Da “SAPERE” – Ulrico Hoepli Editore
Anno VI – Volume VIII - n. 85
15 luglio 1938 - XVI

 

 

Scoperte archeologiche ad Adria
L’ENIGMA DEL COCCHIO
(autore del testo non segnalato)
Schizzi di Anselmo Bucci

 

 


Veduta dello scavo col cocchio nel fondo e la tomba N. 131 nel primo piano.

 

UN RITROVAMENTO archeologico di eccezionale importanza si è avuto in Adria durante l'esplorazione di una delle numerose necropoli preromane che si estendono intorno alla città. Finora le ricerche hanno messo in luce circa duecento tombe, di cui poche, romane del periodo augusteo a cremazione ricche di fittissimi vetri colorati, disposte ad una quota media di 1÷1,50 m sotto il piano di campagna, molte preromane a inumazione con scheletri originariamente orientati verso Est, ma sconvolti per la decomposizione dell'alta bara lignea su cui erano state collocate le salme. Queste tombe scavate a fossa in piena terra, senza segno alcuno di delimitazione, sono alla profondità di 2÷2,50 m sotto lo stesso piano e, dal materiale rinvenuto, vengono attribuite al sec. IV a. C.

La disposizione più comune è la seguente: scheletro rivolto a levante e disposto lungo il lato Nord della tomba; una o più anfore del caratteristico tipo adriese collocate ai piedi; numerosi piatti e vasi fittili per lo più a vernice nera del tipo etrusco-campano, ma forse di fabbricazione locale disposti lungo il lato Sud; orecchini d'oro filigranato e collane con pendagli in foglia d'oro, con abbondanti e grossi grani di ambra e con qualche perla vitrea.

Il cocchio e i cavalli

Veramente eccezionale fu la scoperta di un cocchio, esso pure orientato verso levante. I due cavalli della pariglia posano sui fianchi esterni, simmetricamente disposti ed accuratamente composti. Nelle bocche sono ancora serrati i morsi di ferro. I quattro anelli che servivano a sostenere le briglie sono intatti. Tanto la testata del timone, l'asse e i cerchioni di ferro, quanto i coprimozzi e le borchie di bronzo del carro sono conservati. Non così la struttura lignea che si è decomposta senza lasciare traccia alcuna. Attraverso la biga è lo scheletro di un terzo cavallo, forse del cavallo di battaglia, egualmente orientato: abbattuto sul fianco destro, con le zampe anteriori intrecciate nella ruota sinistra. Esso ha un leggero morso di bronzo. Nessuna altra tomba, né resto di animale è stato rinvenuto nel luogo, se si toglie la testa e qualche osso di un quarto cavallo trovati alla stessa profondità e con lo stesso orientamento in vicinanza dei precedenti. La completa assenza di ossa di bestie riscontrata in tutta la necropoli e la vicinanza delle tombe più ricche al cocchio e la positura di questo, quasi al centro del sepolcreto, inducono a ritenere che si tratti della sepoltura di un grande personaggio alla cui morte furono sacrificati il cocchio ed il cavallo di battaglia. La tomba più vicina, disposta sul lato Est del cocchio, ha dato due orecchini d'oro filigranato lavorati a torqueo di eccezionale grandezza (5 cm di diametro) ed una iscrizione in caratteri etruschi graffita su di un piatto nero finora non decifrata. Sull'asse del carro, e a tre metri più ad Ovest, si sono rinvenuti indizi di scavo e di rinterro eseguiti in tempi romani o per lavori, o forse per depredare la tomba.

Il carro d'oro del re e il mito di Fetonte

L'antica tradizione locale che ricorda il carro d'oro d'un re “Adriano” (di un lucumone etrusco o di un “regulus” gallico) il quale sarebbe sepolto in una necropoli, è avvalorata dal rinvenimento odierno che fa pensare ad una particolare consuetudine o ad un singolare rito di quelle popolazioni etrusco-adriesi della bassa pianura padana presso le quali il culto e la cura dei cavalli dovevano essere veramente eccezionali sia per la speciale conformazione del terreno che ne favoriva l'uso, sia per le tradizioni dei popoli che vi ebbero stanza. Conviene ricordare che fin dal sec. VI a. C. il navarca Filisto, inviato dal tiranno Dionisio di Siracusa a reggere la città di Adria ed a presidiarne il porto, vi aveva tenuto un celebre allevamento di cavalli; che presso il popolo di Adria appunto sorse il mito di Fetonte (più tardi accolto da artisti greci) il quale, figlio del sole, volendo guidare i destrieri di fuoco e mal reggendo i freni si avvicinò alla terra fino ad arderla sì che Giove, per pietà di lei, precipitò nel fiume Eridano (il Po) l'inabile giovane. Conviene ricordare ancora che secondo gli Etruschi il viaggio agli Inferi era affidato al cavallo, simboleggiante il sole, il quale al termine della sua quotidiana corsa si inabissa nelle tenebre infernali; che questi ebbero del cavallo un vero culto, e che anche i Galli, quantunque rozzi e di null'altro curanti se non della guerra e dell'agricoltura, combattendo su carri e su destrieri e curando il bestiame, dovettero tenere in onore i cavalli.

Perciò, sia che la biga di Adria venga considerata come la dedicazione funeraria ad un condottiero, sia che essa venga ritenuta come il monumento rituale deposto nel centro della necropoli al cavallo, simbolo della divinità solare, il ritrovamento ha un'importanza enorme ed è destinato ad attirare l'attenzione degli archeologi e degli studiosi.

 


Il destriero composto a ridosso del carro.

 


Particolare degli scheletri della pariglia con gli anelli di sostegno delle redini.

 


L'insieme del cocchio visto da mezzodì.

 


La pariglia da corsa.

 


La tomba N. 154 vista da levante. Nel fondo la suppellettile di una tomba di ragazzo (N. 158).

 


Veduta d’insieme.