosso e gettato da cavallo, un condottiero nemico. L'impresa della sua vita può riassumersi nelle due parole: cuore e audacia.

 

CNEO POMPEO MAGNO fu soltanto un buon ufficiale, quantunque di mediocri doti di spirito e di animo; ma il destino, con una costanza durata per 30 anni, gli fu prodigo di lauri e di onori sì da dargli una impronta di falsa grandezza di cui la storia, forse, non ha un secondo esempio. Così Pompeo è definito da Teodoro Mommsen; e l'esame dei lineamenti qui registrati avvalora, indubbiamente, questa descrizione del Triumviro, vinto a Farsalia da Cesare.

 

CAIO GIULIO CESARE; dotato di prodigiosa forza creatrice ed in pari tempo di senno profondo; non più giovane, ma non ancora vecchio; di grandissima volontà e forza dì realizzazione: imbevuto di ideali repubblicani, ma nello stesso tempo nato per essere re romano nel più profondo significato di questa parola, ma in pari tempo prodotto di intima fusione di caratteri ellenici e romani: questo è Cesare.

 

LIVIA, l'intelligente e savia compagna di Augusto, colei che dal morente ricevette questo estremo saluto: «Livia., nostri coniugii memor vive, ac vale». (Livia, sempre ricorda il nostro matrimonio, e stammi bene!).
Consigliera del marito, collaborò efficacemente alla politica demografica svolta da Augusto.

 

NERONE ci è descritto da Svetonio all'incirca con queste parole: «Principalmente gli stava a cuore l'applauso del pubblico ed era sommamente geloso di chi in pubblico aveva successo. È stato ritenuto generalmente che, dopo i suoi successi come attore e come cantante, volesse tentare anche la carriera dell'atleta; si era proposto di uguagliare Apollo nel canto, il dio del sole nel condurre le bighe, ed Ercole nelle gesta. Morì trentaduenne nell'anniversario del giorno in cui aveva ucciso Ottavio e il contento generale per la sua morte fu grandissimo. Ma non mancarono persone che ornarono la sua tomba con fiori e gli innalzarono erme commemorative nelle Preteste come se egli vivesse ancora, dicendo che sarebbe tornato fra poco per punire i suoi nemici.
Di statura normale, il corpo era coperto di macchie, i capelli biondo oro, il viso forse più bello che leggiadro, gli occhi azzurro verdi, il ventre sporgente, le cosce oltremodo magre, di salute robusta...».

 

VESPASIANO, il Sabino di umili natali proclamato imperatore dall'esercito che in lui amava il bravo generale. «Consolidò lo stato vacillante e poi gli conferì splendore... Era di corporatura massiccia, di membra tarchiate e robuste; il suo volto esprimeva la tensione e lo sforzo... Godè sempre ottima salute». (Svetonio).

 

TITO, figlio di Vespasiano, l'espugnatore di Gerusalemme, il secondo dei Flavii. Governò solo per tre anni; ma, fornito di ogni dote di mente e di cuore, fu «amor ac deliciae generis humani» (l'amore e la delizia del genere umano.). Riteneva perduto il giorno in cui non avesse beneficato alcuno. In occasione di calamità pubbliche (la eruzione del Vesuvio che distrusse Ercolano e Pompei, l'incendio di Roma, una pestilenza dimostrò verso i sudditi la sollecitudine di un padre.

 

Lo spagnolo TRAIANO, prode in guerra, giusto e generoso in pace. Portò l'Impero alla sua massima estensione, conquistando l'Armenia, la Mesopotamia e la Dacia; ornò Roma di monumenti insigni; nell'Urbe aveva fatto il suo ingresso solenne a piedi, sovrastando gli altri soltanto con l'alta statura, come dice il suo panegirista Plinio il Giovane. Ed Aurelio Vittore, parco di lodi, lo definisce «aequus, clemens, patientissimus, atque in amicos perfidelis»

 

COSTANTINO, figlio di S. Elena, trionfatore di Massenzio nel segno della Croce, il monarca alla svolta dei tempi. Nativo di Naisso (l'attuale Nisc in Jugoslavia), emanò da Milano l'editto di tolleranza dei culti in favore del Cristianesimo, morì in Asia Minore. Bramoso di gloria militare, generale esperto, fu mite coi sudditi e patrono della cultura; nella sua persona si unificò ancora una volta l'Impero che già vacillava.