Da “SAPERE” – Ulrico Hoepli Editore
Anno IV - Volume VIII - n. 96
31 dicembre 1938 - XVII

 

TECNICA ANTICA DELLA STRADA
di G. De Florentiis

 

Non è concepibile attività umana, anche primordiale, senza strade: senza, cioè, una preparazione della superficie del suolo che consenta spostamenti di individui e di cose. Da principio, esse furono cammini abbozzati attraverso la foresta per recarsi dall'abituro ai luoghi di caccia o di abbeverata, sull'esempio degli animali che sono i primi tracciatori di strade: i minori dietro i maggiori che hanno la possibilità di aprirsi un varco.

In seguito, divennero comunicazioni fra abituro e abituro, fra tribù e tribù; poi, venne l'invenzione della ruota; quindi si attaccarono ai veicoli gli animali addestrati al traino; e via via, fino alle strade nazionali rotabili, ai grandi valichi di montagna, alle ferrovie, ai trafori, alle modernissime autostrade.

La storia della strada riassume gran parte di storia della civiltà. V'è in essa un contenuto geografico che chiarisce quel determinismo per il quale le grandi, e anche le minori vie di comunicazione sono passate sempre per gli stessi punti, fissati dai dislivelli naturali, dalla facies delle regioni attraversate, dai corsi d'acqua, dagli sbocchi sul mare. V'è poi un contenuto strettamente storico che dimostra come dalle più antiche e leggendarie migrazioni fino agli eventi meglio a noi vicini nel tempo, l'espansione dei popoli, le guerre e le conquiste siano passate sempre sulle stesse orme.

V'è anche un contenuto economico, intimamente connesso alla storia ed alla geografia, che spiega come si siano formate, stabilite, sviluppate le correnti di traffico e di scambi materiali e culturali fra i popoli, moltiplicando le possibilità delle economie singole, elevando il tenore di vita, fondendo gli elementi delle varie civiltà.

E v'è un contenuto tecnico, che riguarda le varie applicazioni dei ritrovati dell'ingegno, dell'arte e della scienza nel costruire le strade, considerate vere officine di traffico nella loro essenza di manufatti che il traffico accolgono, smistano, dirigono.

La tecnica stradale si basa su un principio molto semplice. In un percorso senza dislivelli, il lavoro necessario per eseguire un determinato trasporto dipende dal peso trasportato, dalla distanza di trasporto, dalle resistenze che si oppongono allo spostamento. Trascinate o spingete il peso su una pista irregolare e scabra, e la resistenza sarà molto elevata. Formate un piano levigato e regolare e ponete sotto il peso una slitta che scorra con minimo attrito - lo si fa correntemente sulla neve e sul ghiaccio, oppure in certi trasporti speciali (le famose lizze per i marmi del Carrarese) -; meglio ancora, sostituite alla slitta la ruota cambiando l'attrito radente in attrito volvente; nella ruota stessa ripetete il procedimento passando dallo strisciamento dell'asse o del perno nella boccola al contatto di rotolamento per linee o per punti coi rulli o con le sfere; la resistenza scenderà a valori sempre più bassi fino a meno di un centesimo del peso trasportato. Riguardo ai dislivelli, bisognerà sempre aggiungere al lavoro di trasporto quello intero di sollevamento del peso dalla quota inferiore alla superiore nei percorsi in salita; sottrarne invece nei percorsi in discesa soltanto una parte, il resto dovendo essere assorbito dall'attrito dei freni per evitare accelerazioni pericolose.

Ma fra due punti in dislivello si potranno scegliere percorsi che limitino il valore delle pendenze aumentando invece il percorso orizzontale, ciò che è preferibile perché, pur restando uguale il lavoro necessario, diminuisce lo sforzo massimo, cioè la potenza occorrente e gli sforzi stessi possono essere sviluppati in condizioni di maggior comodità e rendimento.

E dove la topografia accidentata non permette di adagiare sul terreno il nastro tortuoso della strada e diventa il letto di Procuste in cui non si adattano le pendenze e le curve più convenienti, ecco la tecnica, antica e recente, scavar trincee, valicare valli e corsi d'acqua sui viadotti e sui ponti, forare le gallerie.

In queste poche parole, che rappresentano molte cose, è tutta la tecnica della strada, i cui concetti la storia dimostra come fossero ben chiaramente conosciuti fino dalla più remota antichità.

Le civiltà più antiche dettero uno sviluppo piuttosto considerevole alle strade, pur senza raggiungere la maestria dei Romani. Così lungo il Nilo dove sorsero e si svilupparono le maggiori città egiziane, nonostante che il "padre dei fiumi" fosse la via fondamentale dei trasporti e comunicazioni, gli Egiziani costruirono strade di cui sono venuti recentemente in luce interessanti avanzi. Una di esse, partendo da Captos giungeva al porto di Berenice sul Mar Rosso e poi, dirigendosi verso Nord, costeggiava il golfo fino a raggiungere l'istmo dove si congiungeva con le carovaniere provenienti dall'Arabia, dalla Siria e dall' India, consentendo così di evitare la navigazione del Mar Rosso: sulle coste erano punti di appoggio per il commercio di importazione e di esportazione con l'Etiopia. La strada era a fondo naturale: ma lungo il percorso erano scaglionati magazzini, serbatoi d'acqua e scuderie.

E sembra, secondo Strabone, che gli Egiziani fossero i primi a dare alle piste a fondo naturale una sistemazione con lavori di pavimentazione: fossi laterali per lo scolo delle acque, rilevati, viadotti, ecc. Interessante è pure per i riguardi detti la storia delle strade assire-caldee, persiane, fenicie-cartaginesi, micenee, greche, etrusche, di cui gli autori antichi danno notizie più o meno particolareggiate.

Ma i maestri della costruzione di strade, come è ben noto, furono i Romani. Ancora oggi le linee ferroviarie costituenti le grandi vie di comunicazione europee seguono il tracciato delle grandi vie consolari romane. Concepite e condotte a termine per scopi essenzialmente militari, di difesa e dominio delle colonie, le strade di Roma assicurarono una rapidità di trasporti e permisero ai Romani una mobilità sorprendenti. Taluni imperatori romani trascorsero la maggior parte del loro governo nel guerreggiare da un confine all'altro dell' Impero.

Al cadere di questo, la rete delle grandi strade era fitta ed estesa; lo sviluppo ne è stato calcolato in cifre molto diverse, ma accettando come più probabile quella di 140.000 km indicata dallo Schmoller, risulta che la densità relativa delle strade romane era di 4 km per ogni 100 km2 di territorio: sviluppo meraviglioso, giacché oggi la densità media delle ferrovie in Europa è soltanto di 3 km per ogni 100 km2 di territorio.

 

 

Di sommo interesse la tecnica usata dai Romani nella costruzione delle loro strade. Queste erano di varie specie: militari, larghe in totale circa 12 m con una parte centrale inghiaiata (agger) di circa 4,80 m (16 piedi) per il carreggio e due banchine laterali (margines); le minori, l'actus largo 4 piedi con scambi intervallati per l'incrocio dei veicoli; l'iter largo 3 piedi, la semite e il calles larghi un piede e mezzo, mulattiere o solo pedonali.

Secondo Ulpiano, i Romani avevano due metodi per la costruzione della sovrastruttura: quello della glarea stratae e quello della glarea silice stratae. Il primo, usato per le strade meno importanti, consisteva nel declinare la larghezza con due piccoli fossati (sulci) scavando la parte intermedia fino a notevole profondità; il fondo, livellato e compresso, veniva coperto di uno strato di conglomerato di pietrisco e malta di sabbia e calce, sul quale veniva steso un secondo strato di pietrisco più minuto mescolato con materia cementante. Il secondo metodo era usato per le strade di maggiore importanza quali la via Appia, la Flaminia, la Emilia. Lo scavo fra i due fossetti laterali andava a tale profondità da raggiungere ove possibile un terreno consistente: se ciò non era possibile, il terreno veniva consolidato con palafitte. Il fondo veniva livellato e, se necessario, battuto con mazzeranghe ferrate e su di esso si posavano larghe lastre di pietra da 30-60 cm di spessore, costituenti lo statumen. Su questo si disponeva un altro strato detto indus da 25-30 cm di spessore, ben compresso, formato di pietrisco, rottami di mattoni, pezzi di ferro impastati con malta di calce, sabbia, argilla, pozzolana. Sull'indus si poneva il nucleus, spesso dai 30 ai 50 cm, di pietrisco più minuto, cementato con le malte della stessa qualità, e vi si passava un rullo compressore: esso doveva risultare impermeabile all'acqua. Infine veniva l'ultimo strato detto summit crusta, di lastre di selce, lava, basalto, marmo, ecc. oppure di semplice inghiaiata (summum dorsum). Lo spessore della massicciata raggiungeva così spessori enormi: da 1-1,50 metri eccezionalmente poteva arrivare anche a 5 metri e più.

Per i tracciamenti, aspri e laboriosi, i Romani si servivano della groma, specie di squadra, della diottra per la misura degli angoli e del corobate, specie di livello.

Nonostante la grossolanità di tali strumenti, i risultati erano abbastanza esatti: i Romani avevano appreso dai Greci i metodi razionali di tracciamento, dei quali Erone Alessandrino da notizia nella sua DIOTTRA.

Del resto i Romani, ed anche i Greci, costruivano gallerie per strade ed acquedotti, partendo dai due imbocchi come ai tempi nostri. Eupalino, figlio di Naustrofo di Megara costruì nel VI sec. a. C. la galleria di Monte Castro per l'acquedotto di Samos lunga 1 km e l'incontro avvenne a 425 m da un imbocco con un errore di circa 5 m in orizzontale e 2 in altezza.

Troppo lungo sarebbe anche un semplice cenno sulla storia della strada nel Medio Evo e nella età moderna. Ma quel che s'è detto è sufficiente per dare al lettore una idea dell'interesse e della vastità della materia.

In attesa che questo argomento abbia una trattazione italiana a sé, lo vediamo intanto sviluppato in un capitolo di introduzione al nuovo trattato di SCIENZA E TECNICA DELLE COSTRUZIONI STRADALI del prof. ing. Felice Corini della R. Università di Genova.

Quest'opera, notevole per molti altri riguardi strettamente tecnici, premette una breve, ma densa parte storica alla trattazione di merito; cosa che costituisce se non una innovazione, almeno la ripresa di una usanza che gli autori da tempo in qua avevano trascurato e che appare sommamente giovevole, oltre che alla coltura generale e storica speciale dei tecnici, che spesso difetta loro proprio nella materia che trattano, anche alla formazione e sviluppo particolarmente professionali, perché la storia ammaestra sempre, anche in fatto di scienza e di tecnica.

 

F. CORINI - SCIENZA E TECNICA DELLE COSTRUZIONI STRADALI
Vol. I. DEL PROGETTO
viii-858 pgg, 444 figg, 16 tvv f. t.
Hoepli Milano 1937-XV. L. 120.