Da “SAPERE” - Ulrico Hoepli Editore
Anno IV - Volume VIII - n. 90
30 settembre 1938 - XVI

 

UN INCUNABOLO DELLA PITTURA SU VETRO
di d.s.

 

 

È opinione comune che la pittura a fuoco su vetro abbia sempre nascosto le sue origini, di guisa che si è soliti arrestare ogni indagine di ricerca alle soglie del medio evo, poiché allora solamente si cominciarono a creare quelle meravigliose vetrate d'arte che ornano le antiche cattedrali. Ora tale opinione non corrisponde al vero perché l'archeologia ci presenta pochissimi, è vero, ma preziosi documenti anche anteriori all'era nostra. Si tratta generalmente di vasi d'uso comune, poculi o bicchieri e qualche fiasca.

L'Oriente e l'Egitto conobbero tale tecnica, ma i rispettivi documenti si riducono a qualche frammento, mentre nel mondo greco e romano, e nel periodo che va dal I secolo a. C. fin verso al tardo impero, troviamo esemplari notevolissimi.

Quello che qui presentiamo al lettore proviene da scavi eseguiti a Locarno nel '36, e fu estratto da una tomba romana che risale alla prima metà del I secolo d. C. È una coppa di vetro verde soffiato, del diametro di 9 cm circa (fig. 1).

 


fig. 1 - Coppa di Locarno

 

Un ramo di vite ed uno di edera, ricchi di fogliame, di grappoli e di corimbi, intrecciandosi, abbracciano in un movimento leggero, ondulato, il corpo del vaso. Su di essi, in lati opposti, svolazzano due uccelli. Sotto la base una corona incornicia una stella centrale ad otto punte. È la marca di fabbrica.

La stilizzazione è buona e forte. La simmetria temperata dalla varietà dei movimenti e delle linee, specialmente nella posa dei due graziosi uccelli, rende il movimento fresco e pieno di vita. Il colore anima ancor più il disegno; è un colore morbido, temperato nei toni, dall'aspetto un po' terroso, senza tracce di ombreggiatura; tutt'al più una leggera sovrapposizione di materia colorante rialza il tono rosso delle ali e della testa degli uccelli.

Quei pochi colori fondamentali, che l'artefice adopera, sono colati a forte spessore, per cui l'ornamentazione riesce di effetto plastico, spiccando nettamente sul fondo verde-scuro, e armonizzano tra loro in dolcissimo cromatismo. Essi sono opachi ; giova infatti notare che gli antichi non conoscevano l'uso dei colori o smalti traslucidi, vanto questo del Rinascimento.

Il disegno, tendendo difilato alla stessa sua essenza, è semplice; l'artefice ha voluto rimanere un eccellente decoratore e non cedere alle lusinghe della pittura !

Volendo, noi possiamo scindere l'elemento greco della decorazione da quello alessandrino. Il motivo tradizionale dei rami di edera e di vite, largamente usato, ed il senso naturalistico dell'espressione sono greci; il motivo degli uccelli (rimesso allora in moda e tolto dall'arte arcaica greca), la tecnica, colla sua maniera impressionistica ed a macchia, con una gamma di colori ristretta, sono alessandrini.

I colori presentando tutti quei caratteri di materia vetrificata, sì evidenti ad un occhio alquanto esperto. Vero è che su tale questione gli archeologi non sempre sono andati d'accordo, ma conviene subito notare che le discussioni sorsero a proposito di certi esemplari in cui la pittura era divenuta friabilissima ed in gran parte disgregata dagli agenti chimici e fisici del terreno. Per buona ventura il nostro esemplare è rimasto perfettamente intatto nella decorazione. Non andiamo forse lungi dal vero asserendo che di tutti questi pochi esemplari rimasti, tre soli si conservano in ottimo stato: la coppa di Locarno, quella di Torino, e forse il vaso di Leningrado, detto di Kertsch.

 


fig. 2 - Coppa di Torino

 


fig. 3 - Sviluppo della decorazione nella coppa di Torino

 

La coppa di Torino, che si trova in quel Museo d'Antichità, presenta un motivo alquanto differente dal nostro, ma gli elementi tecnici sono talmente identici, sicché siamo certi che ambedue le coppe sono uscite dalle mani dello stesso artefice (figg. 2 e 3).

Riteniamo che il luogo d'origine di questi vetri debba essere il bacino orientale del Mediterraneo. Recentissimi scavi condotti nell'Afghanistan dalla Missione Archeologica Francese confermano questa ipotesi.