Da “SAPERE” – Ulrico Hoepli Editore
Anno III – Volume VI – n. 72
31 dicembre 1937 - XVI

 

IL RIPRISTINO DI ARGENTI ANTICHI DI SCAVO
di Goffredo Bendinelli

 

LE OPERE dell'arte antica, che il caso riporta di tanto in tanto alla luce, sono quasi esclusivamente rappresentate da oggetti manufatti in pietra o marmo, in terracotta, in metallo. Tutti però sanno che le stesse sculture in marmo ci pervengono troppo spesso mutile o sbocconcellate, e che i bellissimi vasi dipinti, greci o italioti, si trovano di solito ridotti in pezzi a fatica ricomponibili. Si direbbe non vi siano che gli oggetti in metallo capaci di sfidare vittoriosamente le ingiurie del tempo, se anche il ferro non venisse, a lungo andare, disintegrato e ridotto in polvere dalla ruggine, e se il bronzo non restasse, il più delle volte, corroso dagli acidi sciolti nel terreno. Non vi è che l'oro, capace di mantenere indefinitamente il suo primitivo aspetto e splendore: e qualche volta l'argento, quando non accada che sia intaccato dall'ossido.

Ciò non toglie che gli stessi oggetti in metallo prezioso, anche nelle condizioni più favorevoli, abbiano scarse probabilità di conservare integra la loro forma originaria, dato lo spessore generalmente modesto della lamina. Oggi, accanto agli argenti meravigliosi di Pompei, gli unici non bisognosi di restauri, occorre menzionare una serie di argenti restaurati, di particolare interesse artistico e storico, provenienti dal territorio piemontese. Si tratta degli oggetti costituenti il cosiddetto "Tesoro di Marengo" (Alessandria), rinvenuti presso quella località nella primavera del 1928 e passati, dopo complesse vicende, in possesso del Regio Museo dì Antichità di Torino.

Il cospicuo gruppo, del peso complessivo di quattordici chilogrammi, non aveva questa volta risentito della lunga permanenza sotterra, nella struttura almeno del metallo. Ma circostanze occasionali, come, a quanto sembra, la vandalica distruzione di un santuario, seguita dall'azione distruggitrice delle fiamme e dalla caduta di corpi pesanti (travi, ecc.), avevano ridotto molti di quegli oggetti in istato pressocchè irriconoscibile.

 


Fig. 1Busto dell’imperatore Lucio Vero, prima del restauro

 


Fig. 2 Idem, dopo il restauro

 

Di ciò faceva la più evidente testimonianza l'oggetto principale del gruppo: un busto, a grandezza naturale, di personaggio loricato (fig. 1). Qualche corpo pesante, abbattutosi sull'oggetto, ne aveva determinato lo schiacciamento completo. Non ci volle di meno della rara perizia di un maestro nell'arte del restauro, come lo scultore e cesellatore Renato Brozzi, ben noto, in Italia e all'estero, per le sue originali e fini creazioni in metallo, per restituire all'oggetto cosi deformato l'aspetto originario (fig. 2).

Analizzare e distinguere sulla superficie metallica le deformazioni dovute al caso, dalle linee sapientemente tracciate dallo scultore antico nella tecnica dello sbalzo, sottoporre il pezzo metallico ad una temperatura elevata, così da abolire le deformazioni fortuite, mettendo a poco a poco in rilievo il lavoro dello sbalzo e del cesello antico, restituire così all'oggetto la plasticità e rotondità d'una volta, sulla base di dati assolutamente sicuri, fu questa l'impresa che in tempo relativamente breve, il Brezzi ebbe la abilità di condurre a termine, "ricreando" da un misero e mostruoso relitto, una delle più belle opere della scultura antica, romana, in metallo. A tutti è dato oggi di ammirare lo splendido busto di Lucio Vero imperatore, l'unico busto imperiale in argento, che ci sia pervenuto dall'antichità. Con la sua datazione sicura (161 - 169 d. C.) il preziosissimo oggetto permette poi di stabilire l'età di tutti gli oggetti concomitanti.

Il perfetto possesso della forma da parte del restauratore, permise a questo, durante i! processo dì ripristino, di riavvicinare sistematicamente e di far combaciare insieme le sezioni di lamina lesionate, oltre che contorte. L'abile riavvicinamento delle linee di frattura veniva alla fine consolidato da gocce di stagno colate nel rovescio del lavoro a sbalzo, nell'interno del busto. Tale minuzioso lavoro di rimodellazione e di sutura sfugge pressocchè completamente ad occhio meno che prevenuto, tanto esso è condotto con delicata e sapiente maestria.

Per qualche tempo anche dopo il restauro si discusse - a torto - intorno alla più probabile identificazione del personaggio rappresentato. In quanto al restauratore, l'animalista Renato Brozzi, è certo che questi non ebbe mai con Lucio Vero una familiarità maggiore che con qualsiasi altro degli imperatori romani, e dei personaggi in genere del mondo antico. Mentre nel caso che il ritratto non avesse avuto riscontro di sorta nella realtà conosciuta, si sarebbe forse ancora potuto dubitare della scientifica esattezza del lavoro, ogni riserva vien meno quando dalle mani di un esperto della tecnica, ma ignaro del risultato, esce fuori una forma che così bene corrisponde ad una fisonomia storica nota.

 


Fig. 3 Vaso a campana prima del restauro

 


Fig. 4 Idem, dopo il restauro

 

Acquistata così la certezza nella obiettività dei risultati, è più facile restare compresi di ammirazione davanti agli altri esempii del genere. Un oggetto di forma rotondeggiante, una specie di cércine, appartenente al medesimo gruppo, e ritenuto un tipo di capitello architettonico (fig. 3). grazie alla sua decorazione a foglie di acanto, ha ricevuto dal restauratore la sua forma primitiva di elegante vaso a campana, con ricca decorazione vegetale all'intorno, e completo nelle sue partì (fig. 4), eccettuato il fondo, mancante. Altro eloquente saggio del genere è il piccolo tondo sbalzato (fig. 5), il quale, da quella povera cosa, informe e insignificante che sembrava, si presenta oggi come un medaglione con un bellissimo busto di eroe (fig. 6) : un tipo iconico tra l'Achille e l'Alessandro Magno, sbalzato a forte rilievo sopra un fondo circolare piano.

 


Fig. 5 Medaglione con busto, prima del restauro

 


Fig. 6 Idem, dopo il restauro

 

E che cosa dire del caratteristico Giove d'd'argento del Museo di Aosta? Rinvenuto varii anni or sono in occasione di scavi sul Piccolo S. Bernardo, nelle condizioni deplorevoli e nell'aspetto mostruoso in cui esso ci si presenta alla fig 7, fu esso pure affidato, dopo la riuscita del "Tesoro di Marengo", alle intelligenti cure del Brozzi. La fig 8 ci dimostra fino a qual punto il tipico oggetto sacro di età romana, ma di arte barbarica, gallica, abbia ripreso, per la magìa del restauro, la forma originaria.

 


Fig. 7 Busto di Giove (dal Piccolo S. Bernardo) prima del restauro

 


Fig. 8 Idem, dopo il restauro

 

Anche nel Giove di Aosta, come nel ritratto di imperatore, possiamo oggi integralmente ammirare non soltanto due fra le più pregevoli opere superstiti della scultura antica in metallo prezioso, ma anche due notevoli ed originali affermazioni della moderna genialità artistica e tecnica squisitamente italiana al servizio della scienza.