Da “SAPERE” – Ulrico Hoepli Editore
Anno II – Volume IV – n. 41
15 settembre 1936 - XIV

 

 

UN ALTRO PASSO NELLA DECIFRAZIONE DEI MANOSCRITTI MESSICANI
(di G. V. Callegari)

 


Iconofoni del "Codex Vindobonensis Mexicanus I"

 

QUESTA rivista (fasc. 12) ha già trattato della grafia dei Maya antichi a proposito della pretesa scoperta di William Gates della Università di Baltimora. Stavolta si tratta di cosa che può interessarci più direttamente.

Fra i manoscritti e codici messicani — esclusi i Maya — quattro dei quali sono in Italia (il Borgiano, il Vaticano 3773, il Vaticano 3738 nella Vaticana e il Cospiano a Bologna), v'è il CODEX VINDOBONENSIS, dipinto su pelle di cervo, formato in 52 fogli e 104 pagine, lungo 13,55 m e largo 22 cm, e che si trova alla biblioteca già Imperiale di Vienna. Come si sa, i manoscritti messicani si piegano su se stessi come un ventaglio e le pagine sono dipinte su ambo le facciate. Gli americanisti s'accordano nel ritenere ch'esso sia d'origine tolteca, preazteca quindi.

Come è noto, i Toltechi furono un grande e famoso popolo del Messico, ma la cui origine, vicende e cronologia sono assai oscure e discusse. Per taluno si tratterebbe di un popolo favoloso, simboleggiante forse una civiltà superiore; per altri, invece, di tribù della grande famiglia dei Nahua o dei Maya. Discesi nel Messico dal N., verso il sec. VI d. C., veri Pelasgi d'America, provenienti dal lontano e misterioso Huehuetlapallan, forse la California, il Colorado o il Rio Gila, nomadi a lungo, di tappa in tappa, sarebbero giunti nelle regioni degli Othomì, ove avrebbero costruita la loro capitale con il nome di Tuia o Tollan (661 d. C.?).

Razza vigorosa, di pelle chiara, agile, intelligente, industriosa, politeisti, astrolatri, offrivano agli dèi fiori, frutta, animali, mai sacrifici umani; sotto la guida di sacerdoti severi e casti, apprendevano una morale austera, scienze e arti belle; la tradizione li vuole autori del TEOAMOXTLI, o libro divino, dipinto a iconofoni, raccogliente tutto il divino e l'umano sapere e del TONALAMATL, il v grande sistema cronologico rituale di 260 giorni giunto sino a noi.

II loro governo, da teocratico diventò poi monarchico assoluto; essi erano dediti all'agricoltura, coltivavano specialmente il mais, il cotone, legumi e frutta ed erbe medicinali prima sconosciuti; architetti, lasciarono imperituri ricordi a Tuia, a Teotihuacan, a Xochicalco; scultori, mosaicisti in pietra e in piume, ceramisti, tessitori e tintori di stoffe; poi orafi abili, inventarono un sistema grafico che veniva fissato a colori su pelle di cervo o carta d'agave che sarà seguito poi da tutti i popoli dell'America Centrale, salvo i Maya. Furono il popolo più civile dell’America precolombiana.

Dopo cinque secoli di florida potenza, in preda a terribili calamità, cicloni, carestie, pestilenze, discordie, guerre con i vicini, scomparvero dall'Anahuac e si dispersero specialmente nel Guatemala, Tabasco, Campeche, Yucatàn, cessando d'essere una nazione per diventare con il loro genio, maestri di civiltà a quelle regioni.

Credo opportuno di ricordare le vicende interessanti del suddetto manoscritto. Inviato da Hernàn Cortes, che lo ebbe da Motecuhçoma II, terzultimo re del Messico, a Carlo V, fu ceduto da questi al re Emanuele di Portogallo che lo donò al cardinale Giulio de' Medici (poi Clemente VII); passò poi da questi al cardinale Ippolito Medici e il suo esecutore testamentario, cardinale Giovanni Salviati, lo trasmise al cardinale di Capua, Nicola Schomberg. Passò, poi, non si sa come, al duca Giovanni Giorgio di Sassonia-Eisenach che, nel 1677, l'inviò all'imperatore Leopoldo I d'Austria il quale, a sua volta, lo regalò alla Biblioteca imperiale di Vienna. Studiato da parecchi, riprodotto difettosamente a cura di Lord Kingsborough, fu pubblicato in ottimo fac-simile da Max Jaffe nel 1929.

Mi sono dilungato un po' in questi particolari, perché si tratta propriamente di questo importantissimo documento, la cui decifrazione presenta un felice e desiderato passo avanti nella lettura dei manoscritti messicani precolombiani. Uno dei più dotti e pazienti investigatori e studiosi di questi codici, il prof. Fritz Röck, direttore del Museum für Völkerkunde di Vienna, crede fermamente d'aver interpretato, dopo sette anni di lavoro benedettino, l'importantissimo documento che, come ebbe a provare la compianta, grande americanista americana Zelia Nuttall, faceva parte — come accennai sopra — de' magnifici doni offerti dallo sventurato Motecuhçoma II, al Conquistador Hernàn Cortes, e ora si trova a Vienna, sotto il nome di CODEX VINDOBONENSIS MEXICANUS I. Fra altri, lo studiò assai minutamente p. Damiano Kreichgauer di St. Gabriel presso Mödling, ove all'attività missionaria tanto benefica, si alterna lo studio più rigoroso e profondo d'ogni campo dello scibile.

Egli aveva stabilito che questo Codice era prevalentemente astronomico, e che i suoi autori avevano voluto, sotto un velo di mistero di difficilissima interpretazione, coprire la loro scienza, proteggendola cosi abilmente da ogni profanazione de' studiosi non iniziati. Tuttavia, gran parte del manoscritto gli era rimasta oscura, perché egli non era riuscito a fissare la direzione dei geroglifici o meglio iconofoni e a cui die' forse troppo poca importanza e alle divisioni delle singole parti, per quanto avesse calcolato astronomicamente le numerosissime date del calendario.

Il Röck, che stima questo manoscritto come il più prezioso fra i messicani, sarebbe riuscito a decifrarlo e a penetrare, per il primo, dopo 400 anni, ne' suoi segreti!

Egli adottò razionalmente, il metodo analitico-sintetico, passando dagli elementi noti agli ignoti e da questi a quelli, partendo da figure, geroglifici e motivi più volte ripetuti, descrivendoli e paragonandoli, pur rinunciando, in principio, a interpretarli per evitar di cader in errore. La lettura proseguì sui fogli della pagina recto, da sinistra a destra, in linee ondeggianti, alternativamente ascendenti e discendenti e in direzione opposta, nella pagina a tergo, da destra a sinistra, in linee orizzontali o striate; così egli pensava che la lettura dei segni, dovesse procedere, simboleggiando, in un'imitazione magica, la corsa del Sole durante il giorno e il ciclo annuale! Egli vi riconobbe una ventina di principii e regole di decifrazione assolutamente necessari per penetrare il contenuto cifrato, sistema curioso di scrittura, d'altra parte, adottato pure dai maghi degli Algonchini, doppio cioè, profano e ieratico, compreso questo soltanto da essi. Presso alle figure e segni del calendario e agli iconofoni dei nomi, v'è una seconda scrittura geroglifica cifrata, soltanto per gli iniziati e inserita nascostamente e che sola può spiegare i segreti del Codice.

Con i nomi propri, date del calendario e i diversi segni per i concetti astratti e geroglifici composti col significato evidente di parole, sillabe e suoni, v'è pure una scrittura simbolica, mentre il resto è una specie di rebus figurati e di parole incrociate. La parte figurativa di cifre in cui erano espresse le cose segrete più importanti, e perciò nascosta, è sfuggita totalmente ai primi investigatori per quanto acuti e pazienti! Il Röck sostiene che questo manoscritto è un libro illustrato di scienza, scritto dai sacerdoti toltechi orientali, seguaci del dio redentore, cioè Quetzalcóatl (il Serpente piumato), presso la loro capitale Cholula, non lontana dall'odierna città di Puebla e ove esiste la piramide omonima che è certamente, come volume, la maggiore del mondo (altezza 54 m, lato di base 430 m, copre 19 ettari). Il manoscritto conteneva la loro scienza e dovette servire come testo di esame per giudicare l'intelligenza e la maturità degli alunni nei collegi sacerdotali de' seguaci del suddetto dio. Essi dovevano, fra altro, superare gli esami di scrittura geroglifica o iconofonica, l'arte delle cifre, di cronologia, d'astronomia e di tradizioni mitico-religiose. Esame assai difficile, astruso, come si vede.

La coppia divina suprema, il Signore delle Stelle e la Donna Siderea nel più alto del IX cielo — i cieli erano 13 — seguiti da Tlaloc, dio montano delle piogge, la dea Xochiquetzàl (piuma di fiori), il dio Mixcóatl (serpente nuvoloso), i dèmoni stellari e delle tenebre, gli dèi delle 28 costellazioni nell'orbita lunare, ecc. ecc. Mediatore fra celesti e umani, nel centro di tutto, Quetzalcóatl, dio dei venti e signore della vita, civilizzatore e salvatore degli uomini e sovrano de' sacerdoti.

Il Codice contiene, fra l'altro, le leggende di tre "Soli" o epoche cosmogoniche già passate, precedenti quella del "Sole di terra" o epoca del terremoto, cioè i "Soli d'acqua" (diluvio), di "fuoco" (eruzioni vulcaniche), di "aria" (cicloni devastatori) che avrebbero distrutto successivamente l'umanità secondo la mitologia dei Nahua, che ammettevano essere essa sorta da un osso di pietra preziosa che il dio "Sette venti", ossia Quetzalcóatl, avrebbe portato dal mondo sotterraneo. Nel Codice si descrivono ancora le piante commestibili alimentari dei Toltechi.

Sarà opportuno ricordare infine, come vi siano riportate con molta ampiezza e cura le conoscenze astronomiche dei Toltechi, davvero singolari e stupefacenti: le costellazioni, i loro simboli e divinità, tutti i fenomeni necessari ai calendari solare, lunare e venusino, per la mutua compensazione e per l'intercalazione; di più i periodi di rivoluzione de' pianeti Venere, Marte, Giove, Mercurio e Saturno, la durata del mese sidereo sinodico e draconico, il periodo della levata della luna, il periodo, noto ai Caldei e ai Cinesi, per predire le eclissi lunari e solari, il ciclo lunare di 19 anni a cui si riferisce il Numero d'oro (di Metone) e che oggi corrisponde all'Epatta e perfino la media durata del periodo delle macchie solari e una serie di importanti cicli di pareggio cronologico! I tre sistemi di circoli celesti (orizzonte, equatore ed eclittica), i nodi lunari, la connessione delle maree con le rispettive posizioni del sole e della luna verso la terra e la forza d'attrazione di questi due astri, la dipendenza della posizione del Punto di Primavera dalla forza d'attrazione del sole e della luna in relazione con la effettiva durata dell'anno solare-tropicale, le differenti fasi di Venere come Fosforo ed Espero, l'anello di Saturno e altro ancora; tutto ciò sarebbe stato noto ai sacerdoti astronomi dei Toltechi!

In tal caso, come ben si vede, i sacerdoti toltechi avrebbero superato, non diremo i loro successori, gli Aztechi, ma qualunque popolo del Mondo Orientale, i Caldei, gli Egizi, i Greci stessi, gli Arabi e ancora gli astronomi europei del medioevo!

Il Röck rileva che i Toltechi adoperavano ne' loro calcoli astronomici, anche le frazioni decimali; poiché nel Codice di Vienna vi sono indicazioni compiute con precisione sino a 3 o 4 decimali. Come esempi di esattezza di dette indicazioni del manoscritto, si può accennare alla durata del cosiddetto mese lunare-sidereo di giorni 27,321, all'effettivo periodo di Mercurio di giorni 115,877 e al periodo sinodico di Saturno di giorni 377,75.

Importante oltremodo è il riconoscimento che la tradizione religiosa del Redentore bianco (Quetzalcóatl), com'è riportata da questo Codice, non era mescolata, come presso i Messicani, con la religione di costoro e che vi mancano interamente i sacrifici umani. Come pure, non v'è traccia del dio supremo della guerra degli Aztechi, Uitzilopochtli, il cui nome significa "colibrì sinistro o meridionale", alludendo alla migrazione di costoro scesi verso le regioni del Sud ; né di altre loro divinità.

Il Röck conclude che nel CODEX VINDOBONENSIS MEXICANUS, si tratta di un'antiquata forma della religione del Redentore bianco (Quetzalcóatl), assai differente da quella dei Messicani e che questo manoscritto, più importante fra tutti, fu offerto a Cortés, precisamente perché i seguaci di Quetzalcóatl vollero ostentare ai "Visi Pallidi" (gli Spagnoli), l'alto concetto della scienza dei Toltechi e spiegare al Conquistador, da essi supposto dio bianco riapparso, che nel collegio sacerdotale da lui anticamente fondato, non solo si conservava e tramandava immutato ai posteri il suo antico dogma religioso, ma che si coltivava accuratamente e attivamente quella scienza che, secondo il loro concetto, era la più elevata di tutte, l'astronomia.

Nei risultati insperati, brillanti della sua decifrazione, il Röck vuole trovar la conferma delle sue deduzioni: le cognizioni assai profonde ed elevate, contenute sotto il velame strano de' geroglifici, e che rimontano probabilmente al sec. VII d. C.

Nella catastrofe della caduta di Messico, assieme ai barbari e crudeli usi dei feroci Aztechi, vennero spazzati anche gli ultimi resti delle tradizioni e dei miti costumi dei Toltechi che ricordano, in certo modo, il Cristianesimo, e che tuttavia non andarono completamente estinti nel popolo messicano.

Certamente, non possiamo dubitare della buona fede e dell'acume scientifico del nostro collega di Vienna e ci congratuliamo vivamente con lui per la sua interpretazione; ameremmo però ch'egli — come non v'è dubbio — volesse illustrarci più ampiamente e profondamente — con il materiale iconografico a sua disposizione — le sue asserzioni, specialmente ove accenna all'elevatissimo e incredibile progresso dei Toltechi nell'astronomia : numero d'oro, equatore, eclittica, maree, attrazioni luni-solari, macchie solari, fasi di Venere, anello di Saturno, ecc. progresso che, sino a ora, non è stato mai constatato — che io mi sappia — da alcuno studioso e che non può fare a meno di attrarre al massimo grado, la nostra curiosità, il nostro interesse e la nostra ammirazione, qualora tali conoscenze superiori siano positivamente e indiscutibilmente provate.

 


Affresco scoperto qualche anno fa nell'Alto Egitto, rappresentante cinematograficamete i successivi istanti di una lotta fra due atleti.